Il tredicesimo appuntamento con la serie di articoli dedicata al Chiarismo
Sul piano della delibazione figurativa più propriamente paesaggistica, può essere utile citare altri nomi, come quelli di Gaetano Bighignoli (1907-1988), o di Savino Labò (1899-1976), di Raffaello Locatelli (1915- 1984), di Lino Novelli (1908-1941), di Antonio Orlandi (1897-1976), che descrivono nei modi di una pratica discretamente ‘tonale’, e mettendo in mostra una sorta di mestizia degli affetti, delle vedute di largo ed arioso respiro, che, però, sembrano avvertire come il peso di una compressione morale che giunge a stringere l’orizzonte di luce, al di là delle aperture spaziali della impaginazione compositiva.
Osserviamo alcune opere di questi artisti che descrivono il tema del paesaggio e forniscono prova di una struggente sensibilità, innervando nel proprio della azione produttiva una carica morale che disegna il profilo di un ansito psicologico profondamente segnato da una tensione morale.
Osserviamo, in proposito, Il fiumicino, di Gaetano Bighignoli, un di- pinto che si rivela asciutto nella schematicità compositiva governata nel suo processo narrativo da un ductus pacatamente sfibrato. Gli fa eco il Paesaggio del Lago Maggiore di Savino Labò, che sembra essere stato composto in controcanto con l’opera di Bighignoli, con una cadenza compositiva specchiatamente coesa nello sforzo di caricare significativamente l’assetto contenutistico della delibazione creativa.
E specchiamento ragionevole di queste cose è possibile individuare nelle forme del Lago d’Iseo di Raffaello Locatelli e del Paesaggio romagnolo di Lino Novelli, opere che aprono ad una più ampia analisi spaziale, mantenendo ferma quella vocazione alla sensibilità luministica che distingue l’abbrivio creativo di una tenuta contenutisticamente ‘forte’.
Trova riscontro, questa pittura, d’altronde, nei modi che la critica accredita di sensibilità ‘chiariste’, che sono propri della pratica figurativa di Goliardo Padova (1909-1979), il cui Paesaggio di Casalasca, ad esempio, possiamo richiamare come opera-pilota per questo riconoscimento di temperie allargata ‘chiarista’ che vorremmo suggerire come appartenenza ‘di bacino’ per una parte almeno dell’attività creativa degli artisti che abbiamo appena additato e di ancora altri come, ad esempio, il napoletano Mario Cortiello (1907-1981), sul quale interverremo successivamente, e che qui additiamo per l’apparentabilità al Paesaggio di Casalasca di Padova di una sua opera di ispirazione vesuviana del 194833.
Si affaccia, quindi, alla nostra attenzione l’opera di un artista forlivese, come Carlo Crispini, nativo di Pontelagoscuro (1902-1982) che produce una ricerca pittorica che Luigi Servolini ebbe a descrivere, nel 1942, in un intervento reso in occasione di una mostra dell’artista a Forlì, come interpretazione lirica della natura capace di sfuggire ad una prospettiva omologata e convenzionale. La pregnanza figurativa della sua pittura si esalta principalmente nel ductus sfibrato e fuggevole di una resa cromatica che sa farsi (Paesaggio, 1950) rivelativa di una ricerca di equilibrio interiore.
Ugualmente d’ambito forlivese è Gino Mandolesi (1915-1955) che si rivela proclive ad una declinazione tonale che avvertitamente denuncia anche una sensibilità naturalistica riconducibile ad una sorta di ripensa- mento ‘primitivista’ degli additamenti che venivano da ‘Valori Plastici’. Si consideri, in proposito, il suo Ritratto di giovinetta della Pinacoteca Comunale di Forlì.
Allieva di Morandi, infine, vorremmo ricordare Norma Mascellani, nata a Bologna (1909-2009), di cui Ferruccio Giacomelli opportunamente rileva: “ … offre l’esempio di una inconsueta coerenza: coerenza intendiamo con se stessa, con quel suo innocente entusiasmo che sa godere di un accostamento di toni ben riuscito”34.
Noi stessi, intervenendo su questa artista in altro contesto di studio, in cui abbiamo suggerito anche l’attribuzione alla sua mano di qualche inedito (Nudi), abbiamo ritenuto opportuno sintetizzare siffattamente la valutazione critica sul suo dettato creativo: “Il tratto distintivo della pittura della Mascellani è nella profilatura morbida e tornita dei volumi, in una ricerca di sintesi ineffabilmente plastica ottenuta senza procedere ad una accentuazione della profilatura volumetrica e senza indulgere, peraltro, a sensibilità di ordine onirico o anche semplicemente magico-realiste. In qualche misura, potremmo definire la pittura della Mascellani come una ricerca d’atmosfera che scorge nella nebbia l’emergere delle forme essendo sicura del tratto e decisa nell’impostazione dei telai compositivi”35.