Il 3 Settembre di 35 anni fa il Campione del Mondo di Spagna ’82 perse la vita in un tragico incidente stradale
In questa terza ed ultima parte dello speciale interamente dedicato a Gaetano Scirea siamo ben consapevoli di rischiare di scadere nella odiosa retorica che, in certe occasioni, rovina determinati ricordi, determinati momenti in cui il silenzio la dovrebbe fare da padrone. Forse, per certi versi, anche il nostro speciale potrebbe apparire controproducente. D’altronde, sulla figura del leggendario numero 6 non si è proprio detto tutto e il contrario di tutto, proprio per effetti di quella forma tacita di rispetto per un uomo, prima, che è stato sempre un grandissimo esempio di signorilità.
Contraddistinto di un’umiltà che agli occhi degli altri non lo faceva apparire divo. Non lo faceva apparire come la classica stella del mondo del calcio, ma come una persona normale. Quella che si incontra tutti i giorni, magari quando si va al supermercato a fare la spesa o, perché no inteso altro classico esempio, quella che si incrocia quando si ha qualche commissione da fare alle poste e c’è una fila lunga un chilometro, se non di più.
Durante le sue interviste rilasciate nel corso della sua lunga carriera, esattamente sedici anni, Gaetano Scirea non ha mai rilasciato una parola fuori posto; nemmeno per creare polemiche. Anzi, faceva di tutto per non alimentarle. Persone di altri tempi, personaggi pubblici di altri tempi. Molto probabilmente era ben conscio della fortuna che aveva avuto nella sua vita e cercava in tutti i modi di non farlo pesare.
Un esempio vero e concreto per quel mondo del calcio che già da allora, seppur già da qualche anno, era entrato, a detta di molti, nella fase di tramonto. Ossia, già una quarantina di anni fa era incominciato il classico e malinconico tormentone sulla possibile fine del cosiddetto ‘romanticismo’ per questo sport. Anche in questo caso, non si scomponeva affermando la sua verità con molta onestà e anche con un bel pizzico di speranza per il futuro.
Ma soffermiamoci sulla parola ‘romanticismo’. Nel suo caso è un concetto che si rafforza ancora di più. in un’intervista durante la prima puntata di ‘A tutto campo’, del 1986, Gaetano Scirea rivelò per quale squadra avesse fatto il tifo prima di diventare bandiera della Juventus. La risposta, di sicuro, vi spiazzerà.
Dopo queste parole come non si può apprezzarlo ancora di più? Da tifoso della squadra milanese, sponda neroazzurra, a bandiera del club ‘nemico giurato’. Di sicuro aveva unito tutti con quella sua risposta, abbattendo anche le più inutili rivalità calcistiche.
Riservato e pacato. Soprattutto in quest’ultima sua caratteristica personale. Da un lato apparirebbe retorico richiamare quell’episodio, dall’altro è giusto perché rappresenta l’emblema della sua stessa indole buona, gentile e, appunto, umana. Era il 29 maggio del 1985. La data, per qualunque tifoso juventino e anche chi è semplicemente tifoso di calcio, non rievoca dei buoni ricordi. Ci riporta alla mente immagini infauste per una serata che doveva essere soltanto di calcio; che doveva essere solamente di festa. Bruxelles, Belgio. Stadio Heysel. Una ferita aperta per molti.
Aperta per tanti motivi che non stiamo qui a ricordare e che non è neanche l’occasione adatta. Quella sera, dopo ciò che accadde, Gaetano Scirea, in quanto capitano della Juve, lesse un comunicato rivolto ai propri tifosi. Un comunicato che terminò con queste eloquenti parole e noi ve le riproponiamo con queste immagini di repertorio.
Altri commenti sono assolutamente superflui. Pacato, dicevamo. Calmo e apparentemente intimorito anche da alcune responsabilità, come quando gli venne affidata la fascia di capitano della Juventus. Invece, la sua, era solamente sicurezza ostentata senza alcuna spavalderia ma, solamente, con una umile consapevolezza di sé e dei suoi mezzi. Consapevolezza delle proprie capacità, oltreché onorato.
Eppure, ci sarebbe anche un altro dettaglio che forse non subito balza all’occhio. Tra le varie interviste che fino adesso vi abbiamo riproposto, oltre alla sua calma e pacatezza che traspariva, Gaetano Scirea sembrava non avere emozioni. Nel senso che non era avvezzo a farlo in pubblico e, soprattutto, davanti ad una moltitudine di persone come accadde in occasione della sua partita di addio. Un evento che spinse a molte stelle a prendervi parte. Quel giorno l’intervistatore era il telecronista Bruno Pizzul. Nell’ascoltare quella breve risposta potrete notare la ‘freddezza’ naturale che anche in certi momenti lo contraddistingueva rispetto agli altri.
A questo punto dovremmo chiudere qui. Più andiamo avanti con gli elogi e più rischiamo, appunto, di sconfinare nella retorica. È vero, ci siamo soffermati soprattutto sulle sue dichiarazioni, di quei momenti che esulano dal calcio giocato. Quasi sicuramente non abbiamo neanche detto tutto e forse è impossibile dire tutto su un personaggio entrato, nel modo più drammatico possibile, nel cuore degli italiani; nel cuore di ogni tifoso di calcio. appare impossibile anche per un ulteriore dettaglio e non di poco conto: ogni anno, ogni qual volta che cade il duplice anniversario di nascita e di morte su di lui emergono sempre aneddoti diversi e nuovi.
Si è fatto apprezzare ed amare per chi lo ha visto giocare, esultando con lui come juventino e come tifoso della Nazionale. Si è fatto apprezzare come uomo e professionista serio e rispettoso degli avversari. Ecco, per esempio, per un difensore, per un libero come nel suo caso, il fallo è vitale. Il fallo è il pane tra i suoi denti. Rispetto agli altri suoi colleghi di quella specifica posizione, Scirea, non ha mai, ripetiamo mai, preso un’ammonizione e quindi, di conseguenza, non si è fatto mai espellere. Esemplare in campo e fuori dal campo.
Ciò che mancava è un pensiero, un’idea, una domanda classica e tradizionale che, sempre in queste occasioni di ricorrenze di personaggi scomparsi troppo presto e tragicamente, gira come un mantra: che Scirea ci siamo persi in questi lunghi trentacinque anni? Sappiamo, solamente, che fino a quel 3 settembre di 35 anni fa era il vice di Dino Zoff sulla panchina della Juventus. Qualcuno potrebbe soffermarsi sulle coppe e titoli nazionali che avrebbe potuto conquistare una volta intrapresa la carriera di allenatore.
Noi invece vogliamo sottolineare la vittoria che di sicuro avrebbe ottenuto sempre come allenatore e da dirigente: la sua umanità e signorilità. Ecco, forse questo è lo Scirea che abbiamo perso tutti noi quella maledetta domenica 3 settembre del 1989.