La storia di una favola cinematografica da tramandare ai posteri
Ebbene sì, potevamo inaugurare la prima parte di questo speciale con quei dieci minuti che hanno fatto nella loro essenza la storia del cinema; quella con la s maiuscola. Eppure, la prima parte è stata fin troppo introduttiva per poter permettere l’inserimento di qualche scena tratta dall’immenso capolavoro ‘leoniano’ uscito nel 1968.
Le immagini, d’altronde, parlano da sole e ogni ulteriore spiegazione risulterebbe essere superflua. Eppure, non commentare o quantomeno non ricordare i dettagli più gustosi renderebbe questa celebrazione completamente povera di significato. Si parte, dunque, proprio da questi apparenti interminabili minuti ma che rappresentano, in sintesi, l’essenza stessa del cinema di Sergio Leone.
Dieci minuti in cui ogni singolo dettaglio viene portato all’esasperazione, giustificando l’attesa dei tre pistoleri i quali, inizialmente, avrebbe dovuto avere altri volti ma per colpa di un attore in particolare l’idea di base, in sostanza, non venne mai realizzata. I nomi che circolarono, in un primo momento, erano Lee Van Cleef, Eli Wallach e Clint Eastwood.
Questo particolare potrebbe essere visto come una mera bufala, in verità le cose sarebbero dovute andare proprio così. invece, lo stesso Clint Eastwood si rifiutò categoricamente di morire in quella prima sequenza iniziale litigando in modo pesante con lo stesso Leone, il quale non le mandò a dire. Ciò nonostante, rimase amici per tutta la vita.
Fin dalle prima inquadrature, dalle prime scene, il trascorrere del tempo e l’epoca che sta finendo per lasciar spazio ad un’altra, moderna, più vicino a noi, è chiara fin da subito. Il personaggio principale interpretato da Charles Bronson, il misterioso pistolero che alla fine otterrà la sua vendetta, nei confronti del cattivo di turno inizialmente, doveva avere il volto dello stesso Clint Eastwood.
Il futuro Ispettore Callaghan rifiutò anche questa offerta del regista italiano dopo che, quest’ultimo, pensava di aver commesso l’errore di averlo sminuito nel possibile utilizzo della scena iniziale. Invece non fu così. Fu proprio Eastwood che non volle proprio prendere parte alla lavorazione di questo che rimane il miglior western in assoluto.
Soffermandoci, invece, sul cattivo di turno la parte, fin dal principio, si pensò ad Henry Fonda. Il grandissimo attore americano, in un primo momento rifiutò e Sergio Leone, per fare di tutto per convincerlo, lo raggiunse negli Stati Uniti. Fonda rimase impressionato dal modo in cui il regista italiano gli raccontò, dettagliatamente, come avrebbe fatto il suo ingresso nella storia.
Colpito da Leone, Henry Fonda, avendo ancora qualche riserva in merito contattò il suo collega e amico, Eli Wallach, il quale gli disse, suppergiù, e secondo quanto riportato dalle cronache dell’epoca, ‘farai l’esperienza della tua vita’ e coì fu. Henry Fonda, che fino a quel momento era conosciuto per i ruoli positivi nei film western, passò ad interpretare un cowboy malvagio. Nel cast entrarono a far parte anche Frank Wolff, Jason Robards, Lionel Stander, Paolo Stoppa, Gabriele Ferzetti. E ancora: Woody Stroode, Jack Elam erano due dei tre pistoleri che muoiono all’inizio del film per mano ad ‘Armonica’, Charles Bronson. Questa scena, in sostanza, possiede un significato ben più profondo.
La morte dei cowboy rappresentava, per lo stesso Leone semmai fosse andata in porto l’operazione con i tre voli iconici, la dipartita e, a sua volta, la scomparsa di quel mondo che lui stesso aveva ricreato. Il personaggio di Charles Bronson, invece, iniziava a vagare nel limbo, composto dal passaggio di un’epoca e l’altra, in attesa di eliminare l’ultimo rappresentante di un’era ormai scomparsa. Anche di quel periodo faceva parte lo stesso ‘Armonica’.
Nella sua essenza, la trama di ‘C’era una volta il west’ non è affatto complessa. È semplice e scivola via lenta, senza mai e poi mai trascinarsi, fino al passaggio tanto atteso e carico di molta, ma molta malinconia. È fondata sull’eredità lasciata, anche in maniera tragica, da un uomo d’affari che aveva intuito in che modo potesse arricchirsi con l’arrivo della ferrovia proprio nella sua parte di territorio acquistata.
Una volta sposatosi in gran segreto e in una località segreta, dopo poco sarà ucciso con i suoi tre figli mentre è in attesa dell’arrivo di sua moglie. Sarà proprio lei ad ereditare il tutto, aiutata proprio da ‘Armonica’ che si è alleato con il personaggio interpretato da Jason Robards.
La giovane donna ha il volto dell’elegante e tenera Claudia Cardinale, il cui personaggio contrariamente si potrà credere sarà il vero perno su cui ruota intorno tutta la vicenda. E pensare che inizialmente la vedova McBain doveva essere interpretata da Sophia Loren.
L’entrata in scena della Cardinale nel film è, dal punto di vista tecnico-musicale, sinonimo di rara bellezza e perfezione. Rara, perché si sa che la perfezione stessa è impossibile da raggiungere. La ripresa con il dolly, i panorami mozzafiato, le riprese suggestive di un mondo, quello rappresentato dalla Monument Valley, luogo tanto caro al regista dello stesso genere John Ford. Senza dimenticare la colonna sonora, griffata Ennio Morricone, non rappresentano parte integrante di un’opera cinematografica; non rappresentano solamente le immagini o la sequenza leggendaria di un film. No, cari lettori: è molto, molto di più: è letteratura cinematografica allo stato puro.
È vero, solitamente non siamo così espansivi con i giudizi. Cerchiamo sempre di mantenerci in equilibrio; questa volta, però, non possiamo rimanere troppo ingessati davanti ad un capolavoro della cinematografia di genere e soprattutto considerando anche il fatto che inizialmente il film stesso non doveva neanche venir realizzato. Strano, vero?
Non per lo stesso Sergio Leone, capace di trasportarci in quell’epoca incastonandola tra due dimensioni totalmente differenti l’una dall’altra. La prima, quella rappresentata dalla realtà, cinica, che non si fa impietosire; semmai quando ti grazia lo fa raramente e ha dalla sua il tempo, che scorre inesorabile, senza poter far nulla sia per fermarlo e sia riparare i torti che subiti. Perché in fondo la vendetta è pur sempre un vero e proprio palliativo alla ferita stessa.
Dall’altro, invece, c’è la dimensione favolistica. Quella a cui nessuno avrebbe mai e poi immaginato che lo stesso Leone riuscisse a materializzare sul grande schermo. Ma è, nell’essenza, una favola con tanta speranza, seppur con tanta amarezza e malinconia.