Quel gol del ‘Barrilete Cosmico’ ed un telecronista che esprime tutta la sua emozione

Ci sarebbe un altro dettaglio di questa storia relativa a quel 22 giugno del 1986. Come abbiamo detto, lo scenario era la coppa del mondo di calcio, esattamente uno dei quattro quarti di finale, due nazionali che si affrontarono su un terreno di gioco mortale per poi ritrovarsi in una sorta di rivincita non ufficializzata ma ugualmente sentita sugli spalti. Ma non è tutto tra i tanti testimoni che erano presenti allo stadio ne era ce n’era uno che aveva il compito del cosiddetto ‘relato’. Termine spagnolo con il quale si indica la cronaca di un qualcosa.

Ma andiamo con ordine. Il match fino a quel momento era scivolato via con le squadre che cercavano di superarsi vicendevolmente. La posta in palio erano le semifinali di quell’edizione. Chi passava il turno avrebbe incontrato il Belgio. Ogni giocatore cercava di dare il massimo in base alle proprie capacità, cercando di superare anche i propri limiti. Ecco, soffermiamoci su quest’ultima parola: il limite.

Per tutto il torneo, tra le fila della selezione argentina, c’era un piccoletto capace di qualsiasi cosa con la sfera tra i piedi. Pardon, chiediamo scusa, su un solo piede: il sinistro. Aveva il numero dieci sulle spalle ed era, rispetto ai suoi compagni di squadra quello più indiavolato di tutti.

Aveva il numero dieci sulle spalle e ogni volta che gli arrivava la palla o la andava a recuperare tentava sempre qualche giocata di alto tasso tecnico ma mai fine a sé stessa. Non era lezioso, giocava per la squadra. Addirittura, nel primo tempo, sfiorò il palo con una punizione calciata quasi camminando. Poi, intorno al cinquantesimo minuto della ripresa, più esattamente il cinquantunesimo, iniziare a succedere qualcosa.

Il numero 10 ha un’accelerazione quasi al limite dell’area di rigore avversaria. Cerca il triangolo stretto con un suo compagno, lo trova fortunosamente perché è stesso un giocatore avversario a fargli evitare la trappola del fuorigioco con un rinvio maldestro verso il portiere. Il piccoletto si lancia, l’unico ostacolo tra lui e la porta è l’estremo difensore più alto di lui.

Il fantasista argentino fa di tutto per raggiungere il pallone e riesce a beffare il portiere saltando contemporaneamente a lui. Una volta anticipato la sfera scivola oltre la linea della porta e segna il vantaggio. Ma qualcosa non torna, tutti i giocatori inglesi protestano in maniera veemente, anche il portiere fa la stessa cosa. Solo dopo si scopre ciò che è successo: il 10 albiceleste ha segnato con la mano e nessuno se n’era accorto, solo con le varie telecamere posizionate in vari punti del campo si capisce cosa è realmente accaduto: il piccoletto ha segnato con la mano.

Non è finita qui, perché gli schemi iniziano a saltare cinque minuti più tardi e non solo calcisticamente parlando. Sempre il numero dieci si ritrova nella sua metà campo, sul centrodestra. Nel tornare in copertura gli giunge il pallone e con una piroetta si gira su sé stesso e parte verso l’altra metà campo avversaria scartando, uno per uno, quei cinque giocatori menzionati all’inizio ma solo un telecronista presente allo stadio, a quella giocata, ebbe questa tipo di reazione.

Ecco il dettaglio nascosto di questa storia, di questo incredibile episodio sia extracalcistico che calcistico. Un telecronista che impazzisce letteralmente ad una giocata mai vista sul campo e che neanche il grande brasiliano, Edson Arantes Do Nascimento, avrebbe fatto. Quel numero 10, quel piccoletto, quel ‘barilete cosmico’, come venne definito dal cronista sportivo, era Diego Armando Maradona ritenuto oggi, il più grande calciatore di tutti i tempi. Il giornalista? Victor Hugo Morales.

Qualche mese fa, quest’ultimo, abbiamo avuto il piacere d’incontrarlo a Napoli per un premio che gli era stato conferito proprio per questa sua descrizione fuori schemi dal più classico dei giornalismi istituzionali ma che, nell’essenza, c’era tutta la logica di una gioia di essere diventato testimone, ‘gracias a Dio’, non di un gol, ma di una giocata storica. Realizzata dal giocatore più imprevedibile del torneo e che si era legata al dito la questione delle Malvinas.

Si, esattamente così: ecco la vera rivincita. Il gol di mano, definito dallo stesso Diego ‘La mano di Dio’, per discolparsi, e quella serpentina che, per molti, ancora oggi faticano ancora a credere che sia stata realizzata volontariamente e non per un caso fortuito.

Il punto, però è un altro. Non tanto superficiale quanto in verità potrebbe sembrare. Quello dell’asso argentino, che in quegli anni era in forza al Napoli, club italiano che avrebbe vinto il primo storico scudetto l’anno successivo, era, di fatto un atto politico. Un atto che nessuno potesse immaginare che si poteva materializzare su un campo di calcio. Su questo goal molto si è scritto e molto si è anche detto. Ma il fascino di quanto è successo ha oltrepassato i confini del giornalismo come detto.

Tornando a Victor Hugo Morales, il giornalista di origine uruguaiana, quel giorno, si potrebbe dire e che non si offendesse, perse completamente l’aplomb da mantenere durante una cronaca sportiva. Nell’incontro di qualche mese fa, introdotto da Michelangelo Iossa, giornalista e saggista, abbiamo avuto anche l’occasione di rivolgergli una domanda che, lo ammettiamo, a tratti potrebbe essere addirittura stupida, senza alcun senso, ma che sotto nasconde tutta un’altra prospettiva.

“Per una questione di pudore personale, sorpreso, lusingato e che non ci posso credere quando mi inviano foto. Però sono sempre cosciente che tutto questo rappresenta l’amore per Diego, però mi fa felice perché sono le mie parole che ricoprono le gambe, le braccia, le spalle. È un orgoglio per me, come per tanta Gente nel mondo non solo a Napoli”.

Tale risposta faceva riferimento ad una sua dichiarazione precedente in cui affermava di vergognarsi per il semplice fatto di vedere, il più delle volte, le sue parole tatuate di quello spezzone del cosiddetto relato su alcune parti del corpo delle persone. In effetti, farebbe effetto a chiunque, mettendo veramente anche un po’ a disagio.

Ma a distanza di trentotto lunghi anni bisogna precisare una cosa. Che in quel giorno a Città del Messico, avvenne veramente qualcosa di davvero surreale che le giovani generazioni, soprattutto, faticano a credere quello che sembra essere un racconto uscito da un film leggendario. Ma quali erano, esattamente, le parole usate da Victor Hugo Morales?

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