All’insegna di una prospettiva di ‘lirismo critico’
Il tema della diffusione nel Mezzogiorno d’Italia di una sensibilità ‘chiarista’ impone che se ne precisi la particolare considerazione che possono meritare alcuni aspetti della attività artistica che viene svolta in queste regioni all’insegna di una delibazione pittorica portata a sfaldare il ductus in una impermanenza luministica che non s’apparenta alle atmosfere cromatiche delle nebbie padane o lagunari, ma rispecchia una condizione di ineffabile chiarore albato che è quello delle pallide foschie dell’Appennino irpino o lucano ed è anche quello del baluginio dei vapori che si alzano dalle campagne dell’entroterra napoletano e campano o addirittura quello delle lanosità atmosferiche che scendono, talvolta, sul Canale di Sicilia ad avvolgere l’esistente e il mare in una nuvola magica e cotonata.
All’insegna di questa diversa luminosità che non è sottilmente intesa dei toni grigio-azzurrini delle nebbie padane e lagunari, ma di quelli ambrati di una solarità che si presenta neghittosa, ma non assente, alcuni artisti meridionali sviluppano la propria ricerca con modalità d’intervento analoghe a quelle dei colleghi settentrionali, manifestando, quindi, nei propri lavori, l’ansito di coscienze appartate ed interroganti, insofferenti del dettato obbligante della predittività ‘novecentista’, intenti a cercare, in una solitudine dell’animo, le ragioni di una autocoscienza creativa cui appare giusto attribuire la definizione di ‘lirismo critico’.
Alla luce di tali considerazioni, possiamo utilmente iscrivere alcune personalità che operano nel Mezzogiorno, personalità sostanzialmente in- dividuali ed isolate, nel contesto di una temperie ‘chiarista’ che produce una ricerca molto suggestiva, non facile da documentare, ma particolar- mente intrigante nelle sue risultanze fruitive.
Ci accostiamo, quindi, ad un autore, Tommaso Macera, (1910-1985)45, artista gaetano, che ci introduce nelle ragioni logiche e figurative della temperie meridionale, personalità versata ad una analisi attenta del portato luministico, indotto a sfaldarsi nei piani di una lattiginosità talvolta anche opalescente.
L’artista è uno degli esponenti di punta di quella temperie particolare che abbiamo anche additato come ‘Scuola di Gaeta’, che ha caratteristiche storiche e culturali di grande intrinsichezza con l’ambiente napoletano, e si distingue più che per una peculiarità di ordine stilistico, per una mar- cata predilezione alla rappresentazione del territorio, che viene amorevol- mente indagato nei suoi aspetti paesaggistici, ambientali ed antropologici, fornendo una testimonianza di pregevole caratura storiografica oltre che propriamente artistica. Il corso storico che è possibile osservare come pe- riodo di dispiegamento di ciò cui abbiamo inteso assegnare l’appellativo di ‘Scuola di Gaeta’ è quello dagli anni di fine secolo dell’’800, quando comincia ad affacciarsi tempestivamente e precocemente attivo l’impegno di Saturno Bartolomei (1882-1965) fino al decennio degli anni ’60 del ’900, quando appaiono ormai in campo gli epigoni, a fianco degli ultimi ansiti dei maestri ‘storici’ di questa lunga stagione artistica.
Gli esponenti più significativi della ‘Scuola di Gaeta’ sono, tra gli altri, Saturno Bartolomei e Tommaso Macera già citati, Mario Lieto, Cristoforo Sparagna, Erasmo Ranucci, Umberto Recchia, Manlio Alfieri, Antonio Sicurezza. Di fatto, il padre nobile di questo raggruppamento di artisti può essere considerato Pasquale Mattej (1813-1879), artista formiano, la cui personalità si collega agli esiti della stagione ‘posillipista’ ed all’influenza di Pitloo. Sul piano creativo, scendendo in dettaglio su qualche aspetto di ciò che ha concretamente prodotto questo raggruppamento di artisti, è possibile osservare che, mentre la pittura di Bartolomei si rivela più significativamente caratterizzata dal tratto segnico, quella di Mario Lieto muove, invece, ad un più soffice privilegiamento delle atmosfere, così come, d’altronde, avviene nella pittura di Macera, che, rispetto a Lieto avverte più fortemente agente il richiamo ‘novecentista’, cui non si piega, però, in modo succube ed ossequioso46.
La pittura di Tommaso Macera (1910-1985), che giova qui additare per i richiami che suggerisce alle sensibilità proprie dell’innocenza ‘chiarista’, mette in evidenza modi figurativi di serena disposizione di mitezza psicologica (Paesaggio, Natura morta con brocca), in cui la pienezza della luce meridionale si fa luminescenza pacata e soffusa, non perdendo nulla del suo splendore, ed adattandosi a fornire piuttosto che il rigoglio dell’esuberanza, la più soffusa pacatezza di un tonalismo accortamente meditato. L’artista, alla fine degli anni ’40, nel corso di un suo breve soggiorno a Venezia, ha modo di accostarsi ‘in presa diretta’ alla pittura di Semeghini, di cui avverte la prossimità delle soluzioni tonali47, che già costituiscono il nucleo fondante della propria identità creativa, confermandolo, quindi, nelle sue scelte di indirizzo non solo tecnico, ma anche contenutistico, che disegnano un’ulteriore scansione del tema del ‘lirismo critico’.
Può essere importante ribadire, a questo punto, che il contributo creativo di Tommaso Macera vale anche come ottimo viatico per accompagnare il processo di lento attraversamento d’anni che si sviluppa dal periodo che precede la seconda guerra mondiale a quello del secondo cinquantennio del ’900, introducendo il tema degli sviluppi che assume nel Mezzogiorno d’Italia questa modalità creativa di stampo ‘chiarista’ opportunamente intesa nella prospettiva di ‘lirismo critico’.