Fascismo e Nazismo ebbero un diverso rapporto con l’arte: l’intento dirigistico era simile, ma era profondamente diverso il modo di mettere in atto questo disegno
Il Fascismo ed il Nazismo compresero molto bene il ‘valore’ che poteva avere il mondo dell’arte nel costruire il proprio progetto ideologico ed identitario. Compresero, in particolare, che il ‘sistema delle arti’ (quello, almeno che entrambi i regimi immaginavano di poter eterodirigere) poteva rivelarsi uno straordinario veicolo di legame e di contatto con le masse popolari. Non a caso, Mussolini, attentissimo agli strumenti di comunicazione sociale, riservò la massima cura alla nascente industria cinematografica, facendone un punto di forza della azione propagandistica del regime, sia sotto il profilo filmico-narrativo che sotto quello informativo-documentaristico. Non a caso, negli anni del regime nasce Cinecittà (1937). Il modello sono gli Stati Uniti, ma l’intento è la celebrazione grandiosa del regime.
A. Speer, Il Palazzo della Cancelleria
L’architettura è un altro punto forte dei due regimi dittatoriali e sia Mussolini che Hitler concepiscono progetti grandiosi di rimodellazione del paese e l’architettura deve avere due caratteristiche di fondo: il monumentalismo e l’efficienza. Albert Speer, architetto tedesco, è membro del partito e personalità di spicco con responsabilità politiche ben definite. La sua concezione dell’architettura è faraonica, in parte anche tecnicamente irrealizzabile, ma svolge il compito di essere visibile e celebrativa. L’architettura fascista è altrettanto celebrativa e faraonica, ma non disdegna la prospettiva ‘razionalistica’ e questo segna un suo punto di vantaggio nella elaborazione di progetti urbanistici ed architettonici che non si limitino alla mera ostentazione di vuota retorica.
A. Speer, Progetto per Berlino; B. Cascella, Battaglia del grano, 1936
Nell’ambito della pittura e della scultura il Nazismo non sembra avere le idee molto chiare: accoglie, di fatto, ad esempio, l’istanza di una linea ‘realistica’, quella, in fondo, che aveva messo in campo la ‘Nuova Oggettività’ (Neue Sachlichkeit) che, però, era una tendenza artistica che aveva elaborato la sua concezione creativa già dall’immediato dopoguerra del primo conflitto mondiale, producendo, nelle atmosfere di Weimar, attraverso la pittura, che era di carattere freddo, glaciale, essenziale, un tentativo di risposta alla tragedia che il popolo tedesco viveva dopo la sconfitta. Un’arte, insomma di coscienza della crisi e di riflessione matura e profonda, arte di cui il Nazismo, ovviamente, rifiuterà l’abbrivio ‘ideologico’, non mancando, però, di assumerne, poi, alcuni aspetti formali che ritroviamo all’interno della pratica di alcuni artisti di netta fede nazista (Bettina Feistel Rohmeder, Adolf Ziegler, Werner Peiner ecc.). Offre una evidente testimonianza di tale assunto critico il confronto che qui proponiamo di una Natura morta,del 1925 di chiara profilatura ‘novoggettiva’ di Alexander Kanoldt ed un’altra Natura morta, del 1928, questa volta di Werner Peiner, che nasce nel contesto della pittura di regime e che si rapporta in modo stringente ai modi della Neue Sachlichkeit, che, però, il regime nazista giudicava ‘arte degenerata’.
A. Kanoldt, Natura morta, 1925; W. Peiner, Natura morta, 1928
L’arte, aveva sostenuto Hitler, deve essere “chiara, senza contorsioni e senza ambiguità”, intendendo egli, in tal modo, prendere nettamente le distanze dalla profilatura creativa delle Avanguardie dei primi due decenni del ‘900.
Che l’arte dovesse essere ‘chiara’ e ‘senza ambiguità’ lo riteneva anche il Fascismo, come ben ce ne rivelano le parole di Armando Michieli: “Questa è arte fascista. Arte sincera, arte severa, arte immediata, senza preconcetti e senza inganni; ecco l’arte fascista. Meglio, l’arte del tempo fascista. Il volere stabilire un canone, una scuola e l’obbligare l’irreggimentazione in questa scuola o il voler irreggimentarsi: ecco il male”. La differenza è evidente: mentre il Nazismo provvede ad imbrigliare, a creare uno ‘stile nazista’ (Speer), il Fascismo intende rinunciare ad ‘irreggimentare’, mirando a creare un’arte ‘del’ tempo fascista e non un’ ‘arte fascista’.
N. Fabbricatore, Ritratto; W. Peiner, Ritratto, 1928
P. Barillà, La mattanza
Certo, non mancarono, in Italia, atteggiamenti dirigistici ed autoritari, ma, nell’insieme, la politica artistica del Fascismo si dimostrò più ‘aperta’ di quella nazista; e a dimostrarlo basterebbe già il fatto che in Italia non si verificò nulla di simile a ciò che fu, invece, il fenomeno della ‘Entartete Kunst’, la concezione, cioè, di un’’arte degenerata’ (quella delle Avanguardie), contro cui il regime nazista scatenò una vera e propria crociata iconoclastica (1937). Significativa, peraltro, fu la contrapposizione che vide fronteggiarsi Farinacci e Bottai, entrambi alti gerarchi del Fascismo, ma profondamente diversi tra loro: nelle arti fu, infatti più ‘sperimentativo’ Bottai, mentre Farinacci si tenne legato ad una concezione dirigistica e, in fin dei conti, provincialistica.
G. Wood, American Gotic, 1930; W. Peiner, Giovane coppia, 1944
Il bilancio di quegli anni – i decenni degli anni ‘20 e ‘30 – è, però, un bilancio molto curioso e ci mostra come in tutto il mondo – e non solo in Italia e in Germania – la ricerca di ‘avanguardia’ subisca un radicale arretramento, per lasciare spazio ad una produzione creativa – peraltro, spesso, di altissima qualità – che viene praticata all’insegna del ‘ritorno all’ordine’, che fu innanzitutto un ‘rappel’ (Cocteau), un richiamo, cioè, a superare i temi e le modalità d’intervento delle Avanguardie dei primi vent’anni del ‘900, per abbracciare una via creativa fatta di sobrietà e di compostezza formale.
In questa direzione, curiosamente, che si chiamassero Hopper (USA), Deyneka (URSS), Peiner (Germania nazista) o Pietro Barillà (Italia fascista) ‘stilisticamente’ cambia davvero poco. E cambiano ancor meno le cose se – fatte le debite differenze – lasciamo planare la nostra osservazione a rendere una disamina comparata di due dipinti, per certi aspetti emblematici: l’uno che esemplifica le attenzioni americane al ‘ventre molle’ del paese, gli stati centrali, e l’altro le attenzioni del regime nazista alla retorica populista; e parliamo, infatti di Gotico Americano di Grant Wood del 1930 e di Giovane coppia di Werner Peiner del 1944.
(Le immagini che illustrano questo nostro studio, che ha carattere meramente storico-critico e non è finalizzato ad uso commerciale, sono provenienti da fonti di libero prelievo dalla Rete ed anche da siti specifici che qui ringraziamo per l’impegno culturale che li ispira: tra cui www-invaluable-com)