Appuntamento finale con l’ultima parte del discorso di Kamala Harris

Questa notte si è conclusa la ventiseiesima convention di Chicago in cui, durante i giorni di vigilia, durante la fase dei lavori si temeva potesse accadere qualcosa che richiamava un certo passato; un passato che, per certi versi non si è ripetuto o almeno solo in alcuni momenti. Si è chiusa nel modo in cui tutti ormai volevano che si chiudesse: con l’accettazione di Kamala Harris come candidata alla Casa Bianca, per l’Election day del 5 novembre prossimo. Ciò che accadrà, per il momento, in quel giorno, in quella notte, sembra strano se lo diciamo, non è ancora importante. Perché affermiamo ciò? Per non caricare di moltissime aspettative un’elezione che, per molti diversi, dopo quella del 2008, è già storica sotto tutti i punti di vista.

Dunque, bisogna attendere con pazienza, molta pazienza ed ascoltare non tanto quello che si dice d’ambo i lati; semmai osservare se i fatti saranno lo specchio delle parole esternate fino adesso, con gli atteggiamenti giusti, sia impliciti che espliciti.

Per molti gli Stati Uniti si trovano nuovamente ad un bivio. Forse sarebbe più giusto considerare questa situazione come l’evoluzione naturale e normale del loro sviluppo della loro stessa storia, del loro stesso percorso evolutivo. D’altronde, come abbiamo affermato in qualche appuntamento precedente: ci sono delle situazioni che nei 50 Stati tornano sempre e questa prossima elezione ne è un esempio lampante.

Se osservate bene nel 2008 arrivò Barack Obama. Un’elezione che spiazzò tutti. Nessuno pensava che nel giro di pochi anni un afroamericano potesse tentare il colpo a sorpresa, poi riuscito. Quando apparve sulla scena Donald Trump è perché tutti quanti si sentivano scontenti di com’erano andate le cose negli otto anni precedenti. Erano stati commessi degli errori.

La sfida della prima donna alla Casa Bianca non faceva presa rispetto ai reali problemi che attanagliava gli Stati Uniti d’America. Trump vinse sull’onda emotiva degli scontenti. Joe Biden, invece, ha vinto in cui lo stesso Tycoon è stato ulteriormente diviso in un momento in cui doveva unire; in periodo in cui a creare le evidenti divisioni era stata la stessa politica tradizionale, sia tra i Repubblicani e sia tra i Democratici.

Oggi invece, a quanto sembra, tutti quanti si siano resi conto di ‘abbassare la temperatura’ dello scontro, parafrasando lo stesso Joe Biden. In fondo, questa era una cosa che si doveva fare già da molto tempo, evitando comunque di esasperare gli animi. Nelle parole pronunciate dalla sfidante di Donald Trump, a chiusura dei lavori della Convention Democratica a Chicago, è apparsa un’espressione caduta molto in disuso in questi ultimi anni: quella di sogno americano.

Un mantra per gli stessi americani, un mantra, se così vogliamo dire, anche per il mondo intero. Dopo quello che ha detto la candidata alla presidenza molti si sono soffermati a fare il punto della situazione, a tracciare una linea di demarcazione tra quello che è stato e tra quello che, a conti fatti, ancora deve arrivare in concreto; quindi, ancor prima di vedere come finirà la contesa di novembre.

Certo, molti stanno mostrando, fin da subito, una sorta di attesa spasmodica di scoprire ciò che accadrà. Dal prossimo 5 settembre mancheranno esattamente due mesi all’appuntamento dell’anno. Due mesi in cui potrà succedere ancora di tutto, non che i protagonisti possano di nuovo mutare. Ormai il tempo non ce n’è per poter sparigliare le carte così come è stato fatto fino adesso.

La sensazione è che adesso tutto il mondo sia con il fiato sospeso ad attendere, comunque. Che si sia messo ad una qualche enorme finestra per vedere il corso degli eventi che avverranno da qui fino al 5 novembre oltreoceano. Sarà un’attesa, anzi è già di fatto un’attesa ancor più interessante rispetto a quando Biden non aveva ancora rinunciato al suo secondo mandato.

Un’attesa interessante anche per un altro motivo e non tanto di poco conto: quello del passo generazionale che, all’interno dello stesso Partito Democratico è di fatto avvenuto, al contrario di quello Repubblicano. Non c’è solo la Harris, c’è anche Tim Waltz, Josh Brolin e altri due nomi interessanti che possono prendersi sulle spalle le eredità del prossimo Commander in Chief, chiunque sarà eletto il prossimo 5 novembre. Nel senso, anche se la stessa Harris dovesse fallire l’appuntamento dell’election day.

Tirando in ballo ancora il più volte paventato parallelismo tra le due convention, sosteniamo ancora con consapevolezza che il paragone regge solamente fino ad un certo punto. Lo abbiamo detto l’altro ieri e lo abbiamo ripetuto ieri e lo ripetiamo ancora oggi: sussiste un’abissale differenza tra i 1968 ed il 2024.

Prima di darvi appuntamento ai prossimi reportage di ‘Road To Usa 2024’, vi lasciamo con l’ultima parte del discorso di Kamala Harris di questa notte.

“Vedo un’America dove ci atteniamo saldamente alla coraggiosa convinzione che ha costruito la nostra nazione. Che ha ispirato il mondo. Che qui, in questo Paese, tutto è possibile. Nulla è irraggiungibile. Un’America dove ci prendiamo cura l’uno dell’altro, dove ci guardiamo le spalle a vicenda, e dove riconosciamo che abbiamo molto più in comune di ciò che ci separa. Dove nessuno di noi deve fallire perché tutti noi possiamo avere successo. E dove sappiamo che nell’unità c’è la vera forza. I nostri oppositori in questa campagna elettorale passano le giornate a screditare l’America, dipingendo tutto a tinte fosche. Ma mia madre mi ha insegnato una lezione preziosa: non permettere mai a nessuno di definirti. Dimostra chi sei con le tue azioni. America, è il momento di mostrare l’un l’altro – e al mondo – chi siamo. E per cosa lottiamo. La libertà. Le opportunità. La compassione. La dignità. L’equità. E le possibilità infinite.

Siamo gli eredi della più grande democrazia che il mondo abbia mai conosciuto. Per onorare i nostri figli, i nostri nipoti e tutti coloro che hanno sacrificato così tanto per la nostra libertà, dobbiamo essere all’altezza di questo momento storico. È giunta la nostra ora di raccogliere il testimone dalle generazioni passate. Con ottimismo e fede incrollabile, dobbiamo lottare per questa nazione che tanto amiamo. Lottare per gli ideali che ci sono cari. Dobbiamo onorare la straordinaria responsabilità che accompagna il più grande privilegio sulla Terra: essere americani, con tutto l’orgoglio che ne deriva. Allora, alziamoci e battiamoci per questo.

Alziamoci e votiamo per realizzare tutto questo. E insieme, prepariamoci a scrivere il prossimo, grandioso capitolo della più straordinaria storia mai narrata. Grazie. Che Dio vi benedica. E che Dio benedica gli Stati Uniti d’America”.

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