Continua il parallelismo tra la convention di fine anni ’60 e quella che si sta svolgendo in questi giorni

Per le Presidenziali del 2008 il motto era ‘Yes, we can’. Tradotto in italiano significa: ‘Si, noi possiamo’. A pronunciarlo, per dare forza, vigore, fiducia alla nazione americana fu, all’epoca, Barack Obama, sostenuto da tutto il partito democratico. Altra situazione, altra dimensione politica, in cui gli Stati Uniti d’America provenivano dalla batosta dell’11 settembre del 2001, erano trascorsi comunque solamente sette anni da quella tragedia, e dalle due guerre, sia in Iraq che in Afghanistan. Tutto questo sotto la presidenza di George W. Bush.

Ebbene, dopo quattordici lunghi quello slogan, questa notte, è tornato in auge con la declinazione al femminile: Yes, She Can; tradotto sempre in italiano: Si, lei può. Lei sta per Kamala Harris, la nuova speranza per poter evitare una seconda presidenza Trump; anche se dall’altra parte vedono la situazione al contrario: è lo stesso Tycoon la speranza di non far cadere l’America nelle mani degli estremisti di sinistra, seppur si rischia di votare gli estremisti di destra.

Quando Barack Obama apparve sulla scena sia politica che storica del Paese, la polarizzazione delle posizioni sembrava essere solamente parte della trama di un film distopico; oggi, purtroppo, è la realtà dei fatti e, a distanza di alcuni anni, da quando si è instaurata tale situazione, ci sembra altrettanto strano che gli stessi Stati Uniti d’America ci siano cascati in questa trappola ben congegnata.

Dunque, Kamala Harris ha conquistato, questa notte, formalmente, la nomination e dunque spetterà a lei riprendere il discorso interrotto nel 2016, con la speranza di molti americani di non commettere i medesimi errori che hanno determinato l’ascesa dello stesso Trump, il quale ha profondamente distrutto il Partito Repubblicano, plasmato e migliorato da Ronald Reagan nel corso degli anni ’80, in cui riuscì a tenere a bada la stessa estrema destra che, oggi, vorrebbe tornare nuovamente a Pennsylvania Avenue.

La sensazione, comunque, all’interno dello stesso Partito Democratico è quello di un cambio di passo forte, una ventata di freschezza e novità che ha praticamente contagiato tutti e non solo un fatto di donazioni da parte di coloro che sostengono la campagna presidenziale della Harris c’è anche un altro motivo ben preciso. In fono lo avevamo detto fin dall’inizio, fin dal primo speciale o reportage che abbiamo pubblicato.

Il passo di lato di Joe Biden non rappresenta solamente la fine di un’epoca e quindi, di conseguenza, il passaggio di consegne tra una generazione e l’altra; semmai ha provocato, dal nulla e in modo positivo, un fortissimo interesse per la sfida elettorale che si terrà il prossimo 5 novembre. Sempre, di conseguenza, se con Biden e Trump si parlava di due candidati anziani alla Casa Bianca, in cui il Tycoon affermava comunque di essere il più giovane rispetto al Presidente in carica. Con Kamala Harris, adesso, è Trump il candidato più anziano per queste elezioni. Una mossa che non si aspettava neanche lui. Oltre a questo, bisogna comunque seguire l’attualità anche su quello che succede al di fuori dell’edificio che ospita la Convention di Chicago.

Non sono mancate proteste per il supporto ad Israele e qualche arresto da parte delle forze dell’ordine della città. scontri che, comunque, non hanno proprio nulla a che vedere con quanto successe in quella caldissima fine estate del 1968, quando, alla Convention che avrebbe incoronato Hubert Humprey come candidato alla corsa per la Casa Bianca lo stesso incontro di tutti i delegati democratici venne interrotto dai famosi sette che abbiamo ricordato nell’appuntamento di ieri.

In quel preciso istante, quando tutto ciò avvenne, a parlare ai presenti del… era proprio il Presidente Johnson in carica colpevole, secondo molti e anche a distanza di anni, di aver inasprito il conflitto in Viet-Nam. Secondo quanto riportato dalle cronache dell’epoca i sette facevano parte dello Youth International Party. Un movimento di mera controcultura, politico, anarchico e socialista di orientamento pacifista fondato nel 1966.

Il loro intento, sempre in riferimento ai sette, era quello di bloccare la convention, evitando al Presidente Johnson di parlare e di candidare, in maniera del tutto provocatoria, un maiale chiamato ‘Pigasus l’immortale’. Tali eventi avvennero proprio nella giornata di apertura della Convention, come già specificato il 28 di agosto. Prima di cercare di entrare, i sette violarono il coprifuoco che era stato stabilito intorno all’area dell’edificio, l’International Amphiteathre.

Gli scontri tra i sette, mescolati tra i manifestanti, vennero addirittura ripresi dalle telecamere dei notiziari americani e una volta arrestati, rinviati a giudizio, il processo, che si rivelò poi essere una farsa, ebbe inizio soltanto dopo l’insediamento di Richard Nixon alla Casa Bianca.

La domanda che ancora tutti quanti si pongono, quasi come una sorta di mantra interrogativo, è la seguente: semmai Bobby Kennedy fosse sopravvissuto in quella maledetta notte tra il 5 ed il 6 giugno di qualche mese prima Nixon avrebbe vinto?

E oltretutto il Presidente Johnson sarebbe stato interrotto dai manifestanti, visto che i medesimi si riconoscevano nella visione del fratello di John Kennedy? Domande a cui non possiamo dare una risposta, sapendo che la storia non si fa né con i sé e né con i ma; come abbiamo più volte detto in varie occasioni. Non solo in questa.

Ci sarebbe anche un’ulteriore precisazione da fare. Negli appuntamenti precedenti vi abbiamo ricordato, come capo delle Pantere Nere, Bobby Seale. Quest’ultimo, sempre come precisato precedentemente, venne anche individuato come il possibile componente del gruppo, aumentando il numero degli imputati in otto. Quest’ultimo, lo stesso Seale ovviamente, è conosciuto non proprio come il capo del movimento afroamericano, semmai era il fondatore. Allora il leader chi era realmente? Fred Hampton, assassinato la sera del 4 dicembre del 1969, proprio durante lo svolgersi del processo contro i sette che cercarono di fermare il Presidente Johnson. Ma questa è un’altra storia che vi racconteremo più avanti.

Prima di svelarvi su come finì il processo, c’è comunque da fare una considerazione. Una valutazione prettamente storica che affonda le radici in questa sorta di parallelismo che è stato richiamato da alcuni addetti ai lavori in queste lunghe settimane. Se si osserva con estrema attenzione la storia degli Stati Uniti d’America alcune dinamiche tornano sempre.

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