L’epoca di passaggio tra la carriera adolescenziale e la carriera adulta

Da quel 14 dicembre del 1969 la parabola, sia esistenziale che professionale, di Michael Joseph Jackson sarà analizzata su due strade parallele: quella del successo, inevitabile e scontato, e sulla figura del padre. Proprio da quest’ultimo riparte il racconto, riparte dalla promessa mantenuta che Joe Jackson aveva fatto a sé stesso, riparte, però, da quelle zone d’ombra che hanno contraddistinto, da sempre, il rapporto tra il Re del Pop e il suo genitore. Alcuni dettagli, alcuni episodi sono ormai conosciuti e riportarli per filo e per segno non sarebbe una gran buona idea.

Ciò che bisogna riportare sono i dodici dischi che lo stesso Jackson compose e registrò con i suoi fratelli. Vinili pubblicati tra il 1969 ed il 1979, quest’ultimo è un anno spartiacque della vita, privata e professionale, dello stesso Jacko. Dodici dischi, dicevamo e allora andiamo a scoprire o comunque riscoprire i titoli che hanno infiammato il mercato della musica in quegli anni:

Diana Ross present the Jackson 5, Abc, Third Album, The Jackson Five the Christmas Album, Maybe Tomorrow, Looking Throw The windows, Skywriter, Get It Together, Dancing Machine, Moving Violation, Joyful Jukebox Music, Boogie. Non tutti, però, furono realizzati sotto l’etichetta della Motown per alcune divergenze economiche le quali, fino allo scioglimento definitivo del gruppo, porto i cinque fratelli a non chiamarsi più Jackson 5, ma solamente The Jacksons, ovviamente sotto un’altra casa discografica.

E in mezzo? C’è di tutto: fama, successo, gloria, premi e… qualcosa che forse sarebbe meglio non parlare e non tanto perché si finisce per rovinare l’atmosfera edulcorata di questa storia della musica, ma anche perché daremmo importanza, anche troppa, all’uomo che ha creato quell’irripetibile genio di Michael Jackson, finendo, purtroppo, di distruggere ciò che poteva essere: un uomo normale, un uomo come tutti che ha avuto un percorso di crescita regolare, affrontando, con calma e ordine, la sua crescita interiore.

Qualcuno dice che dal male può nascere qualcosa di buono, che dalle negatività si possono vedere i bicchieri cosiddetti mezzi vuoti. Forse in questo caso la musica in generale ne ha giovato di sicuro, ma l’uomo? Scusate, avete ragione: semmai il bambino Michael Jackson? È molto facile, oggi, affermare che Joe Jackson andrebbe condannato per quello che ha fatto: in effetti ha tolto ai figli la possibilità di essere ragazzi nella vita reale, nella vita di tutti i giorni, facendola sfogare, però, nel mondo delle sette note.

E lo stesso Jackson aveva trovato, anche e soprattutto per fortuna sua, nella musica stessa una valvola di sfogo. Non si limitò a realizzare quei dodici album con i fratelli. La vera gallina dalle uova d’oro era proprio lui e durante l’età delicata dell’adolescenza incise anche raccolte d’inediti come: Go to be there, Ben, Music and me e Forever Michael. In totale i dischi realizzati in gioventù sono sedici.

Durante le sue performaces Micheal Jackson non aveva mai fatto mistero d’imitare il suo idolo più grande, James Brown, attraverso un dettaglio particolare: la giravolta. Ma durante un’apparizione televisiva iniziò a manifestare delle doti molto, ma molto particolari per il ballo. L’occasione gli si propose durante l’esecuzione, in pubblico, della famosissima ‘Dancing Machine’. Macchina danzante, in italiano. In realtà era lui che era di un altro pianeta.

Pian piano, insomma, ci si stava accorgendo del suo talento cristallino, fuori dal comune che la natura stessa gli aveva regalato. Era nato per cantare. No, scusate, anche in questo caso avete ragione: era nato per cantare, ballare, improvvisare, intrattenere, creare, produrre. Era venuto al mondo, insomma, con la musica nel sangue.

La svolta musicale arrivò nel 1978. Si stava girando un musical e Micheal Jackson entrò a far parte del cast. Fortuna volle o destino volle, come meglio preferite, che la colonna sonora di quell’opera cinematografica stava per essere composta da un vecchio volpone della musica. Un cantante, prima, un compositore, poi, e, a seguire, un manager. Semmai, il manager: Quincy Jones, l’istituzione della musica in persona.

Le cronache dell’epoca vogliono che i due si conoscono e che sia lo stesso Jackson a chiedergli di produrre quello che sarà il suo primo long play da solista dell’età adulta; quindi, non confondiamo con quanto detto prima. Precisando, ulteriormente, che le tappe della carriera di MJ nell’età adolescenziale sono due: quella che inizia dal 1964, appunto, e termina nel 1976. Mentre la seconda potrebbe essere vista come una sorta di fase di passaggio tra quello che è stato e quello che succederà: dal 1976 fino al 1981.

Quincy Jones fa di tutto per ricreare l’immagine di colui che era, a quei tempi, il golden boy della musica. Non era ancora considerato il Re del Pop, ma all’incoronazione mancava ormai qualche annetto. ‘Off the wall’, oltre il muro in italiano. E’ questo il titolo di questo long play che fra qualche mese compirà quarantacinque anni dalla pubblicazione.

Già dalla copertina il mutamento d’immagine era in atto e, allo stesso tempo, anche molto evidente: smoking per le grandi occasioni. Oltre il muro, come oltre quello che si era visto fino a quel momento e, su tutto, il dimostrare a qualunque costo, quella maturità musicale che aveva raggiunto già da un bel po’ di tempo. Quella completezza professionale che lo avrebbe contraddistinto fino al giorno della sua improvvisa e precoce scomparsa.

Michael Jackon firmerà solo alcune canzoni del suo primo disco da adulto, ma né piazzerà ben quattro nelle prime posizioni di tutte le classifiche del mondo. un record assoluto. Fu a quel punto che tutti si iniziano sempre di più ad accorgersi di lui. In Off The Wall, Jackson con Quincy Jones riesce in un’impresa non da poco: miscela il sound di due generi musicali quasi all’antitesi tra loro. Quello del blues e del rhytm and blues con la discomusic.

Genere, quest’ultimo, che confermò la capacità di spaziare degli artisti afroamericani ma che, allo stesso tempo, attirò le ire dei conservatori del genere denunciando agli stessi artisti neri di essersi snaturati. In realtà non fu proprio così. entrambi i generei, almeno nel disco di Micheal sembravano complementari l’uno verso l’altro e poi… poi arrivò il 1982 e tutto, veramente, non fu più come prima.

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