Piccolo speciale dedicato all’arrivo sotto il Vesuvio del più grande calciatore di tutti i tempi nell’estate del 1984
Da dove iniziare a raccontare questa storia? Direttamente in quello che ormai viene definito il ‘luogo sacro’ e che ormai porta il nome del protagonista? Oppure da quando il giornalista, scrittore e saggista Michelangelo Iossa ha trovato la sua barca in un posto sperduto? O per meglio dire: in un posto impensabile? Torniamo a parlare non tanto di calcio, semmai torniamo a parlare di lui, del ‘10’ per antonomasia, del ‘Dies’ come lo chiamano ancora oggi alcuni. Torniamo a parlare, e ci scusiamo per tutti coloro che credono in entità più sacre, della divinità di Diego Armando Maradona e del suo arrivo a Napoli, del suo ingresso in quello che un tempo era conosciuto come lo Stadio San Paolo della città di Napoli.
Per dovere di cronaca sarebbe più giusto soffermarci, all’inizio, sul ritrovamento della barca che fu dell’asso argentino verso la fine degli anni ’80. Un ritrovamento casuale e che, comunque, è avvenuto in un momento particolare, visto che tra oggi e domani si celebrano i quaranta anni, come detto, di Maradona nel nostro calcio, mutando per sempre il destino di una squadra, di un club, che, prima di allora, aveva conquistato solamente una Coppa Italia nel lontano 1962.
Dunque, potremmo veramente iniziare a raccontare da quel San Paolo stracolmo, quasi, di pubblico per assistere alla sua presentazione. Invece, preferiamo, come abbiamo fatto in occasione dell’anniversario del gol del secolo, di palleggiare, perdonateci il termine, tra un anno all’altro di quel magico decennio degli anni ’80.
Corrado Ferlaino, ingegnere ed ex Patron della squadra del Napoli, decise di fare un regalo al giocatore più rappresentativo della squadra, Maradona ovviamente. Di sicuro il motivo di tale gesto non era solamente rappresentato dalla riconoscenza per aver portato in bacheca il primo scudetto della storia e, forse, dipende anche dal periodo, in cui stiamo facendo riferimento anche la prestigiosa Coppa Uefa di trentacinque anni fa.
Tale gesto, dunque, doveva essere interpretato anche come uno dei tanti tentativi di riappacificazione tra lui e l’asso argentino dopo i continui scontri che emersero, in via del tutto ufficiale, l’anno seguente al primo e storico scudetto, datato 10 maggio 1987. Ferlaino, dunque, regalò una barca al Pibe De Oro.
La storia, quindi, è risaputa: nel senso dei problemi che lo stesso Maradona ebbe nella città partenopea. Quindi è inutile andarci a soffermare per innescare polemiche che, in questo caso, non avrebbero nemmeno logica visto che si tratta, da parte nostra, di una mera celebrazione per una storia fatta di puro amore tra lui e la città che iniziò quaranta anni fa.
Ma, sempre per dovere di cronaca, bisogna partire da una parte della fine. Ovvero da quando lo stesso Diego scappò da Napoli nel marzo del 1991 avviando anche una nota vicenda giudiziaria e la famosa curatela fallimentare seguita dall’avvocato Avallone.
Anni dopo, il figlio del legale, insieme al giornalista, scrittore Michelangelo Iossa, nelle zone dei vigneti del Falerno, trovano quello che era impensabile trovare. Proprio quella barca che Maradona ebbe da Ferlaino e che, lo stesso numero dieci, andò a prendere personalmente a Como.
Un cimelio, dunque, che porta con sé un bel carico di ricordi, di storia e, come non potrebbe essere altrimenti, una pagina importante della storia non solo del calcio di Napoli ma anche della città stessa. Una notizia che ha, negli ultimi giorni, attirato l’attenzione di molti magazine online e non solo: anche il tg3 ne ha dato la giusta importanza per questa che comunque potrebbe essere vista anche come una semplice curiosità legata a Maradona.
Maradona, infatti. Il suo nome, anzi il suo cognome, ritorna sempre; come un mantra dal quale non si può prescindere. Il numero 10 più forte della storia del calcio, in un assolato 5 luglio del 1984, sbarcò e approdò in quello che verrà poi considerato il suo tempio. Arrivò in pompa magna dopo che il suo acquisto fece per certi versi scalpore.
Scalpore in senso positivo, ovviamente. Eppure, la Società Calcio Napoli, nella sua storia, ormai quasi centenaria, era comunque stata avvezza ad avere campioni di un certo rango, di un certo spessore. Si pensi a Sivori ed Altafini. Si pensi a Dino Zoff e a tanti altri. Per esempio, nell’epoca A.M., avanti Maradona, c’era stato persino, a ricoprire il ruolo di terzino sinistro, l’olandese Rudy Krol. Ma il punto non è questo, il punto è quello che accade nell’epoca D.M., dopo Maradona.
Quello che lo stesso argentino aveva lasciato, non tanto come ricordo ma come impronta indelebile. Quello stadio pieno tutto per lui in quella particolare presentazione e per un semplice motivo: perché erano contenti di avere e quindi di andare a vedere il talentuoso giocatore? Certo che sì, ma ci sarebbe dell’altro: che all’epoca, sotto il Vesuvio, nessuno poteva credere ai propri occhi. Nessuno poteva realmente credere che quell’alieno fosse atterrato in una squadra, fino a quel momento, non aveva vinto nulla d’importante.
Ma ultimamente, proprio su quell’acquisto più clamoroso della storia del calcio, ha rilasciato delle interessanti dichiarazioni qualcuno in particolare:
“Non avevamo neppure quelli”. Il Riferimento sono i famosi soldi per pagare il cartellino dell’asso argentino proveniente dal Barcellona. Ha svelarlo, come detto negli ultimi giorni, è stato proprio Corrado Ferlaino, 93 anni, e con la lucidità dei tempi migliori, accompagnato da sua figlia Cristiana all’evento dedicato ai 40 anni dall’arrivo di Maradona che si è tenuto qualche giorno fa a Napoli. “Noi arrivammo a quasi 4 miliardi, il resto fu messo in modo molto creativo dai vertici del Banco di Napoli in una fidejussione fatta in pochissime ore”.
Una fidejussione fatta in pochissime ore e per molti versi anche insperata. Ma il vero protagonista di quello che fu il vero colpo di mercato dell’estate del 1984 fu il dirigente Antonio Juliano, per tutti ‘Totonno’, che riuscì nell’impresa di portare Diego a Napoli. Totonno, in passato, fu la bandiera del calcio Napoli e precisamente in un’epoca in cui, ripetiamo, la squadra aveva più volte tentato di vincere il tricolore senza mai e poi mai riuscirci. Poi dopo la storia incominciò veramente a cambiare.