Il giusto finale per una saga entrata nella storia del cinema
Ad una settimana esatta dalla sua uscita cosa dobbiamo pensare del nuovo ed ultimo capitolo di ‘Indiana Jones’? La quinta avventura cinematografica intitolata ‘Il quadrante del destino’ ha veramente convinto, non facendo rimpiangere il quarto e penoso capitolo di una saga iniziata nel lontano 1981? Ci sarebbe tanto da dire e, forse, anche tanto da recriminare in questo nostra recensione forse anche un po’ inaspettata da parte nostra. Di solito, dopo aver visionato un film, non aspettiamo mai così tanto tempo prima di esprimerci in merito. Di fronte, però, ad uno dei miti più grandi del cinema che sta per salutare il suo pubblico abbiamo voluto fare un’eccezione.
Da dove partire? da dove iniziare questa lunga recensione che avrà l’arduo compito bocciare o promuovere non solo l’ultima avventura dell’archeologo più famoso del cinema, ma anche quella di giudicare, ahinoi, l’ultima volta di Harrison Ford nei panni del secondo personaggio della sua vita che gli regalato tanta gloria in ordine cronologico. Il primo fu il contrabbandiere spaziale Han Solo nella saga di Guerre Stellari.
Per molti anni, prima del 2008, si era sempre parlato di un quarto capitolo della saga. Quando divenne realtà, i molti fans dell’archeologo, saltarono dalle poltroncine dei cinema per lo scempio che ne era stato fatto della saga. Un serie irripetibile di tre film rovinati da ‘Il Teschio di cristallo’ che, forse, non aveva nulla a che vedere con i misteri del passato a cui ci eravamo abituati tutti quanti fino ad allora.
Già quel quarto capitolo avrebbe dovuto rappresentare il canto del cigno di Harrison Ford nei panni di Henry Jones, Jr. Ma così non fu, la non convincente trama, sia alla base e sia come poi venne sviluppata e, su tutto, la presenza di Shia Lebouf come possibile erede, figlio nel film, fecero storcere il naso a molti, gridando allo scandalo cinematografico.
D’altronde, dal canto suo Harrison Ford manifestò apertamente la disponibilità nel tornare nel ruolo a patto che non sarebbero dovuti trascorrere altri venti anni dall’ultimo capitolo. A dire il vero ne sono trascorsi quindici per riparare agli errori commessi nel 2008.
Diretto da James Mangold, regista che difficilmente sbaglia un colpo, ‘Il quadrante del destino’ propone fin da subito una soluzione ad uno dei tanti problemi che hanno provocato diverso malcontento tra i fans: la presenza, appunto, di quel figlio legittimo scoperto, come spesso succede nel cinema, anni più tardi e che con lo stesso archeologo avventuriero non c’entrava proprio nulla.
Il personaggio viene fatto morire in guerra, molto probabilmente quella del Viet-Nam, lasciando lo stesso Indiana Jones in una triste fase della sua vita, dove non ha nemmeno più rapporti con la donna che amato di più nella sua vita e che, come poi si è scoperto dal film precedente è diventata sua moglie, Marion. La presenza del figlio, dunque, viene rimpiazzata da un altro personaggio, femminile ma che funziona questa volta.
Interpretata da Phoebe Waller-Bridge, il personaggio della figlioccia funziona a meraviglia. Tiene testa alla personalità di Harrison Ford e, in più di un’occasione, riesce anche a dar vita a più di un momento comico o comunque ironico con Indy, in modo da ricordare, diciamo quasi per non risultare troppo blasfemi, lo schema visto con lo stesso Harrison Ford e Sean Connery nel terzo film della saga.
Questa analisi è partita direttamente da questo particolare non di poco conto. Non perché era importante mettere l’accento se si trattasse di figlio o figlioccia, semmai era il rimarcare come l’errore precedente fu quello di proporre un possibile erede dell’archeologo senza la giusta spina dorsale, cosa Phoebe ha fatto.
Precisiamo, anche, che l’errore venne commesso da due che il personaggio non solo lo avevano immaginato e creato, ma anche scritto e diretto le loro storie: George Lucas e Steven Spielberg. Con lo stesso Mangold, in collaborazione con altri autori, la sceneggiatura ci riporta alle atmosfere di un tempo, alle atmosfere dei primi tre film, riuscendo nell’impresa di recuperare la magia che si era persa con l’incriminato quarto film della saga.
In più, quanti errori che si fecero nel 2008, si era persino mostrato un Indiana Jones che stava iniziando ad invecchiare ma sempre con l’agilità dei precedenti capitoli. Ne ‘Il quadrante del destino’ si tiene fede al tempo che scorre, inesorabile, con una logica e sensata malinconia per un’epoca che non potrà mai più tornare; che non potrà mai più essere.
Quindi, a rigor di logica, si nota un Indiana Jones non più forte fisicamente, visto che è visibilmente invecchiato, ma ancor più scaltro mentalmente, grazie alla sua grande esperienza maturata nel corso degli anni. Il film è gradevole, tiene incollati fino alla fine, senza mai perdersi in qualche scena o dialogo inutile. Le scene d’azione non sono mai fine a sé stesse. Sono integrate nel modo e anche nei tempi giusti per completare l’ultima avventura cinematografica di Indy. Strizzano l’occhio al passato, tengono conto dell’età di ogni personaggio e non offrono uno spettacolo che va oltre la logica, solo perché è una storia di fantasia.
‘Indiana Jones e Il quadrante del destino’ non delude. Lancia messaggi, come qualsiasi altra opera cinematografica che si rispetti, sia impliciti che espliciti. Ti catapulta nell’avventura più particolare che lo stesso Professor Jones abbia mai affrontato, senza mai tralasciare alcuni dei capitoli più iconici, come il due ed il tre. Ti catapulta nella tematica dei viaggi nel tempo e lo fa con saggezza e malinconia.
L’idea, quasi, di lasciare Indiana Jones in un’epoca non sua sarebbe una grandissima, oltreché, giusta suggestione. Ma alla fine si sceglie per quella più logica e naturale che scandisce, in tutto e per tutto, l’happy end sperato seppur con un po’ di magone; non solo: pone fine, nel modo giusto, una delle più grandi avventure e saghe cinematografiche della storia del cinema e che molto probabilmente proseguirà, sì, ma senza Harrison Ford e non più al cinema. Almeno è così parso di capire.
Nonostante tutto, di sicuro con questo quinto capitolo è, di fatto, un’epoca cinematografica che termina nel migliore dei modi senza lasciare scontento nessuno. Questo, dunque, è il mio commiato che si potesse immaginare e non solo in termini d’incassi, ma in termini di gradimento del pubblico stesso, affezionato e no.
Una cosa, però, ve la possiamo dire: Harrison Ford nei panni di Indiana Jones ci manca di già e non poco…