Nella notte tra il 21 ed il 22 giugno del 1964 vennero assassinati, nel Mississippi, tre attivisti per i diritti civili
Tra i tanti film dedicati alla lotta contro il razzismo ce n’è uno in particolare che ha una chiusura tutta evocativa. Siamo in un cimitero, l’inquadratura scorre tra le lapidi che spuntano dal placido prato verde. Chissà quante storie sono sepolte in quel luogo, quante vite vissute e quante vite spezzate. Direte voi: è un film non c’è bisogno di così tanta retorica. In effetti non ne facciamo, perché quell’opera cinematografica è ispirata non solo a fatti realmente accaduti ma, oltretutto, ad un caso di cronaca che tenne banco e con il fiato sospeso tutti gli Stati Uniti d’America. Non solo, in via indiretta, raccontò un anno, il 1964, ritenuto, in base ad una scritta incompleta per effetto di una lapide spezzata, e che l’unico numero che si vede è quello che fa menzione all’anno di riferimento, con una scritta ‘Not Forgotten’. In italiano, ‘indimenticabile’. Scritta ripresa dall’ultima inquadratura che chiude il film.
Ma fu veramente così? Quel 1964 fu davvero indimenticabile? Ci sono due date a confermarlo. La prima a cavallo tra due giorni e l’altra un giorno ben preciso e che portò la conferma di quanto un’intera comunità e buona parte degli Stati Uniti sperava da tempo: l’approvazione dell’Act Civil Rights voluto in tempi non sospetti anche dal Presidente John Fitzgerald Kennedy, assassinato a Dallas il 22 novembre del 1964. L’Act Civil Rights venne firmato dal successore di Kennedy, Johnson, in presenza del futuro premio Nobel per la pace il reverendo pastore protestante Martin Luther King.
La firma tanto attesa giunse il 2 luglio di quello stesso anno. Era una splendida notizia per tutta la comunità afroamericana che per anni, per non dire decenni o per secoli, è stata sempre costretta a subire delle ignobili vessazioni di tipo razziale sotto ogni punto di vista. Nonostante questa goccia di speranza gli Stati del Profondo Sud tornarono nuovamente all’onore della cronaca sempre più nera per la sorte di tre ragazzi; precisamente per tre attivisti dei diritti civili.
Si chiamavano rispettivamente James Earl Chaney, Andrew Goodman e Micheal Swerner. I tre scomparvero tra la notte del 21 ed il 22 giugno di quello stesso. La loro missione, partiti da Washington, era quella di convincere i componenti della comunità afroamericana ad iscriversi presso il tribunale della contea in modo da esercitare e far valere il proprio diritto di voto.
Secondo le cronache dell’epoca i tre si presentarono presso la Chiesa metodista di Mount Zion, luogo di ritrovo della comunità, affermando che erano in grado di aiutarli e, oltretutto, rincarando la dose, i tre affermarono che la schiavitù era terminata da cento anni e che ormai ed era tempo di agire.
Queste parole avrebbero innescato la reazione dei cavalieri bianchi del Ku Klux Klan i quali, proprio nella notte indicata, agirono uccidendo, con colpi di arma da fuoco, gli attivisti dei diritti civili con la complicità dell’ufficio dello sceriffo della contea di Neshoba, nello Stato del Mississippi. Prima di farli sparire per sempre, lo sceriffo lì arrestò con un pretesto per poi rilasciarli in tarda serata del 21 di giugno. Tale mossa avrebbe permesso allo stesso klan di organizzarsi come meglio credeva nel preparare la trappola mortale ai tre ragazzi.
Una volta uccisi gli attivisti dei diritti civili vennero sepolti nel terrapieno di una fattoria limitrofa. Durante il seppellimento dei cadaveri uno degli assassini proferì tali parole:
Beh, ragazzi, avete fatto un buon lavoro, avete segnato un colpo a favore dell’uomo bianco, il Mississippi può essere fiero di voi, avete fatto sapere a questi estranei agitatori com’è questo Stato. Ora andate a casa e dimenticate tutto ma prima di andare sto guardando negli occhi ognuno di voi e vi dico questo: “il primo che parla è un uomo morto! Se qualcuno che sa qualcosa su quanto è successo apre bocca con qualsiasi estraneo, gli altri lo uccideranno, come abbiamo ucciso quei tre figli di puttana stasera. Tutti capiscano bene quello che sto dicendo. Chi parla è morto, morto, morto!
A distanza di sessanta lunghi la parola fine, su quel truce caso di cronaca tutto americano, sembra esser stata posta quasi venti anni fa. Quando nel 2005 venne condannato la mente di quel triplice omicidio. Un processo che si trascinò per anni e che vide la sua conclusione quando ormai tutti i protagonisti, in negativo, erano anziani o ormai morti a causa dell’età
Ma in quel 2005, con quella condanna a dir poco storica, venne sconfessata una verità inoppugnabile nella mentalità di quello Stato tanto affascinante, tanto negativo per questo tipo di situazione: che non era mai stato un bene rinvangare il passato. Cosa che, però, avvenne. Non tanto per lavarsi la coscienza agli occhi del mondo, quanto per dimostrare che non sempre alcune cose, alcuni modi di pensare in alcuni posti degli Stati Uniti d’America fossero sempre gli stessi.
È pur vero che in quel 2005 mancavano solamente tre anni all’elezioni più sorprendenti della storia della nazione, quella di Barack Obama. Da quel 1964 al 2008 sono quarantaquattro lunghi anni in cui, dal punto di vista razziale, è successo di tutto negli Stati Uniti d’America. Dai significativi passi in avanti e pericolose giravolte verso il passato e frattanto, quattro anni più a tardi a quella maledetta notte del 21 e 22 giugno, c’è un’altra data da cui non si può prescindere: 4 aprile del 1968. Il giorno, il mese e l’anno in cui il Premio Nobel per la pace Martin Luther King venne assassinato a Memphis con un colpo di fucile nel Lorrai Motel.
Eppure, la morte di quei ragazzi scosse non solo la comunità nera ma anche quella bianca. Come anche la morte di Martin Luther King quattro anni più tardi. scosse a tal punto l’opinione pubblica che l’Fbi, comandata all’epoca dall’ambiguo John Edgar Hoover, avviò un’indagine per arrestare gli assassini dei ragazzi. Un’indagine, un’operazione, a quanto sembra, che venne monitorata anche da Bob Kennedy e il cui nome ha ispirato, ventiquattro anni più tardi un famosissimo film diretto dal regista Alan Parker ed interpretato da Gene Hackman e Willem Dafoe, stiamo parlando di ‘Mississippi Burning’.