Continua il nostro viaggio nella tematica relativa al Paesaggio
La conquista dell’autonomia di genere, da parte del paesaggio, avviene – per la scrittura moderna – nel corso del XVII secolo. In antico esso aveva riscosso un certo interesse, ma era stato soprattutto inteso come rappresentazione fantastica d’un contesto ambientale. Additeremo, in proposito, la specialità figurativa della cosiddetta ‘veduta nilotica’ che è un’esemplificazione di una pittura di netto sapore decorativo che adornava le case dei ricchi romani e di cui non solo gli Scavi di Pompei ci hanno lasciato testimonianza. Tale pittura ha carattere fantastico e visionario e non lascia una traccia documentaria del territorio stringentemente legata alla restituzione pedissequa e fedele del dato oggettivo dell’assetto ambientale.
Fa eccezione qualche raro frammento, come una raffigurazione del Vesuvio, ma, anche in questo caso, l’intento dell’artista non è stato quello di curare in modo particolarmente significativo la fedeltà figurativa.
I lunghi secoli del Medioevo non si discostano da questa prospettiva, tutt’altro. il paesaggio non solo non ha una sua propria autonomia, ma viene addirittura azzerata la sua raffigurazione anche come semplice sfondo, assorbita, ad esempio, nei cosiddetti ‘fondi-oro’ o ridotta ad icona marginale e semplicemente allusiva, come avviene nella rappresentazione di alcuni scorci rocciosi o come avviene, nei mosaici ravennati, nella raffigurazione del Palazzo imperiale alle spalle dei ritratti della corte imperiale.
In età rinascimentale, il paesaggio appare negli sfondi e come teatro d’ambientazione di scene mitologiche, storiche o religiose. In qualche caso, come nella Tempesta di Giorgione (Venezia, Accademia), il paesaggio diventa elemento decisivo per lo sviluppo stesso della resa contenutistica. Analogamente diremo per altre opere di questo stesso periodo, come il Concerto campestre (Parigi, Louvre), ancora giorgionesca, o come L’amor sacro e L’amor profano di Tiziano (Roma, Galleria Borghese).
In ambito centritaliano brilla il modello delle immagini di città ideali, che dalla autonomia figurativa della prova di ignoto autore di Urbino (Città ideale, Urbino Galleria nazionale), si ritrova, poi, nell’utilizzo come sfondo nella pittura sacra di Perugino o di Raffaello.
Quest’ultimo, ed altri grandi del secolo, come Michelangelo e Leonardo, non mancheranno di fornire straordinarie interpretazioni della realtà ambientale, offrendo, così, sia in termini di restituzione naturalistica (la Madonna delle rocce di Leonardo, Parigi, Louvre) sia di ampiezza del rilievo architettonico (la Scuola di Atene di Raffaello, Vaticano, Stanza della Segnatura), degli esempi superbi d’un’ambientazione spaziale assolutamente consona alla rilevanza concettuale e contenutistica. Con Michelangelo, poi, si incrementa il rapporto antropico con il contesto ambientale.
L’età manierastica renderà più livido e sfuggente il rilievo della rappresentazione paesaggistica che sembra adeguarsi ad una concezione della pittura ripiegata su sé stessa. Suggeriremo, in proposito, alcune ambientazioni del Pontorno o quella, magnifica, nel suo genere, della Andata al Calvario di Polidoro da Caravaggio (Napoli, Capodimonte).
Il paesaggio, come può ben osservarsi, sta crescendo a dismisura, avendo fatto passi da gigante dalla marginalità altomedievale, ma anche dall’uso già ben più moderno, che sul limite della fine del Medioevo ne aveva additato lo stesso Giotto, ma è ancora, sostanzialmente compresso entro l’utilizzazione ancillare della concezione di ‘sfondo’.