Quinto appuntamento con la serie di articoli interamente dedicata al Paesaggio
Giungiamo, così, con l’Ottocento, al paesaggio romantico. Turner, Friederich, Pitloo sono alcuni nomi d’artisti che ci suggeriscono l’abbrivio ad una pittura che descrive il territorio costruendovi un’aura significazionale in cui si specchiano i sentimenti e le passioni. Il paesaggio diventa, in qualche modo, lo specchio dell’animo e, a misura in cui si accentua l’esigenza di realismo figurativo, assume talvolta, l’impressa segnica d’un calligrafismo prezioso e scintillante, come avviene in Giacinto Gigante, ad esempio, che è, però, come artista, protagonista anche, in alcuni casi, d’un’immediatezza di ‘macchia’. In tal modo, il paesaggio trova corrispondenza nell’immedesimazione poetica.
È lo spirito romantico ciò che si afferma nella prima metà dell’Ottocento ed anche la stessa ‘pittura di storia’, che pur deve molto al rigore ed alla ‘freddezza’ neoclassica, ne rimane caratterizzata. Dura, però, non moltissimo questa stagione, giacché, con la seconda metà del secolo s’affaccia sulla scena non solo l’immediatezza ‘macchiola’ – annunciata ed affiancata, in Italia, da altri contesti produttivi, come quello, ad esempio, della cosiddetta ‘Repubblica di Portici’, che fa dell’immediatezza espressiva lo strumento per rendere, attraverso la rappresentazione paesaggistica una restituzione sintetica di robuste istanze contenutistiche – ma s’affaccia anche, sulla scena francese, invadendo, poi, tutta l’Europa, il ‘verbo’ impressionista, che sfaldando la visione della luce, consente un approccio al reale di nuovo conio.
Qui, nella stagione dell’Impressionismo, hanno opportunità di ritrovarsi rappresentati i nuovi contesti delle realtà territoriali e ambientali che appaiono totalmente modificati dai nuovi assetti della società, dall’urbanizzazione, dai nuovi rapporti produttivi, dalle nuove regole della produzione e del commercio che si vanno definendo all’interno d’una logica produttiva e consumistica finora del tutto inedita.
È questo il tempo della fondazione della grande rete industriale che interviene a modificare significativamente il territorio, trovando eco, prontamente, nella rappresentazione che ne danno gli artisti nelle nuove forme del ‘paesaggio industriale’. Un precoce interprete di tale temperie sarà, ad esempio, il De Nittis.
Ad un paesaggio impressionistico, veloce e sfuggente, fanno sponda, da un lato, il ripiegamento mistico ed iniziatico d’un simbolismo asciutto ed estrattivo che è quello proposto da comunità di artisti come i Preraffaelliti o i Nazareni, che, poi si consuma nelle vaporosità dell’Art Noveau, e, dall’altro lato, in cui l’autonomia del genere giova a costruire una rappresentazione degli spazi intesa non più come giubilazione acritica d’un modello sociale affluente, ma come occasione di riflessione intransigente ed attenzione marcata sulle contraddizioni del sistema e sulle distorsioni d’un’evoluzione sociale che premia il valore delle merci rispetto alla dignità dell’uomo e che immagina di poter imporre con la forza e con la prevaricazione le logiche stringenti delle nuove relazioni umane.
Con queste indicazioni d’indirizzo, evidentemente, abbiamo già scavalcato la soglia del nuovo secolo del Novecento, in cui s’affermano due ‘variazioni’ del tema paesaggistico, quella del paesaggio industriale e del paesaggio urbano che costituiscono l’orizzonte creativo verso il quale si indirizzerà una larga parte della nuova produzione di stampo paesaggistico.
Per la verità, già l’Ottocento aveva introdotto queste tematiche figurative nell’ordine della pittura paesaggistica, ma sarà solo col secolo del Novecento che la pittura di paesaggio non accetterà più di essere non solo una mera descrizione di ‘sfondi’, ma meno ancora di essere la visione giubilante ed edulcorata di un territorio rappresentato in forme idealizzate e storicamente astratte.