Dalla crudele morte di Emmett Till al ‘Sogno’ di Martin Luther King
I due si chiamavano Roy Bryant, marito di Carolyn, e J.W. Milan, il fratellastro di Roy. Una volta preso il ragazzo e portato in un posto isolato, i due lo picchiarono brutalmente; lo seviziarono persino, per poi ucciderlo con un colpo alla testa. Non contenti della gravità del fatto commesso, gettarono il cadavere nel fiume della confinante contea Tallahatchie.
Una volta scoperto il cadavere è inutile ricordare che per l’opinione pubblica americana fu come un pugno allo stomaco. Per le forze dell’ordine, invece, rappresentava una vera e propria rogna e per lo Stato del Mississippi l’ennesimo caso di cronaca che continuava ad alimentare un’immagine già negativa, con una macchia ancor più indelebile delle altre; confermando l’immagine in negativo di uno degli Stati più razzisti d’America.
Una volta viste le condizioni del cadavere, la madre combatté coraggiosamente, sempre contro lo Stato del Mississippi e non solo, per poter permettere di celebrare la funzione funebre con la bara aperta di suo figlio. Lo scopo era molto semplice, seppur raccapricciante: quello di mostrare all’America intera e al mondo che cosa gli fosse successo ad Emmett.
Dopo questo evento la stessa comunità nera non incassò il colpo con la solita mestizia. Si può dire che, dal punto di vista psicologico, rafforzò ancor di più il nascente movimento per i diritti civili, attendendo così il momento propizio per far sentire la sua voce.
All’indomani del 1° dicembre del 1955, vennero inaugurate una serie di proteste da parte dei neri che portarono, prima, al boicottaggio dei mezzi pubblici, durato ben 381 giorni, e mostrando il suo culmine con la storica sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America datata 13 novembre del 1956. Quella pronuncia ribaltò per sempre l’odioso concetto del ‘Separati ma uguali’, cancellando, pezzo dopo pezzo, l’aberrante idea di segregazione razziale.
Fu l’inizio, dunque, di una vera e propria rivoluzione la cui miccia, ripetiamo, venne innescata dalla tragedia di questo quattordicenne, mentre Rosa Parks rappresentò la reazione perfetta; un atto di ribellione misurato, seppur istintivo, ma non violento: sia nelle parole che dal punto di vista fisico. Senza, dunque, provocare i provocatori, mostrando al mondo intero come i neri venissero trattati per l’ennesima volta.
Tornando al caso di Emmett Till, in questo lungo speciale, bisogna confermare quanto è sempre stato sostenuto dalle cronache dell’epoca: il leader locale della Naacp, Medgar Evers e di cui ci siamo occupati già in un paio di occasioni a FreeTopix Magazine, realmente svolse delle indagini su questo efferato delitto, mimetizzandosi come coltivatore di cotone con l’intenzione di raccogliere informazioni e testimonianze da portare in tribunale.
Il tutto è stato, poi, riportato e confermato, per non dire anche ricostruito, nell’omonimo film dedicato a Emmett, uscito nel 2022, e dal titolo semplice e avvincente: Till – Il coraggio di una madre. Il film è stato scritto e diretto dalla regista Chinonye Chukwu; la stessa, per lo sviluppo della sceneggiatura, ha visto la partecipazione anche di Micheal Reailly e Keith Beachamp. Interpretato da Danielle Deadwyler, nei panni di Mamie Till, e il giovane Jalyn Hall, proprio nei panni di Emmett Till. Nel cast si regista la presenza anche di Whoopi Goldberg.
Otto anni più tardi, dunque, l’apoteosi. Quasi un decennio dopo a quella maledetta giornata di fine estate il mondo e molto probabilmente l’America intera si era scossa dal torpore che fino ad allora era stata afflitto: di quella strana impossibilità di non poter far nulla e di rimanere in silenzio dopo le continue ingiustizie perpetrate contro un’intera comunità, la cui unica colpa era quella di essere approdata nei futuri Stati Uniti d’America non come uomini liberi ma come schiavi.
Questo aspetto, in fondo, rappresenta in tutto e per tutto la vera contraddizione dell’America in quanto nazione. Fondare un paese o comunque uno stato su solidi principi di giustizia e libertà per tutti i popoli e poi entro i suoi confini si consumavano i peggiori crimini razziali è di fatto una vera e propria contraddizione.
Contraddizione che venne messo a nudo e senza ulteriori giri di parole proprio sessanta anni fa dal futuro Premio Nobel per la pace Martin Luther King. Nel suo leggendario discorso, I Have dream, è composto da diverse e fondamentali citazioni: Abrahamo Lincoln, per esempio; oppure un altro discorso passato ugualmente alla storia, quello di Gettysburg.
Soprattutto, però, esortò e per più di una volta il popolo americano ad agire, usando la frase: questo è il momento. Infatti, quel momento era giunto otto anni prima in cui si era sopportato troppo e dove, poi, la misura del limite della pazienza, ad un certo punto, iniziò ad essere colma.
Le parole che vengono maggiormente ricordate di più, che sono rimaste impresse nella memoria di tutti, sono queste: Io ho un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione dove non saranno giudicati per il coloro della loro pelle, ma per ciò che la loro persona contiene. Io ho un sono oggi.
Parole, dunque, che mostravano la volontà di credere in un mondo migliore nonostante le continue cattiverie subite. In un’America migliore. Frasi colme d’amore verso il nemico da battere, sì, ma non usando la sua stessa arma o comunque il suo stesso modo di fare: la violenza, sia verbale che fisica. No, di combatterlo con l’atteggiamento contrario.
La lezione di Gandhi servì molto a Martin Luther King. Il provocare senza provocare direttamente. Nel senso di essere provocati ma senza reagire. Di resistere alle offese, alle percosse, rischiando anche lesioni davvero gravi e addirittura la vita. Quei 381 giorni i mezzi di trasporto furono boicottati rappresentano un antipasto di quello che sarebbe poi arrivato il 28 agosto del 1963. Una marcia su Washington per far ascoltare la voce non solo di una comunità, ma anche di una parte dell’intera nazione americana che si sentiva stanca di tutto quello che succedeva nei suoi confini.
Nonostante tutto, quelle parole espresse dal Reverendo Martin Luther King ebbero la tendenza, positiva s’intende, di esaltare l’immagine di un’America unificata nel nome della lotta contro al razzismo e quindi dell’integrazione. Un’esaltazione dovuta e voluta grazie a quelle tre parole ripetute per ben otto volte. Ma… Continua