Mini-speciale interamente dedicato alla The Voice degli anni ’80-90 Whitney Houston

Ve lo avevamo promesso ieri. Lasciandovelo intuire che in questa seconda ed ultima parte, di questo mini-speciale interamente dedicato alla figura di Whitney Houston, ci saremmo occupati di questa canzone. D’altronde è anche inevitabile. Quando pensi al suo nome è naturale che ci vengono in mente i primi versi intonati di quella che, nella dimensione delle colonne sonore, è di fatto la soundtrack per antonomasia. Considerando, peraltro, che si trattava, di un brano composto si per il film, ma che era anche destinato, come logico che fosse, al mercato discografico.

Se cinque anni prima ottenne una prima consacrazione, affermandosi, con il brano ricordato ieri, appartenente ai magici anni ’80, con la canzone di oggi potremmo dire, che entrò di diritto nella leggenda. In quella dimensione leggendaria in cui solamente in pochi ci possono entrare, ovvero diventare immortali quando si è ancora in vita. Eppure, sempre ieri, ci siamo soffermati troppo poco sulla vita e sulla carriera sulla The Voice della black music.

Avevamo menzionato, non tanto per fare gossip, quanto per completezza, sui rapporti tra lei ed il suo ex marito, Bobby Brown. Il punto era uno solo: quando apparve nella seconda metà degli anni ’80, la stessa Whitney mostrava la classica immagine di brava ragazza, quella della porta accanto diciamo. Quando incontrò il suo futuro marito, purtroppo, si lasciò andare facendo ed abusando di uso di droghe.

Iniziò ad accadere, dunque, anche l’impensabile come, per esempio, la cancellazione o di singoli concerti o addirittura di tour. Nel 2000, quando era ormai all’apice della carriera da ben quindici lunghi anni, doveva presenziare alla serata in onore di colui che la lanciò Clive Davis. Purtroppo, cancellò l’esibizione gli ultimi minuti prima di entrare sul palco. Riuscì, invece, ad apparire per i trent’anni di carriera di Michael Jackson, facendo intravedere che il declino era ormai inevitabile.

Perché raccontare o quantomeno ricordare questi aneddoti così negativi, quanto deleteri per la sua immagine? Perché purtroppo hanno distrutto quanto di bello e di buono aveva fatto per sé stessa, mettendo in secondo piano il dono più grande che aveva: quello della voce.

Una voce che iniziò a farsi notare già all’età di soli undici anni con il coro della New Hope Baptist church di Newark. Un classico direte voi cari lettori, un classico lo diciamo anche noi. più avanti negli anni incominciò persino ad esibirsi anche nei locali notturni, facendosi le ossa durante la classica gavetta. Quattro anni più tardi cantò come voce di sottofondo in un brano della cantante Chak Khan, I’m every woman. Canzone che sarebbe stata utilizzata per la colonna sonora di un film. Proprio quello che le regalò l’immortalità.

Per introdurre quel magico capolavoro anni ’90 bisogna prima provare ad immaginare per un istante se la colonna sonora del film ‘Guardia del corpo’, del 1992, fosse stata un’altra. Una canzone destinata, poi, successivamente ad un’altra opera cinematografica: Pomodori verdi fritti alla fermata del treno. Il titolo del singolo era ‘What becomes of the Brokenhearted’ di Jimmy Ruffin. Cosa accadde? Cosa successe affinché lo sliding doors, anche in questo caso, andò in favore del cantante? Facendo in modo che la carriera di Whitney Houston non prese una direzione diversa?

Successe che gli stessi produttori si accorsero in tempo che quella di Jimmy Ruffin stava per essere usata per il film citato. Contattarono Kevin Costner, al quale gli ordinarono di trovare un’altra canzone adatta per la Houston. L’attore hollywoodiano, all’apice della sua carriera all’epoca, considerato ‘Il mito degli anni ‘90’, non solo la trovò ma ebbe davvero un buon orecchio soprattutto per individuare il brano adatto per le potenti corde vocali della cantante afroamericana. Non a caso, lo stesso Costner è un musicista affermato con una propria band al suo seguito, seppur di musica country.

Si può dire, dunque, al di là di ogni ragionevole leggenda metropolitana che accompagnano sempre queste storie del dietro le quinte in cui emergono dettagli su come sono nati film o la canzoni stesse, che la scelta comunque non fu causale, ma ben ponderata. ‘I will alway i love you’, quindi, in realtà era già stata incisa da Dolly Parton quasi cinquanta anni fa; nel 1974, per l’esattezza.

Dunque, anche inavvertitamente da parte nostra, stiamo celebrando il cinquantesimo anniversario di una versione originale abbastanza dimenticata e che, nella sua essenza, rientrare, in uno dei particolari appuntamenti di speciali intitolato ‘Le cover’. Ma non divaghiamo.

Era chiaro, comunque, che la cover della Houston sarebbe stata proposta in chiave moderno presentando, a metà brano, l’inconfondibile sax di Kirk Whalum, che lo si può ammirare in tutta la sua maestria. D’altronde anche la versione originale di Dolly Parton venne usata nel 1974, da parte del regista Martin Scorsese, come sequenza del film: Alice non abita più qui. Mentre nel 1982 la stessa cantante la intonò in coppia con Burt Reynolds nel lungometraggio: Il più bel casino del Texas.

Nella storia della musica, però, ci entrava la cover di Whitney Houston, la quale ottenne tre 3 dischi d’oro in Austria, in Francia e in Messico. Ben nove dischi di Platino in Australia, Cina, Danimarca, Svezia, Giappone, Norvegia, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Regno Unito e in Italia. Mentre in patria, negli Stati Uniti, un disco di Diamante.

Per quanto riguarda il film? Si dice ancora oggi che non fu proprio un grosso successo commerciale. Venne lanciato da una campagna promozionale quasi senza precedenti, supportata, guarda caso, proprio dal brano della Houston, la quale si poté addirittura fregiare, addirittura, del titolo di singolo più venduto nella storia della musica da parte di una cantante femminile, con oltre 24 milioni di copie vendute.

Giusto quattro anni fa lo stesso brano è stato selezionato per la conservazione nel National Recording Registry, facente parte della biblioteca del Congresso. Ancora, l’anno successivo, questa volta ha metterci lo zampino fu la rivista Rolling Stones posizionando la canzone al 94° posto tra i 500 migliori brani musicali della storia della musica.

Insomma, un trionfo di cui l’eco si può sentire ancora adesso. Un trionfo che non è bastata a salvarla dai suoi demoni.

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