Continua il nostro viaggio nell’analisi del mondo ‘Chiarista’
A questo punto, quindi, può ritenersi provato che non c’è una peculiarità limitante ‘di scuola’ e non c’è neppure un confinamento territoriale, in cui si sia potuto addensare un coagulo primario di pensiero ‘filosofico’, riconoscibile poi nel prodotto fattuale dell’azione creativa. Inoltre, come giustamente fa osservare Elena Pontiggia, non è stata la differenza tra ‘luminosità’ e ‘bitume’ ciò che ha segnato la differenza tra ‘Chiarismo’ e ‘Novecento’, quanto, piuttosto, una diversità radicale che “riguardasse non solo il colore, ma anche l’iconografia e lo stile”.
Per effetto di tutto ciò, si consolida la possibilità di interrogarsi se non possano identificarsi anche altri poli, oltre quello milanese-padano, come luoghi di incubazione, di irraggiamento e di articolazione di questa particolare concezione pittorica che, anche indipendentemente dalla assunzione consapevole e dichiarata di una prospettiva ‘filosofica’, sa mettere comunque in evidenza le manifestazioni psicologiche ed emotive di co- scienze creative che avvertono la solitudine dell’esistenza e la solitudine sociale.
La poetica ‘chiarista’ – e qui entriamo nello specifico della creatività artistica – andando a privilegiare una scelta di cromatismi luminosi e dia- fani, evidentemente contrapposti alla determinazione ed alla voluminosità della temperie ‘novecentista’, si volge ad affidare alle dinamiche di una delibazione pittorica di stampo ‘lirico’ una concezione di vita che rifiuta gli indirizzi etici e politici, che sono propri di una linea artistica – quel- la ‘novecentista’ della Sarfatti – che intendeva proporsi come alveo non semplicemente di uno ‘stile’ ma di una vera e propria Weltanschauung di regime.
In questa prospettiva critica, che trova una sua giustificazione logica in una valutazione ‘a posteriori’ del processo ‘chiarista’, e che intende ampliare la sfera d’orizzonte di tale temperie, dilatandone la concentra- zione lombarda in una più diffusa estensione territoriale, si affaccia subito alla considerazione critica, la presenza ‘anche’ della cosiddetta ‘Scuola di Burano’, che, in qualche modo, può essere considerata addirittura portatrice di una prospettiva d’indirizzo che agisce d’anticipo rispetto alle dinamiche di una pittura della luce lombarda, considerando, ad esempio, il rilievo che assume la tempestiva presenza operativa di Semeghini (1912)
nel contesto lagunare.
E, fin qui, il gioco sembra facile, soprattutto se si tiene conto del fatto che la sensibilità luministica appartiene storicamente alla tradizione veneta, andando a definire, nella proprietà ‘tonale’, una dirimente addirittura ‘di scuola’ e di peculiarità ambientale, capace di farsi identificazione di un taglio propositivo trascorrente nel corso dei secoli, al di là delle partimentazioni stilistiche specifiche.
Intervenendo sul punto, giustamente Margonari fa osservare che “sullo sfondo di questa vicenda [chiarista] c’è la presenza di Pio Semeghini … [che] per la forma d’opposizione e di rifiuto dei dettati novecentisti espressi nella sua pittura fu considerato un predecessore… “, avendo conto, però – continua lo studioso – che “Semeghini può essere ritenuto chiarista solo nell’equivoco [giacché la sua pittura] anche limitandosi all’osservazione più ovvia della qualità formale… può solo dirsi luminosa, trasparente, non ‘chiara’, [dal momento che] Semeghini, in fondo, non tenta rinnovamenti formali procedendo dall’Impressionismo, né venera Cézanne, come mostrano di fare, più o meno esplicitamente, Del Bon in testa, alcuni chiaristi, così come non è minimamente interessato all’espressione ingenua”24.
Queste osservazioni, evidentemente, aprono un tema di discussione critico-storiografica molto rilevante, dal momento che, al di là delle distinzioni indiscutibilmente fondate che possono trovare giustificazione fattuale nelle ‘differenze’ tra l’opera degli artisti lombardi e quella dei veneti, rimangono non meno fondate le testimonianze di rapporti diretti e di interferenze che si sviluppano tra questi due ambiti specifici, all’interno di ciascuno dei quali, certamente con diversa sensibilità, viene prodotta, però, una ricerca pittorica che si impernia sulla luminosità del contesto e sulla logica compositiva, che articola elementi disfratti in una spazialità che vorremmo definire sfibrata nella vibratilità di un impermanente chiarore.
Quanto, poi, alla consistenza d’‘innocenza’, essa può trovare riscontro non certo in una prospettiva di ‘ingenuità’, ma in una sorta di consapevo- lezza matura della indifferibilità del confronto con le prammatiche social- mente e politicamente vincenti di ‘Novecento’ e, forse, più ancora, di una temperie di ‘ritorno all’ordine’ ormai ampiamente scaduta nella deriva, già a partire dall’esordio degli anni Trenta, almeno ad opera degli artisti
più facilmente disponibili a piegarsi alle sollecitazioni conformiste.
Altro dato d’interesse, che costituisce ulteriore opportunità di affondo critico, nell’accertamento storiografico dei rapporti tra ‘Chiarismo’ milanese e sensibilità ‘lagunari’, è quello della disamina della fecondità della relazione tra la sensibilità luministica latamente padano-emiliana e quella veneta, che può trovare una esemplificazione convincente, ed anche uno snodo logico, nel contributo di una personalità come quella del modenese Mario Vellani Marchi (1895-1979), che a noi appare come la figura del mediatore ideale per rendere misura del rapporto tra le realtà regionali in esame.
Dopo aver stabilito, quindi, che può rendersi praticabile la via di un accertamento storiografico e critico ‘sul campo’ di peculiarità ‘chiariste’ ‘categorialmente’ esistenti e rintracciabili anche extra moenia rispetto all’ambito milanese, occorre sottolineare come si possa avvertire il bi- sogno di prendere in considerazione la necessità di ampliare anche il già dilatato orizzonte veneto-padano in più vasta estensione.
Osserveremo, infatti, come acquisti rilievo l’impegno di studio che si volge ad accertare, in chiave di leggibilità ‘chiarista’, ulteriori contributi pittorici, variamente sparsi sul territorio non più solo veneto-padano, come prodotti di una sensibilità che suggerisce una prospettiva di stampo individualistico alternativa al sentire omologato e corrente improntato al bisogno di un ‘ritorno all’ordine’ praticato in chiave prevalentemente ‘novencentista’.
All’interno della temperie ‘chiarista’, intesa anche in questa sua dimensione più estesa, e sempre all’insegna dell’osservanza delle peculiarità di un’impermanenza luministica, baluginante ed ovattata, si potrà individua- re, quindi, nello spessore contenutistico, il fattore identitario primario che sappia dar ragione di una vocazione, anche preterintenzionale, alla estrinsecazione di un pensiero suscettibile di essere valutato nei termini di ‘lirismo critico’, convincentemente riconducibile ad una matrice che vorremmo più accortamente perimetrare nei termini di ‘innocenza intellettuale’.