Le parole di Victor Hugo Morales in quel 22 giugno del 1986
“La tocca per Diego, ecco, ce l’ha Maradona. Lo marcano in due, tocca la palla Maradona, avanza sulla destra il genio del calcio mondiale, e lascia lì il terzo e va a toccarla per Burruchaga.. sempre Maradona.. genio, genio, genio.. c’è, c’è, c’è… goooooooooool… voglio piangere.. Dio Santo, viva il calcio.. golaaaaaazooo.. Diegooooooool.. Maradona.. c’è da piangere, scusatemi.. Maradona in una corsa memorabile, la giocata migliore di tutti i tempi.. aquilone cosmico.. Da che pianeta sei venuto ?, per lasciare lungo la strada così tanti inglesi ? Perché il Paese sia un pugno chiuso che esulta per l’Argentina.. Argentina 2, Inghilterra 0.. Diegol, Diegol, Diego Armando Maradona… Grazie, Dio, per il calcio, per Maradona, per queste lacrime, per questo Argentina 2, Inghilterra 0”.
Forse adesso ci è più chiara la sua risposta, quella di Victor Hugo Morales s’intende. La sua fu un’onda di emozione incontrollata per quello che vide senza rendersi conto, molto probabilmente, che stava commentando in modo anomalo seppur da un punto di vista tecnico, quello che stava accadendo in campo. Quello che Maradona stava realizzando: un gol da far cadere l’intero stadio Azteca di Città del Messico e perdonateci l’espressione.
Quell’azione, in questi lunghi trentotto anni, è stata analizzata in tutti i modi. Alcuni hanno contato i tocchi di palla di Diego. Sono in totale undici. Altri nella corsa del numero 10 ci hanno addirittura visto delle movenze relative ai passi di danza, quelle del Tango puro, il ballo tradizionale del popolo argentino.
Al di là di qualche isteria collettiva, ciò che conta, ciò che la storia dice è che quel giorno sono accadute tre cose: un gol memorabile, la rivincita di una guerra persa anni prima ed il ‘relato’ più famoso della storia del calcio su cui, anche su questo bisognerebbe soffermarsi un po’. Nel senso che di sicuro, erroneamente, lo stesso Victor Hugo Morales viene ritenuto esser nato in Argentina. Invece non è proprio così. l’iconico giornalista sportivo, testimone di tante cronache di tra mondiali e coppa America, è in realtà nato a Montevideo, in Uruguay. Si, proprio così: un popolo calcistico con cui, contro gli argentini, sussiste una particolare rivalità storica.
Ma alla fine quel match, quel quarto di finale tra Argentina ed Inghilterra, com’è andò a finire? 2 a 1. Doppietta di Maradona, appunto, e col della bandiera inglese siglato dell’attaccante Gary Lineker. I britannici arrivarono ad un passo dalle semifinali, per quanto riguarda l’Argentina, invece, si era ormai capito che il torneo l’avrebbe vinto proprio lei, otto anni più tardi al trionfo casalingo del 1978, contro l’Olanda priva di Johan Cruyff.
Nell’ultimo atto di quel mondiale messicano, Maradona e Company incontrarono i ‘Panzer’ tedeschi di Matthaus e Voeller. Fu una guerra, calcisticamente parlando s’intende, che terminò con il rocambolesco risultato di 3 a 2 per l’albiceleste. Diego non segnò, ma accompagnò, letteralmente con un assist sublime il compagno di squadra Burruchaga. Quella fu l’ultima sua magia di Diego in quel mondiale messicano, le penultime, con tanto di realizzazione, le concretizzò contro il Belgio in semifinale. Non fu tanto il primo gol, quanto il secondo, ancora una volta, a far stropicciare gli occhi.
Questa magia venne, poi, ripetuta dallo stesso Diego durante una delle prime giornate di campionato, della Stagione 1986/87, nella trasferta vittoriosa di Brescia. In fondo era tutto semplice per uno come lui. Jorge Valdano, attaccante e dirigente del Real Madrid e compagno di nazionale dello stesso Maradona nella fortunata spedizione messicana, durante un’intervista di molti anni fa dichiarò queste parole, il cui senso intendevano questo:
‘Quando eri compagno di squadra e lo vedevi giocare ti portava ad un livello tale che tu non eri più un giocatore di calcio, ma uno spettatore. Ma quando era lui a passarti il pallone dovevi tornare in campo con la testa e svolgere il tuo compito’. Ripetiamo, questo è solamente il senso del concetto che lo stesso ex attaccante ha espresso e non proprio l’esatta dichiarazione, intesa come parola per parola, rilasciata qualche tempo fa.
Se a dire tale pensiero è stato, addirittura, un calciatore, suo compagno di squadra e grande amico, cosa devono dire tutti quelli che lo hanno visto allo stadio, in televisione o, addirittura, anche attraverso gli spezzoni di filmati caricati su Youtube? Maradona trasformava tutti quanti in spettatori consapevoli e no. Ciò è valso anche per il giornalista sportivo Victor Hugo Morales in quel giorno di quasi quarant’anni ormai orsono.
Nella serata che si è svolta il 7 maggio scorso, in quel dei Campi Flegrei a Napoli, interamente dedicata al famoso telecronista sudamericano, non è stato solamente ricordato quel gol, quel gesto eroico sportivo, ma anche la carriera dello stesso Morales e non solo mediante la classica conferenza stampa con noi giornalisti. Anche con una prosecuzione di evento che ha visto, come ospiti, personalità illustri sia dello stesso mondo della carta stampata o comunque anche stampa online e della letteratura. Si pensi a Maurizio De Giovanni e tanti altri.
Tornado a Victor Hugo Morales, il premio ‘Poeta del calcio’ che gli è stato conferito non è solo ed esclusivamente collegato al 22 giugno del 1986. Tale riconoscimento possiede anche la valenza di consacrazione di una carriera iniziata nel lontano 1964. Sessanta anni fa, dunque. Quando Hugo Morales aveva solamente, si fa per dire, diciassette anni.
Nato il 26 dicembre del 1947, i primi passi vengono mossi nel mondo delle radio, esattamente per Radio Colonia. Qualche anno più tardi, nel 1969, venne nominato responsabile sportivo di Radio Ariel. Un altro passo in avanti della sua carriera avvenne nel 1970, in cui per undici anni ricoprì il ruolo di direttore sportivo di un’altra emittente radiofonica: Radio Oriental, di Montevideo. Eppure, nonostante i passi in avanti sia in ambito professionale che personale, non furono anni positivi per Victor Hugo Morales: venne persino incarcerato dal regime del suo paese mentre si instaurava un regime dittatoriale in Uruguay.
La svolta arrivò, proprio nel 1981, quando si trasferì in Argentina fino ad arrivare ad essere radiocronista e seguire quei famosi mondiali messicani; fino ad arrivare a quell’espressione, ‘Barrilete cosmico’, aquilone cosmico, che ancora oggi appare veramente come l’unico modo per definire, in quel momento, il giocatore più forte di tutti i tempi: Diego Armando Maradona.