Chiudiamo questo reportage sul concerto di Bucarest nel giorno del 66° compleanno
Sembra quasi un’ironia della sorte, nel giorno del suo 66° anniversario di nascita, parlare di una canzone per la quale venne accusato di plagio. D’altronde dobbiamo farlo, visto che, comunque, quel leggendario capolavoro di Will You Be There era compreso nella scaletta di quella sera; pezzo interamente gospel e solo di contorno di genere pop, che lo fece ritrovare a risarcire per tale accusa il nostro Albano. La vicenda, a distanza di oltre trenta lunghi anni, è assai nota; quindi, non ci sembra il caso di rivangarla proprio oggi.
Una versione, quella di Michael Jackson, per ovvi motivi, più famosa di quella del nostro cantante italiano che, quando venne avvisato di ciò, non poteva neanche crederci e neanche lo stesso Re del Pop. Una canzone, tratta proprio dall’album ‘Dangerous’ che divenne non solo l’ennesimo cavallo di battaglia della sua carriera, ma anche la colonna sonora di un noto film degli anni ’90.
L’introduzione musicale e il suo ingresso nel palco, dopo essersi cambiato d’abito dopo aver fatto scatenare tutti con Beat It, lo riporta ad una dimensione umile, proprio com’è il suo capolavoro del 1991 seppure nella grandezza.
Quando ieri abbiamo chiuso il terzo appuntamento con ‘Beat It’ non avevamo menzionato ad una cosa che accadde proprio durante quel concerto. durante un momento di stasi dello show, in cui il Re del Pop, i ballerini e gli altri musicisti dovettero riorganizzarsi dopo la performance appena conclusa di una canzone, ai lati del palco, contraddistinti da due maxischermo, vennero diffuse delle immagini mai viste. Immagini che rappresentavano la vera parte finale, all’epoca censurata, della canzone ‘Black or White’.
La stessa Black Or White che viene introdotta dalla famosa scena di apertura in cui usciva il giovanissimo protagonista del film cult degli anni ’90: ‘Mamma, ho perso l’aereo’, ovvero Macaulay Culkin con l’attore di ‘Pappa e Ciccia’. Dopo che le immagini, anche in quel caso vennero mostrate attraverso i due maxischermi del palco, Michael Jackson riappare ai 90.000 mila e la festa riprendere.
Canta, balla, si dimena in tutti i modi, sembra avere un serbatoio infinito di energia, duetta anche con la famosa chitarrista della canzone e video ‘Dirty Diana’ del 1987, estratta dall’album ‘Bad’. Anche in questo caso il finale è quasi simile a quello scelto per ‘Beat it’. Un pop che si trasforma in hard-rock in poco tempo e la miscela stessa dei generi non ne risente. Black Or White è ulteriormente un capolavoro anche in questa versione live e non poteva essere altrimenti.
Con ‘Heal The World’ si arriva ad un punto meramente emozionale e promozionale e non solo perché Jacko fosse legato alla sua ultima raccolta d’inediti. Per tutta la sua vita Michael Jackson si è dedicato per un unico scopo: quello dell’aiuto ai più piccoli, una missione, la sua, che pagò a caro prezzo con alcune denunce di reati irripetibili e che non si è mai veramente capito fin dove potesse arrivare la sua colpevolezza o, in termini ben più positivi, la sua innocenza. Sta di fatto che durante la promozione del disco Dangerous, il Re della musica Pop decise di creare una fondazione con tale scopo. Il nome? La ‘Heal the World Foundation’, tradotto in italiano: ‘Guarire il mondo’.
L’esibizione di Heal The World durante il concerto di Bucarest non fu da meno rispetto alle altre, venne impreziosita dall’apparizione della terra che allungò il palco in altezza, in modo da creare due livelli paralleli. L’apparizione dei bambini insieme allo stesso Jackson portarono ad un ulteriore momento di commozione tra il pubblico presente.
E così giungiamo all’ultima canzone di quel concerto, l’ultimo brano in cui lo stesso Jackson saluterà i suoi fans dopo uno spettacolo memorabile, costituito dal gioco di luci, balli, canti. Uno show in piena regola. La canzone a cui stiamo facendo riferimento, sicuramente, è il suo vero cavallo di battaglia, visto che non solo per quel tour, ma anche per quello precedente, l’ha sempre intonata per ultimo: Man in the mirror, l’uomo nello specchio.
Ad ascoltarla, a distanza di quindici anni dalla sua precoce scomparsa, mette i brividi ancora oggi. Nel senso che in questo singolo lo stesso cantante si riconosceva molto e non solo nel sound ma anche nelle parole scritte non proprio da lui, almeno in via del tutto indiretta.
‘Man in the mirror’ venne scritta da Glenn Ballard e Sideah Garrett in unico sabato sera, a Encino, a casa dello stesso Ballard. In quella stessa occasione non venne solamente sviluppato il testo, ma venne composta anche la musica. Musica che passò nelle mani di Quincy Jones che, a sua volta, lo fece passare a Michael il quale, quest’ultimo iniziò a cantarla sentendola in lui, sentendola dentro di sé, cantandola anche a cappella alle volte.
“Man in the Mirror è un grande messaggio. Amo quella canzone. Se John Lennon fosse vivo, potrebbe davvero relazionarsi con quella canzone perché dice che se vuoi rendere il mondo un posto migliore, devi lavorare su te stesso e cambiare prima… inizia con l’uomo allo specchio. Inizia con te stesso. Non guardare tutte le altre cose. Inizia con te. È la verità. Questo è ciò che intendeva Martin Luther king e anche Gandhi. Questo è quello che credo”.
Queste sono solamente alcune dichiarazioni che lo stesso Jackson rilasciò durante gli anni successivi alla pubblicazione della canzone. Canzone stessa che con il tempo è diventata un vero e proprio inno di speranza, con un forte messaggio di come il mondo potrebbe cambiare, cambiando prima sé stessi; nel nostro io.
Anche quella sera, anche in quel 1° ottobre del 1992, Man In the Mirror rappresentò l’ultimo atto di quello che poi sarebbe diventato il suo concerto più importante della sua carriera; il miglior concerto che avesse mai realizzato e mostrato al mondo. A distanza di ben trentadue lunghi anni quel finale e quell’uscita di scena ci lascia ancora emozionati, soprattutto con la canzone che molto di più lo rappresentava. D’altronde, Michael Jackson era uno showman nato e quella sera a Bucarest, molto probabilmente, fu l’ultima sua grande performance del vivo. Nel senso che non riuscì più a raggiungere quel livello che ebbe a Bucarest.