“Ora sono diventato Morte, il distruttore di Mondi”
A tre anni dall’uscita di “Tenet”, Cristopher Nolan ritorna con uno dei film più attesi dell’anno, “Oppenheimer”, biopic d’introspezione sulla controversa creazione della bomba atomica. È innegabile che Nolan possa essere considerato uno dei registi e sceneggiatori di punta del cinema moderno, per l’altissimo grado di sperimentazione tecnica e di trama. Ciò ha fatto sì che la critica si sia fortemente divisa circa il suo talento e Oppenheimer, oggi, rappresenta l’avvio di un ulteriore ondata di giudizi: capolavoro cinematografico o film noioso?
Il film adotta un interessante punto di vista per la sua narrazione, che si incentra non tanto sulla dubbia moralità degli eventi di Hiroshima e Nagasaki e su tutta la critica morale, quanto sulla vita e l’animo di uno dei suoi creatori. È chiaro a Nolan, e a noi spettatori, che non serva focalizzarsi ulteriormente sugli effetti che la bomba atomica abbia avuto nel mondo, in quanto tali conseguenze sono tutt’ora tangibili. Non serve parlare dell’ovvio.
Diventa, invece, più interessante analizzare la figura dietro la nascita di quest’arma distruttiva. Una mente geniale che per cambiare il mondo, gli ha donato il mezzo per distruggerlo. È la storia del Prometeo moderno, che ha rubato il fuoco agli dèi per donarlo agli uomini e, per questo, punito.
È la storia di Oppenheimer, un fisico, un uomo. Come tale, lo scienziato si divide tra l’ambizione di creare qualcosa di unico nel mondo della fisica e i sensi di colpa scaturiti dalla sua creazione, senza rinnegare i motivi che lo hanno portato a perseguire con ambizione la creazione della bomba atomica. Per questo motivo, Nolan sceglie, sapientemente, di non intrecciare in modo complesso più linee narrative, tratto tipico delle sue opere. In Oppenheimer si alternano due linee narrative identificate su due archi narrativi differenti, con due protagonisti importanti.
La prima linea si focalizza su Oppenheimer, dal tormento scientifico per la riuscita del progetto della bomba fino al tormento psicologico. La scissione nell’animo dello scienziato è ben delineata da Nolan. Assistiamo ad un alternarsi perfetto e coerente tra un Oppenheimer desideroso di riuscire là dove molti hanno fallito e un altro speranzoso di non dare inizio a una guerra nucleare su scala globale. L’elemento piscologico è uno dei punti di maggiore forza dell’opera “nolaniana”, grazie all’eccezionale performance di Cillian Murphy, il quale, si spera, possa iniziare a godere della giusta attenzione.
Il secondo arco narrativo ha come protagonista Robert Downey Jr, nel ruolo di Lewis Strauss, Presidente della Commissione per l’energia atomica degli Stati Uniti. Qui, Nolan analizza il periodo successivo all’esplosione delle bombe atomiche in Giappone, raccontando il destino di Oppenheimer, il quale, come Prometeo, viene punito e condannato per il suo gesto. Le redini di questo arco storico sembrano essere tenute proprio da Lewis, protagonista di un monologo – flusso di coscienza stravolgente.
I due archi narrativi convergono in un evento finale, un effetto sorpresa, inatteso che sorprende lo spettatore, un colpo di scena degno di una sapiente penna, così come lo è anche l’alternanza tra il b/n e il colore. A detta dello stesso regista, le scene in b/n rappresentano i fatti narrati utilizzando un senso più oggettivo possibile, mentre quelle a colori non seguono un senso puramente oggettivo, ma anche una visione soggettiva. Questi elementi rendono Oppenheimer non solo un’opera ben creata tecnicamente, ma anche e soprattutto un’opera emozionante, ricca di sentimento che smuove anche le corde dello spettatore.
Sicuramente, gran parte del merito va al cast stellare. Emozionanti le performance di Emily Blunt e Florence Pugh, che hanno potuto brillare grazie anche a una sceneggiatura che ha lasciato grande spazio e potere ai dialoghi. Al contrario di quanto si possa credere, il dialogo, se ben sviluppato, può rappresentare la forza del film, dandogli valore e anima. Questo film è un esempio lampante. La pellicola brilla di una valenza intimistica, si muove spesso in spazi chiusi, all’interno dei quali i personaggi vengono messi alla prova, si evolvono, come si evolvono gli eventi. Gli spazi aperti presenti, come le grandi distese del New Mexico, cullano gli sfoghi dei protagonisti, le lacrime e i dubbi.
Grandissimo merito va dato al montaggio che non solo arriva per alternare i vari archi narrativi, ma si sposa perfettamente con le meravigliose musiche, opera di Ludwig Göransson, oscar per la colonna sonora di Black Panther. Indimenticabile la sequenza del Trinity Test che, grazie al montaggio e l’alternanza tra silenzi e suoni, provoca un’inspiegabile sensazione di emozione spettacolare e terrore, proprio come ciò a cui stiamo