In occasione degli Europei vi raccontiamo giorno per giorno le edizioni precedenti con i Mondiali
Mondiali ed Europei. Europei e Mondiali. Due tornei e due storie di calcio e sul calcio parallele completamente diverse. Due tornei a rappresentative nazionali che da sempre attirano l’attenzione degli amanti del calcio e no. Per il torneo continentale il fischio d’inizio ci sarà domani per la nuova edizione targata 2024 in Germania, la seconda dopo quella del 1988 che vide trionfare l’Olanda di Gullit e Van Basten e, proprio in merito a questo, gli ‘Orange’, riusciranno a ripetersi in questa nuova edizione?
Per quanto concerne i Mondiali il fischio d’inizio avverrà fra due anni, nuovamente in Messico, per la terza volta nella storia, ma questa volta insieme agli Stati Uniti d’America, per la seconda volta nella storia, e per la prima con il Canada. Insomma, per un ‘menage a trois’ davvero singolare e perdonateci l’ironia extracalcistica.
Da dove iniziare, dunque, per iniziare a raccontare queste storie parallele? Si è deciso per andare ad esclusione. Esclusione di cosa? Di tutte le singole edizioni, sia dell’uno che dell’altro. Concentrandosi, dunque, solo ed esclusivamente su quelle che compiono i famosi decennali; vera caratteristica del nostro giornale, per non dire fondante.
Certo, almeno per quanto riguarda gli Europei dovremmo partire dalla prima edizione, quella del 1960, ma anche qui ci accontenteremo di partire da quella del 1964. Per i Mondiali? Basta quella del 1934, per il momento. Una scelta ponderata, ben studiata e sviluppata tenendo presente il calendario di oggi, 13 giugno, in cui, almeno per la World Cup, vengono ricordati i 50 anni del fischio di inizio, neanche a farlo apposta, del Mondiale tedesco del 1974. Quello di Beckenbauer che ebbe la meglio sulla Super Olanda di Johan Cruyff, ‘Il profeta del gol’.
Una Super Olanda bellissima e sfortunata che perse la sfida più importante entrò comunque nel mito e nella leggenda di quel ristretto gruppo di squadre, nazionali ovviamente, le quali nonostante avessero tutte le carte in regola per poter trionfare, non riuscirono mai a laurearsi campioni alla fine del torneo a cui avevano preso parte. Beffe atroci che nel tempo si sono tramutate in magre consolazioni grazie ai continui consensi positivi conquistati nel corso degli anni e dei decenni successivi.
L’Olanda di cinquanta anni fa ne è solo uno degli esempi lampanti. Si pensi, per esempio, settanta anni prima l’Ungheria di Ferenc Puskas, la Bulgaria di Hristo Stojichkov trenta anni fa o, ancora, la Svezia dei fratelli Liedholm nel 1958. Certo, la maggior parte delle squadre menzionate sono state, in alcuni casi, delle mere occasionalità.
Per quanto concerne l’Olanda del Profeta del calcio, scomparso nel 2016, era tutt’altro che un momento positivo ed occasionale. No, era qualcosa di innovativo, una mentalità di gioco ma vista e messa in pratica sul rettangolo di gioco e da allora sono trascorsi mezzo secolo da quella rivoluzione ‘Orange’. Di sicuro in questi giorni ve la faremo scoprire attraverso articoli e filmati di repertorio condivisi da YouTube, ma prima vi ricordiamo quali furono le nazionali di quel mondiale tedesco:
La stessa Germania, in primis. A seguire: Brasile, che era il Campione del Mondo in carica: poi Uruguay, Scozia, Argentina, Polonia, Italia, Australia, Germania Est, Bulgaria, Paesi Bassi, Cile, Svezia, Haiti, Zaire e Jugoslavia. Man mano che andremo ad analizzare ogni singolo match, alle volte anche con un singolo articolo, vi faremo scoprire la composizione dei gironi della prima fase di quella che l’edizione, della coppa del mondo di calcio numero dieci del torneo, e lo faremo a partire già da adesso con il ricordo del match inaugurale.
Brasile – Jugoslavia. Era questo il match che diede il via al primo mondiale in terra tedesca e a dispetto del risultato, un apparente scialbo 0 a 0, quei primi novanta minuti lasciarono intendere che gli amanti del calcio di tutto il mondo avrebbero assistito ad un torneo ad alto tasso tecnico, combattuto e spettacolare.
È vero, stiamo parlando degli anni ’70, non quelli odierni del tiki-taka, con il suo asfissiante tatticismo che, al di là di accontentare coloro che giocano solo alla playstation, ingabbia un po’ troppo l’istinto primordiale di qualsiasi calciatore, quella della giocata improvvisa, fulminea e personale; quello di rendere il calcio un semplice gioco d’istinto e d’improvvisazione e non della ricerca, spasmodica ed innaturale, della perfezione.
Al di là di questa semplice considerazione, forse anche un po’ soggettiva da parte nostra, in quel lontano 13 giugno di 50 anni fa il pareggio a reti inviolate tra la due rappresentative nazionali del Brasile e della Jugoslavia non aveva mantenuto fede al pensiero di O’Rey, non presente in campo in quell’edizione, il quale disse, più o meno, che non c’era cosa più triste di una partita che termina senza gol.
Al contrario, le due squadre tennero fede e rispetto dello stesso gioco e sport che rappresentavano e per cui si sfidavano in quella prima prova, onorando con il giusto impegno il gioco stesso del calcio. Eppure, il Brasile non era più quello di quattro anni prima. Mancavano diversi protagonisti della leggendaria spedizione messicana, in cui venimmo travolti nella finale di Città del Messico.
La nazionale dell’est Europa sembrava avere una marcia in più, forse anche più in forma rispetto ai Campioni del Mondo in carica. Più reattivi, giungendo prima sul pallone e sbagliando poco in fatto d’impostazione ma molto davanti alla porta avversaria. In quella partita gli Jugoslavi fallirono ben quattro palle gol molto nitide, meritando molto di più del semplice pareggio; mettendo quasi all’angolo un Brasile molto deludente e che non lo fu solo per quel match inaugurale.
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