Ultimo appuntamento con una considerazione sull’attuale situazione del cinema nostrano
E’ successo questo al cinema italiano: da un lato non è stato più finanziato adeguatamente, dall’altro gli stessi talenti che subentravano a quelli che avevano fatto, comunque, il loro tempo non riuscivano a mantenere il passo. Nel senso che, premettendo che ogni autore vive la propria epoca e che ogni epoca è sempre a sé stante, significa che il grado di talento mostrato nell’età d’oro non riusciva a mantenersi in quella successiva. Invece di pensare in grande, man mano che sono passati gli anni e i decenni, si è pensato sempre più in piccolo; non tanto perché si doveva pensare alle ‘storie di casa nostra’. Assolutamente no. Il punto è un altro.
Più che altro la colpa sarebbe da attribuire in un cambio di prospettiva dello stesso cinema italiano. semmai volessimo fare un paragone, l’ultimo grande che ha cercato di riportare alla grandezza di un tempo il nostro cinema fu lo sfortunato Massimo Troisi, senza dimenticare Gabriele Salvatores. Ma, entrambi i casi, si tratta comunque di casi isolati.
I vari Fellini, Leone, Antognoni, Monicelli, De Sica stavano scomparendo tutti piano piano. È vero stavano emergendo i Carlo Verdone, i Vanzina e tanti altri, ma sempre per un ambito che riguarda sempre i nostri confini; mai e poi mai in ambito internazionale. Ci siamo dimenticati anche di Tornatore, con il ‘Nuovo Cinema Paradiso’.
Citando comunque questi nomi, specialmente, uno in particolare ci verrebbe da chiederci se non fosse mai morto trenta anni or sono, la sua opera cinematografica avrebbe mai avuto la stessa risonanza in ambito internazionale? Anche in questo la storia non si fa né con i sé e né con i ma. Stiamo parlando, ovviamente, dalla sfortunata parabola dello stesso Massimo Troisi.
Quindi, per non divagare troppo, più si andava avanti, più uscivano nuovi talenti, il cinema tricolore diventava sempre più piccolo e solo con qualche caso di internazionalizzazione. Si pensi, per esempio, al fortunato esempio di Roberto Benigni con ‘La vita è bella’. Ma ripetiamo, sono tutti casi sporadici.
Non c’era più una visione comune, semmai c’era solo che aveva soppiantato quella precedente, non si pensava più in grande, solo film di nicchia; i generi storici, come il peplum prima e il western dopo, stavano in realtà scomparendo. Tutto si stava riducendo ai classici film comici, drammatici, di nicchia, per non dire i cosiddetti impegnati. Con la convinzione, purtroppo, ancora diffusa nel nostro paese è che se non fai opere cinematografiche di un certo tipo, dunque impegnate, e non lo fai un certo modo non fai cinema nel modo giusto.
Concezione totalmente sbagliata per molti versi. Con questo modo di pensare si è tagliata, di fatto, la grande possibilità, soprattutto per le nuove leve, di realizzare opere che esulassero dalla tradizione del neorealismo, seppur continuandola ma continuando a tracciare la stessa linea indicata dai predecessori. Quando tale situazione è incominciata a diventare palese la presenza di pubblico, in sala, per quanto riguarda il cinema italiano, ha incominciato sempre di più a diminuire. Qualcuno, addirittura, attribuisce anche la colpa alla televisione. Eppure, quando al cinema uscivano film interessanti, anche italiani, il pubblico si è sempre recato in sala per andarli a vedere.
Dunque, il problema è incominciato a sorgere quando alcune opere, ugualmente pubblicizzate, non sono riuscite ad attirare una gran mole di persone. Da quel momento in poi si sono avvicendati, in diverse occasioni, gli accorati appelli di registi e di attori che invogliassero la gente a riversarsi nelle sale.
Al giorno d’oggi, come già accennato nella prima parte, il dito viene puntato direttamente contro le piattaforme streaming con tanto di abbonamento che ti permette di vedere ogni cosa che vuoi. In poche parole, come una televisione on demand.
Fino adesso abbiamo toccato quasi ogni particolare tralasciandone, volutamente, uno: quello del finanziamento. Non è per paura di toccare questo o quel tasto, non è per paura di attaccare quella o quell’altra parte politica. No, al contrario: il nostro approfondimento sta denunciando una cosa ben precisa: ossia la mancanza di grandezza medesima del cinema italiano.
Possiamo anche essere d’accordo su un altro aspetto: ovvero che il modo di fruizione di vedere i film è mutato nel corso dei decenni e, a sua volta, anche di proporsi come talenti. Ciò, però, non toglie quello che è stato detto fin dall’inizio: che non, appunto, non abbiamo uno ‘Star System’ che proporre in ambito prettamente internazionale o, peggio ancora, semmai lo abbiamo non siamo stati capaci di valorizzarlo quel tanto che basta per far sì che i nostri attori collaborassero di più con le produzioni internazionali.
Qualcuno ci ricorda l’esempio, neanche tanto lontano nel tempo, del già citato Pierfrancesco Favino, ma anche di Valeria Golino. Quest’ultima ha fatto il suo ingresso nel cinema che conta quando il nostro cinema stava ormai decadendo. Per chi ancora non lo sapesse, la Golino prese parte da giovanissima e nel lontano 1988 a quel grandissimo capolavoro del cinema americano, interpretato da Tom Cruise e da quel mostro di bravura di Dustin Hoffman, ‘Rain Man – L’uomo della pioggia’.
Lo sappiamo, siamo un po’ cattivelli in questa occasione e per certi versi sembra che stiamo sparando a zero sulla nostra stessa arte cinematografica che, a tutti gli effetti, ci è invidiata in tutto il mondo; ma anche questa espressione deve essere letta con attenzione. Se si fa riferimento nell’epoca di oggi il nome a cui ci dobbiamo aggrappare è sempre Sorrentino.
L’unico, appunto, che cerca di mantenere il cinema italiano a grandi livelli. Nel senso che di possedere una prospettiva, anche lungimiranza cinematografica. Di possedere una visione che portava sempre alla grandezza anche quando il budget a disposizione non sempre consente miracoli. Ciò si evince anche nella realizzazione di storie che hanno per oggetto la vita di personaggi che riguardano la nostra storia ed invece di proporle al cinema, tutto si riduce, che nessuno si offenda, alle fiction.
Questo perché? Perché si ha paura di fare un buco nell’acqua sul grande schermo? forse è per questo che non si pensa più in grande? Per il momento ci fermiamo qui, ma non escludiamo che torneremo sull’argomento anche più avanti.