Secondo appuntamento con il Padrino del Soul e le sue intramontabili canzoni
Attingere dal repertorio musicale di James Brown non è proprio semplice. La scelta è vasta, come la sua carriera; vasta nel senso di tempo, vasta nel senso di anni, per non dire di decenni. Una carriera, semmai fosse ancora tra noi, sarebbe stata lunga settanta anni. Invece no, il Padrino del Soul ci lasciò il giorno di Natale del 2006 creando, a sua volta, un vuoto incolmabile come spesso accade in queste circostanze che fungono da fine di un’epoca; inesorabile ed ineluttabile.
Dunque, con questo speciale particolare stiamo comunque celebrando il percorso professionale di un artista con la A maiuscola, di un cantante che non è stato solamente un cantante, è stato sì anche un compositore, ma è stato, allo stesso, anche molto di più. E’ stato anche un motivo di vanto per la stessa comunità afroamericana, come lo sono stati tutti gli altri musicisti, cantanti e compositori che sono venuti dopo di lui e il motivo lo sappiamo e non c’è alcun bisogno di rimarcarlo tra queste righe virtuali.
Se questa considerazione mette, comunque, tutti quanti d’accordo, la scelta della canzone di oggi forse farà un po’ storcere il naso per aver tralasciato qualche altro pezzo pregiato del suo repertorio e lo facciamo per una semplice ragione: rimanere nell’alveo temporale degli anni ’60. Quei mitici, leggendari e maledetti anni che ci sono stati raccontati in tutti i modi e fatti vedere in tutte le salse. Su questo non avete torto. Ma, cari lettori, converrete anche voi che è impossibile non soffermarsi, in questa seconda parte, su uno dei suoi più grandi cavalli di battaglia?
Un singolo datato 1966, quindi pubblicata l’anno successivo alla canzone ricordata ieri. Un brano ha tutta una sua storia e importanza, anche per lo stesso cantante il quale, negli anni successivi, non ha mai smesso di eseguirla per aprire i suoi concerti o comunque che non lo dimenticava mai nell’organizzazione della scaletta di ogni singola data dei suoi tour.
Un brano che possiede diversi significati e, quasi sicuramente, anche diverse visioni. Perché se da un lato è vero che il testo di ogni canzone può essere sempre interpretato oggettivamente, ovvero dalla maggioranza di chi ha la fortuna di ascoltarla, c’è sempre un significato nascosto o diretto che lo stesso autore ha voluto dire al mondo.
Tutto questo sembra essere e rappresentare ‘It’s a Man’s Man’s Man’s World’. Un brano che possiede un ritmo trascinante non nel modo in cui tutti quanti si aspettano. Parte lento ed è lento. Con una melodia sofferente, quasi, come la stessa voce che intona il testo, la sua voce; quella inconfondibile di James Brown. Un singolo che sembra nascondere o portare con sé una carica emotiva non indifferente. In alcuni punti sembra quasi un grido disperato, miscelato ad una preghiera disperata.
Una canzone, come quella di ieri, che ha avuto un passaggio cinematografico molto significativo nel 1993. Avendo un sound dall’atmosfera prettamente drammatica, il regista e attore Robert De Niro, tratta da una commedia teatrale ideata e scritta dall’attore Chazz Palminteri, ‘It’s a Man’s Man’s Man’s World venne inserita nella sequenza, molto probabilmente, più tragica del film ‘Bronx’. Un’opera cinematografica che permise a Bob di conquistare la Palma d’Oro al Festival del Cinema di Cannes.
Nell’indicare questo ulteriore legame tra la musica di James Brown e il cinema, significa, in tutto e per tutto, certificare il riconoscimento unico di un artista capace di lasciare un’impronta indelebile nella musica di quegli anni e negli anni; conquistando generazioni di appassionati di musica, anche quelli che, magari, non ascoltano propriamente la sua cultura musicale di appartenenza.
Il genere soul che lui stesso ha contribuito ha forgiare nel corso del tempo diventando, indissolubilmente e inevitabilmente, simbolo e punto di riferimento da tener presente e da cui partire, semmai si volesse intraprendere la carriera da musicista o, perché no, come stiamo facendo noi, anche se non proprio in maniera completa, raccontare anche alcuni dettagli della storia della musica medesima.
La storia dello sviluppo di questa canzone non è proprio semplice e si dipana nel giro di pochi anni. Pubblicata, come già specificato, nel lontano 1966, esattamente nell’aprile dello stesso anno, dopo che venne incisa ufficialmente due mesi prima, ‘It’s a Man’s Mans’ Man’s World’ iniziò a vedere la luce, addirittura, un triennio precedente. Si, proprio così: in quel maledetto 1963, anno dell’attentato di Dallas ed un anno prima, ancora, della prima versione di ‘I got you’.
La prima tranche di sviluppo la si deve a Tammy Montgomey, meglio conosciuto come Tammy Terrell, un compositore, il quale lavorando ad una canzone proprio scritta da Brown si iniziò a soffermare su un possibile cambio di accordi. All’inizio il titolo era ‘I cried’, ma fu nel 1964, quindi sessanta anni fa, che James Brown attribuì a quello che in primo momento era solamente considerato un demo dal titolo molto semplice: ‘It’s a Man’s World’.
In quello stesso anno la canzone venne addirittura eseguita da Les Buie, chitarra, e Bernard Odum, al basso, ed esattamente nel disco ‘The Cd of JB’ e in ‘Star Time’. Ritornando al suo ritmo lento, alle sua atmosfere che fanno pensare, nonostante il titolo, ad un uomo o a uomini la cui vita li ha messi con le spalle al muro, il singolo, eseguito durante i concerti, permetteva allo stesso Brown di concedersi, allungando di molto la durata della canzone stessa, a qualche monologo improvvisato o comunque a delle riflessioni sia sulle vita e sia sul rapporto tra uomo e donna.
Non a caso, rimanendo proprio su questo tema, la rivista Cash Box, pubblicata a partire del 1942 e fino al 1996, che si occupava prettamente del mondo musicale, aveva sottolineato, in un dei tanti articoli pubblicati e descrivendo nello stesso tempo il pezzo musicale del Padrino del Soul, come ‘lento e carico di emozioni e che sottolinea che gli uomini sono piuttosto incompleti senza donne che li amino’.
La forza dell’amore, dunque, che manca e che viene urlata a squarciagola in segno di metafora da un James Brown, molto probabilmente, rispetto alle altre pubblicazioni davvero in stato di grazia.