Il concetto di ‘cultura materiale’ va misurato sullo sfondo della ricerca antropologica, avendo conto che la consistenza dell’oggetto va sempre al di là del significato intrinseco della sua ‘oggettualità’ empirica per rendersi fattore rivelativo della consistenza fattuale di altri e più ampi orizzonti.
Le arti figurative, molto spesso, si propongono con una interessantissima offerta di riferimenti empirici alla realtà fenomenica, riferimenti che si distinguono per la portata paradigmatica della loro consistenza fattuale, andando a collocarsi nella sfera di quegli strumenti di comunicazione che, quando non sono sottoposti alla mortificazione della deriva ‘simbolistica’, possono lasciare erompere tutta la forza della propria pregnanza comunicativa.
Max Liebermann, La filanda, 1889
L’oggetto d’arte ha una sua propria consistenza ‘materiale’, giacché è fatto ‘di materia’; né potrebbe prescindere da questa particolare condizione, a meno di non lasciar annichilire lo stesso significato che è proprio dell’opera d’arte che è sempre un ‘oggetto di cultura materiale’. In virtù di tutto ciò, è possibile riconoscere all’oggetto artistico il suo status di fonte rivelativa di conoscenze che si dilatano in più allargata ampiezza, andando a proporsi come l’ineludibile riferimento del dato epifenomenologico con cui si manifesta la consistenza della cosiddetta ‘realtà’, offrendosi alla verificabilità ‘sensoriale’ della disamina fruitiva, in attesa di ricevere, da parte del fruitore stesso, la necessaria e decisiva fermentazione incrementativa di ordine ‘percettivo’.
Kate Kollwitz, Le madri, 1919
L’ opera d’arte difende se stessa annunciando la sua consistenza ‘materiale’, priva della quale, vagherebbe inevitabilmente nelle nebbie di ciò che Croce, ad esempio, avrebbe potuto limitativamente considerare come valore di pura ‘dicibilità’, senza preoccuparsi della irreparabile perdita di quella ‘sensorialità’ che, garantita dal contatto fisico, può giovare a provare la consistenza empirica delle opere d’arte e, attraverso di esse, della tenuta fenomenologica della storia degli uomini. L’arte è portatrice, ineludibilmente di uno spessore ‘oggettualmente’ materiale, ed è proprio su di esso che si fonda la carica della sua ‘matericità’, che può essere riconosciuta come la coscienza critica della consistenza cosale dell’opera d’arte e del suo statuto storico, come oggetto obiettivamente sottoponibile al vaglio dell’esperienza vissuta. L’arte contemporanea ha provato a legare il concetto di ‘matericità’ alla consistenza aniconica della pratica creativa, venendo a fornire una sorta di legame intrinseco, ad esempio, e quasi esclusivo, tra le dinamiche non figurative di stampo ‘informale’ o ‘nucleare’ ed il rilievo imprimente della consistenza ‘materiale’.
Luigi Crisconio, Autoritratto, 1926
Occorre precisare che, mentre tutta l’arte è ‘materiale’, non è possibile ritenere che essa sia sempre anche ‘materica’, dal momento che la ‘matericità’ addita una particolare condizione creativa in cui la ‘materia’ non costituisce il semplice ed ineludibile ‘strumento’ della produzione creativa artistica, ma anche un suo specifico ‘linguaggio’, che si carica, molto spesso, anche di significative istanze ‘espressive’. Si può rivolgere la nostra attenzione, insomma, non soltanto ad una produzione creativa di stampo aniconico-materico, ma anche figurativo-materico, considerandone, nella specie, non solo il corrusco addensamento ‘materiale’ del ductus, ma anche la misura dell’intensità ‘segnica’ che non sempre acquista inevitabilmente anche la peculiarità dello spessore addensato.
La dimensione ‘segnica’ insomma, si rivela non di minore importanza e rilievo – rispetto alla grumosità materiale – nella riconoscibilità dell’addensamento ‘materico’ e, soprattutto, tutto ciò non andrà limitativamente osservato esclusivamente a proposito della pratica aniconica, giacché la pregnanza ‘segnica’ distingue con proprietà ed incisività anche la sintesi figurativa di immagini che hanno una propria caratterizzazione di riconoscibilità empirica.
Lia Pasqualino Noto, L’infermiera, 1931
Come già abbiamo osservato in altri contesti (cfr. R. Pinto, L’Espressionismo in Campania, Orta di Atella, 2008), sarà allora opportuno ribadire che sulla scorta, allora, di tali osservazioni non si rivela peregrino poter stabilire la pregnanza di una produzione creativa che, di dichiarato ed evidente ancoraggio referenziale al dato epifenomenico, ed indipendentemente dalla più o meno intensa sensibilità ‘espressionistica’, si propone nei termini di ciò che ci convince definire ‘Figurazione materica’ e cui dedichiamo un preciso intendimento di valorizzazione critica nell’intento di lasciarne emergere le potenzialità ‘espressive’ non limitate alla sola carica ‘espressionistica’ ma dilatate, piuttosto, nel quadro di un ampliamento della nozione di ‘matericità’ che deve acquisire una più ampia consapevolezza di intendimento critico e valutativo.
La figurazione materica, insomma, si propone come una delibazione creativa di cui è possibile apprezzare le profonde scaturigini nella Storia dell’Arte, andandone a scoprire le prove apparentemente più lontane e nascoste, i cui primi esempi si annidano nella produzione preistorica, quando, all’interno delle grotte d’età paleolitica, la testimonianza di vita vissuta veniva a trovare un proprio vigore espressivo attraverso l’addensamento di una carica ‘materica’ che i nostri antichi progenitori sapevano conferire alle immagini ‘figurative’ di cui procedevano a creare il prodotto.
Oggi, alla distanza di secoli ed in un momento in cui sembrerebbe che si debba mettere in soffitta la carica della gestualità e della esperienza umana col suo portato di vissuta corporeità in premio di una deriva tecnicistica che tende a ‘virtualizzare’ il dispiegamento dell’impegno creativo, può essere, invece, particolarmente utile ricordare e riprendere le testimonianze effettuali di una cultura ‘materiale’, che sa scoprire tutti i tratti della consistenza ‘materica’ anche nella dimensione ‘figurativa’ e non soltanto nella pratica aniconica e segnatamente informale.
(Le foto che illustrano questo contributo di studio, tratte dalla Rete e da fonte ‘wikiart’ di libero prelievo, sono manifestazione della pregnanza creativa dell’ordine ‘materico’ calato nella pratica figurativa).