Gli anni dell’attività letteraria, quella che nessuno si aspettava

Dopo la comicità, dopo il cabaret, dopo le trasmissioni televisive e quell’exploit musicale al Festival di Sanremo del 1994, per Giorgio Faletti quale sarebbe stata la sua più grande sfida da affrontare? La scrittura. Si, facile dirlo adesso. Ma osservando bene il suo percorso, la vita professionale, nei fatti, lo scrivere per l’artista astigiano non è stata un’attività saltuaria. No, al contrario. L’esprimersi con la scrittura era stato da sempre una costante. Si pensi, per esempio, a tutti i personaggi creati: i testi comici se li realizzava da solo. Si pensi ai testi delle canzoni. Quindi, quando lo stesso Faletti volle tentare la strada dello scrittore, diciamo così, in un primo momento ancora non pensava di diventare ciò che poi iniziò a rappresentare per tutti.

Il suo esordio letterario risale sempre a trenta anni fa. Sempre a quel particolare 1994, in cui la duplice attività musicale iniziava a diventare, seppur sporadicamente, parallela a quella letteraria. Seguendo la scia della comicità decise di sviluppare un libro in cui venivano narrate le avventure, ovviamente divertenti, del suo personaggio più famoso o che comunque gli aveva permesso di ottenere maggiore notorietà come cabarettista o come comico. Il titolo? Era tutto un programma: ‘Porco il mondo che ciò sotto i piedi’ e, naturalmente, il personaggio in questione era il mitico Vito Catozzo.

E poi? E poi nulla per ben otto anni dedicandosi, così, alla realizzazione di testi musicali e, sempre in quel periodo, anche all’attività teatrale. Infatti, portò in scena anche uno spettacolo comico da titolo ‘Tourdeforce’, in cui riuscì a miscelare l’umorismo e la caratterizzazione dei personaggi alla canzone d’autore. Ma tutto questo sarà solo un antipasto di ciò che accadrà dal 2002 in poi.

 “No, in realtà no. Lui all’epoca aveva scritto qualcosa tipo racconti, cose brevi però diciamo che fino al 2002 non era la sua attività principale. Era più dedicato al teatro, scriveva cose per il teatro. in realtà no, perché in realtà non pensava neanche lui. poi capitò, come tante cose che sono dettate dal caso o dalla fortuna, incontrò un suo amico giornalista e scrittore che è Piero Degli Antoni che aveva dato, appunto, da leggere dei racconti e Piero gli disse: lo sai che sono ben scritti, perché non gli porti da qualche editore? Perché sono veramente belli. Allora Giorgio lì portò all’editore che gli disse: sono veramente ben scritti, però per il momento i racconti non vanno per la maggiore, se tu avessi voglia di cimentarti con qualcosa di più corposo di un racconto magari ne riparliamo”.

“E fu lì che nacque la voglia, a Giorgio, di scrivere un romanzo. Il titolo lo aveva già in mente e che lo aveva già nel cassetto, senza sapere per cosa lo avrebbe utilizzato, però era un titolo ad effetto che gli piaceva, ma forse aveva una vaghissima trama e lui ci lavorò in maniera seria, in maniera più strutturata insomma. Questo era, più che altro, l’inizio del 2002, febbraio del 2002 e lui intorno a maggio dello stesso aveva scritto già metà romanzo, contando che era un romanzo di 700 pagine lui scriveva tutti i giorni e poi quando lo fece vedere all’editori, l’editore gli disse che stava venendo fuori un bel libro se lui avesse terminato per settembre per andare in stampa in primi di ottobre poteva uscire come strenna natalizia a dicembre per il Natale del 2002 e così fece e si mise a lavorare alacremente tutta l’estate e alla fine di settembre consegnò il libro all’editore e infatti uscì nel novembre del 2002”.

Con queste parole di Roberta Bellesini vi abbiamo, in verità introdotto, all’ultima parte della sua carriera e, purtroppo, anche all’ultima parte della sua vita: quella prettamente da scrittore.

Se nel 1994 diede conferma della sua verve comica, otto anni più tardi, quindi come già specificato più volte, nel 2002, Giorgio Faletti spiazzò tutti, ma proprio tutti, con il suo primo vero romanzo della vita: Io uccido. Un libro che rappresentava un’altra vita professionale per lui stesso e che, in quegli anni, fino al 2014, raggiunse un successo tale da porsi allo stesso livello di scrittori ben più famosi di lui.

Dunque, ‘Io uccido’ non rappresentò solamente una parentesi a sé stante, ma un percorso letterario che lo fece entrare di diritto nella storia del genere thriller e quasi poliziesco anche con altri romanzi come: Fuori da un evidente destino, Niente di vero tranne gli occhi, Pochi inutili nascondigli, IO sono Dio, Appunti di un venditore di donne, Tre atti e due tempi, La piuma e L’ultimo giorno di sole. Questi ultimi due titolo sono stati pubblicati postumi.

A questo punto, con Roberta, cerchiamo di entrare nel dettaglio del lavoro di Giorgio Faletti, pensando, logicamente, che molto probabilmente seguisse qualche schema che magari si appuntava anche su un foglio di carta o che magari partiva da un dettaglio, da una frase o perché no l’abbozzare anche solo un capitolo per iscritto. Invece?

“Ma il fatto che strano che m’inquietava è che lui non prendeva mai appunti perché è una storia così complessa, immagino che uno dovesse farsi come minimo uno schema, no, per gli eventi principali, anche perché alla fine del libro tutto deve chiudersi ed essendoci anche tante storie parallele, poi bisognava ricordarsi a mente tutto per chiudere il cerchio di tutto quanto, senza rischiare di dimenticarsi qualche pezzo per strada. Invece, lui, diceva che aveva proprio uno schema mentale nella testa e io, alle volte scherzando, gli dicevo ‘mamma mia speriamo che tu non cada e non batta la testa, perché se tu perdi la memoria, anche perché poi chi lo finisce il libro che non abbiamo un appunto, non abbiamo niente’. Quindi lui la trama principale l’aveva in testa, poi strada facendo ci aggiunto qualche altro personaggio collaterale, qualche storia collaterale”.

Eppure, il suo successo mondiale non venne ben visto da qualcuno in modo particolare. sì insinuò una diceria senza alcun fondamento. Una diceria dettata, sicuramente, dall’invidia. Perché in fondo, come diceva il grande Sergio Leone: la sconfitta te la perdonano tutti, il successo non te lo perdona nessuno.

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