La nazionale di De La Fuente è quella con più Europei vinti: 1964, 2008, 2012 e 2024
1964, 2008, 2012 e 2024. La Spagna cala il poker in Germania, vincendo il suo quarto titolo europeo; diventando, a tutti gli effetti, la nazionale che ha vinto più edizioni del torneo continentale per nazionali, superando gli stessi padroni di casa fermi, ormai, a tre. Vince, comunque, meritatamente. Vince mostrando, come al solito, il solito buon calcio; più pragmatico, più incisivo e più decisivo. De La Fuente corregge gli errori del suo predecessore, Luis Enrique, e respinge le decennali velleità inglesi con il loro ‘It’s coming home’ e che purtroppo, neanche questa volta, il calcio non è tornato in patria per gli inventori di questo magnifico sport.
Un gioco, quello spagnolo, che dal 2008 permette di raggiungere traguardi prima di allora insperati e solamente sognati. Un calcio, quello del tiqui taka, che avrebbe ucciso, quasi in tutto e per tutto, le individualità ingabbiandole in un tatticismo esasperato o meglio per come era stato impostato in precedenza; anche se la natura basilare rimane.
Rimane la capacità di tenere sempre la palla e di farla girare, implementando il possesso, e, allo stesso tempo, facendo girare a vuoto gli avversari; a meno che non si usa un’altra arma dello stesso gioco del calcio: il pressing. In questo caso quello alto, quello, a tratti asfissiante, quello difficile da sopportare per ogni portatore di palla.
Eppure, in questo articolo finale dedicato ad Euro 2024, dedicato alla finalissima del torneo, Spagna – Inghilterra, urge fare una riflessione. Che il calcio, da quando è nato, da quando esiste, è di fatto, nel bene o nel male, un gioco di squadra. Ma nella storia, prima dell’avvento del calcio spagnolo, che da sedici anni impartisce lezioni a tutti, si sono sempre idolatrate le individualità; i grandi calciatori talentuosi, campioni e fuoriclasse, con questo modo di giocare è tutto cambiato.
Un tempo esisteva lo stesso individualismo che uccideva il gioco. oggi, invece, è al contrario. ma è un modo, al tempo stesso, che funziona.
Con questo cosa vogliamo dire: che il gioco del calcio è diventato monotono, intrappolato su se stesso per uno ‘schema di gioco’ che tende a prevaricare l’istinto medesimo di chi gioca a calcio. tende a prevaricare, dunque, sulla stessa fantasia. Attenzione, però, non vogliamo denigrare il tiqui-taka a priori, sarebbe comunque ingiusto anche nei confronti di una nazionale che ha trovato, dopo anni e anni di frustrazione, di riuscire ad alzare trofei rispetto agli avversari. Un modo ritenuto, fino a qualche anno fa, impensabile.
Dall’altro lato abbiamo la solita realtà incompleta dell’Inghilterra. Certo, nelle due ultime due edizioni ha giocato due finali e le ha perse entrambe. Non gli rimane che sperare, fra quattro anni e sempre in termini di Europei, di rigiocare, per la terza volta consecutiva, un’altra finale con un dettaglio non proprio di poco conto, quello che Euro 2028 verrà organizzato nel Regno Unito; nel senso da tutti i paesi che formano lo United Kingdom.
Non si sa se Southgate rimarrà al suo posto dopo questo secondo schiaffo ottenuto all’ultimo atto della competizione consecutivo; il primo gliel’abbiamo dato noi quattro anni fa, semmai tre anni fa, per essere più precisi, proprio da noi. a questo punto c’è una domanda che ci gira per la testa da un bel po’ di tempo: che cosa manca veramente all’Inghilterra per alzare un trofeo?
Sono ben cinquantotto anni che gli inglesi non alzano una coppa. La prima e l’unica volta avvenne, guarda caso, sempre tra le mura amiche, nel lontano 1966. Era il Mondiale casalingo, in cui la finale risultò vincente contro i tedeschi. A United 2026, ovvero la prossima coppa del mondo che si giocherà tra Canda, Messico e Stati Uniti d’America, sono sessanta anni da quell’unico acuto. Cosa veramente manca agli inglesi? La stessa individualità? Neanche, visto che in queste sette partite le magie, anche se fortunate, non sono mancate da parte dei ragazzi di Southgate.
Il gioco, allora. A questo punto dovrebbe esasperare il proprio tatticismo? Non possiamo neanche dire che rischierebbero di snaturarsi, perché in fondo la stessa Inghilterra non ha mai e poi mai mostrato, anche nella sua storia, una vera e propria identità di gioco.
La Spagna l’ha acquisita partendo dai vivai e i vivai funzionano anche in terra britannica, allora che cosa è? Perché gli inventori del pallone non riescono da quasi ben sessanta anni non riescono a primeggiare? Per il momento è una domanda al quale, ancora, non riusciamo a rispondere.
Nonostante tutto la finale è stata veramente una gran bella partita. Entrambe le rappresentative nazionali hanno giocato a viso aperto, senza dimenticare la classica fase di studio del primo tempo. Una partita che poteva anche terminare con un pareggio, 2 a 2, e che avrebbe allungato la sfida ai supplementari e chissà anche alla lotteria ai rigori.
È naturale, comunque, dopo tutto quello che abbiamo detto fino adesso, sancire la forza inarrestabile degli spagnoli. In alcuni casi, il discorso fatto, risulterebbe quasi del tutto inutile, visto che sia il tatticismo, seppur esasperato, e la tecnica dei calciatori tendono a fondersi in un’unica soluzione. Tendono a produrre una miscela esplosiva che ancora nessun avversario è riuscito ad disinnescare.
Semmai, sono proprio gli stessi avversari ad adeguarsi a questo tipo di soluzione. Basta ricordare il nostro trionfo nell’edizione precedente, quella cosiddetta itinerante, in cui Mister Mancini aveva fruito degli schemi della ‘roca’ con la tanto odiata costruzione dal basso, invece di usare la ripartenza con i classici lanci lunghi.
Dunque, la Spagna torna a vincere meritatamente l’Europeo di calcio, il quarto della sua storia, lo ripetiamo. Mostrando, in queste sette partite in cui gli avversari non hanno potuto nulla per contrarla, un calcio, come detto, identitario ma snellito rispetto alla versione di Luis Enrique che lo portò, comunque, nell’edizione precedente in semifinale. Perdendo contro di noi alla lotteria dei rigori.
Vince mostrando al continente europeo, forse anche al mondo, una nuova generazione di fenomeni, i quali saranno chiamati, come logico che sia, ad aprire un ciclo. Quindi, gli spagnoli hanno già prenotato le coppe del 2026 e del 2028? C’è solo un modo per scoprirlo: attendere e complimenti di nuovo alla nazionale di calcio spagnola.