Le altre cinque canzoni e perché Bruce Springsteen è soprannominato The Boss?

E siamo alla terza parte con lo speciale dedicato al settimo album di Bruce Springsteen. Siamo giunti fino a questo punto parlando, seppur in maniera generale, delle prime sei canzoni della tracklist e non tanto degli effetti che lo stesso lavoro springsteeniano determinò nei confronti della critica e del pubblico. Abbiamo solamente affermato, fin dall’inizio, fin dalla prima parte e per la prima volta indichiamo il titolo effettivo, che ‘Born In the Usa’ fu determinante per la sua consacrazione.

Un disco composto da dodici canzoni, di cui sei le abbiamo già passate sotto la nostra lente d’ingrandimento, ma non basta. Non basta, perché su quest’opera discografica ci sarebbe da dire molto di più. Bisognerebbe soffermarsi molto anche su altri aspetti, come per esempio quelli discografici e di come, tra le fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80 lo stesso Bruce stava attraversando un periodo non proprio felice, un periodo contraddistinto dalla depressione, poi fortunatamente superato.

La critica osannò il suo nuovo lavoro, uscito il 4 giugno del 1984, ma per alcuni, molto probabilmente una minor parte degli addetti ai lavori, lo considerava debole rispetto alle pubblicazioni precedenti. Con ciò si voleva dire che ‘Born To Run’ e ‘Darkness on the edge of town’ erano ritenuti una spanna superiori all’album considerato erroneamente patriottico. Ma su questo punto, come detto più volte, ci ritorneremo molto, ma molto presto.

Ma a questo punto quali sono le penultime tre canzoni da ricordare oggi? ‘Bobby Jean’, ‘I’m going down’ e ‘Glory Days’. Per quanto riguarda il primo titolo è chiaro a tutti che sovviene alla mente un’altra canzone, quella ben più popolare e ben più famosa di Michael Jackson, ‘Billie Jean’. Ovviamente Bruce Springsteen, in questo singolo, tocca altre corde, tocca altri temi. Pochi sanno che il singolo è collegato a ‘Surrender’. Ma come sempre andiamo con ordine.

Ieri, soffermandoci proprio su questa canzone, avevamo precisato che era conosciuta, in maniera errata, con il ritornello ‘No Surrender’. Il tema del testo era quello dell’amicizia tra lo stesso Springsteen e il resto della E-Street Band. A questo punto come mai ‘Bobby Jean’ è strettamente collegata, seppur in via indiretta’, con la canzone precedente?

Non è solo perché, seguendo l’ordine della tracklist, i due singoli sono successivi l’uno verso l’altro, ma per il semplice motivo di trattare la stessa tematica: quella dell’amicizia, che non finisce perché magari le strade, in ambito professionale si possono poi separare, anzi semmai si rinforza, si rinsalda. È quello che capitò a Steven Van De Zandt il quale, dopo averla scritta, si è sempre sentito sostenere dai suoi compagni anche nei momenti di mera difficoltà.

Arrivando a ‘I’m going down’ ci sarebbe da soffermarsi e anche parecchio su un aspetto molto particolare. In questo caso il problema è un altro ed è anche delicato. Lasciando perdere il testo e che comunque sia stato uno dei singoli che ha trascinato il disco di Springsteen, per alcuni la canzone stessa ha tenuto banco a causa di un’involontaria copiatura da parte di un nostro grandissimo artista. Chiaramente non diciamo che c’è stato plagio ma Vecchioni con la sua ‘Voglio una donna’ richiamò molto la canzone di Bruce Springsteen. Ovviamente fu del tutto involontario.

Per quanto riguarda ‘Glory Days’ c’è si ‘ascolta’ tutta un’altra atmosfera. Tra il serie ed il faceto, ci verrebbe da dire, in cui Springsteen racconta la storia di un uomo in base ai suoi giorni di gloria durante gli anni del liceo; dunque, della sua adolescenza, durante gli anni cui era una stella della squadra di baseball della scuola. Una canzone dal ritmo spensierato, seppur dal tema malinconico. Una canzone che insieme ad alcune analizzate fino adesso non solo era stata lanciata come singolo, ma che ha scalato le classifiche mondiali della musica.

Questa volta non ci fermiamo a tre con le canzoni. A sorpresa continuiamo, seppur brevemente, con altri due singoli che hanno impreziosito il disco di Springsteen, questo per concentrarci, domani, sull’ultima canzone, quella che attribuisce titolo al disco, svelando il dettaglio tenuto nascosto fin dall’inizio di questo speciale.

Ebbene le altre due canzoni sono: ‘Dancing in The Dark’ e ‘My Hometown’. Con la prima, pensiamo che vi ricordate, l’abbiamo più volte ricordata durante la nostra rubrica ‘La canzone del lunedì’. Una canzone talmente potente che al solo ascoltarla non si riesce a resistere nello stare fermi. Il significato della canzone, secondo una prima impressione, potrebbe essere inteso come quello di ballare nell’oscurità fino a quando non arriva la luce.

Questo tipo di significato, però, è fortemente legato alla traduzione letterale del testo. Invece, Bruce ci dice altro seppur in via indiretta. Nel testo il cantante affronta il tema dell’uomo in crisi con sé stesso e che non riesce neanche a guardare la propria immagine attraverso lo specchio.

Con ‘My hometown’, invece, Springsteen sembra tornare quasi agli esordi, al solo folk. Ma è solo parvenza. Il sound è un miscuglio quasi anche di pop, per non dimenticare l’onnipresenza del rock. Il tema affrontato dal cantante non è banale. Anzi, forse è anche una tematica poco sfruttata nell’ambito musicale. Nel testo, Springsteen racconta di sé e della necessita di lasciare la terra natia, in questo caso lo Stato del New Jersey, per tentare la fortuna nella più agiata California.

Prima di concludere vi sveliamo uno dei tanti dettagli nascosti fino questo momento. Partendo dal presupposto che il mondo delle sette note ha avuto due regni incontrastati, tra rock ed il pop, nonostante tutto non ha mai vantato la presenza di un boss; di una sorta di ‘capo’ a cui portare rispetto. Ebbene, perché mai di questa piccola premessa?

Semplice: come tutti sanno Bruce Springsteen nel mondo della musica è conosciuto con l’appellativo di ‘The Boss’. Secondo le cronache dell’epoca tale nome gli fosse già stato attribuito ancor prima degli esordi o, a quanto pare, gli venne inizialmente affibbiato perché alla fine di ogni serata o di concerto, era proprio lui che riusciva a dividere in quote i proventi ottenuti dopo le varie performances effettuate ai vari componenti della band; almeno questo è quello che riporta la leggenda che lo avvolge da diversi decenni.

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