Le origini e la storia del dolce legato alla Festa del Papà e alla ricorrenza religiosa di S. Giuseppe
Mancano pochi giorni al 19 ed a Napoli, nel meridione e sicuramente da qualche decennio anche in altre parti d’Italia fervono i preparativi per la festa di San Giuseppe ed anche, dal 1966, istituita negli Stati Uniti dal Presidente Lindon B. Jhonson come festa nazionale del papà.
Ma non ci riferiamo ai preparativi per la festa religiosa di San Giuseppe né a quelli per la Festa del Papà. Ci riferiamo ai preparativi nelle pasticcerie, nelle panetterie, nelle mense, nei ristoranti e come tradizione ancora in quelle poche case dove non è San Giuseppe se non si prepara il dolce simbolo: Le zeppole di S. Giuseppe.
Le origini di questo dolce, come per tanti altri, si perdono nella notte dei tempi. Alcuni storici fanno risalire addirittura le sue origini al 500 a. c. Una leggenda legata al cristianesimo fa risalire le sue origini alla fuga in Egitto della sacra famiglia. San Giuseppe per sbarcare il lunario oltre al lavoro di falegname, per sostenere la famiglia, affiancò quello di friggitore e venditore di frittelle.
Altri attribuiscono invece le origini di questo dolce a festività pagane: le celebrazioni delle Liberalia. Erano delle celebrazioni romane in onore di Liber Pater e Libera. Ricorrevano il 17 marzo ed in quell’occasione si festeggiava il sedicesimo anno di età di un ragazzo. Un passaggio dall’età minorile a quella di adulto. Deponevano la bulla e la toga praetexta (o libera) ed indossavano la toga virilis.
Durante i festeggiamenti si beveva vino e si gustavano frittelle di frumento cotte nello strutto bollente. Le Liberalia cessarono con l’imperatore Teodosio. Il cattolicesimo che fissò la festa di San Giuseppe due giorni dopo le assimilò. Nei primi anni dell’800, nei vicoli di Napoli, si sviluppò la tradizione dei zeppolari, devotissimi a San Giuseppe, che tenevano i loro banchetti davanti alle loro abitazioni e vendevano le zeppole ancora calde. Lo scrittore, drammaturgo, poeta Johann W. Goethe durante i suoi viaggi in Italia soggiornò per un periodo a Napoli nel 1787 e così descrisse la festa di San Giuseppe.
“Oggi era anche la festa di S. Giuseppe, patrono di tutti i frittaroli cioè venditori di pasta fritta…Sulle soglie delle case, grandi padelle erano poste sui focolari improvvisati. Un garzone lavorava la pasta, un altro la manipolava e ne faceva ciambelle che gettava nell’olio bollente, un terzo, vicino alla padella, ritraeva con un piccolo spiedo, le ciambelle che man mano erano cotte e, con un altro spiedo, le passava a un quarto garzone che le offriva ai passanti… ”.
Si narra che la forma del dolce che conosciamo oggi sia dovuta alle suore di San Basilio del Monastero di San Gregorio Armeno nel 1700. Nel 1837 nel trattato di cucina teorico-pratico di Ippolito Cavalcanti troviamo la prima ricetta ufficiale in lingua napoletana:
“Miette ncoppa a lo ffuoco na cazzarola co meza carrafa d’acqua fresca, é no bicchiero de vino janco , e quanno -vide ch’accommenz’ a fa He campanelle, e sta p’ asci a bollere nce mine a poco a poco miezo ruotolo, o duje tierze de sciore fino, votanno sempe co lo laniaturo ; e quanno la pasta se scosta da tuorno a la cazzarola, allora è fatta, e la lieve mettennola ncoppa a lo tavolillo, co na sodonta d’uoglio ; quanno , è meza fredda, che la può mania, la mine co Ile mmane pe farla schiank si pe caso nce fosse quacche pallottola de sciore : ne farraje tanta tortànielli cornine sonc li zeppole, c le friarraje , o co l’uoglio , o co la nzogna, che veneno meglio, attiento che la liella s’avesse da bbruscià ; po co no spruoccolo appuntato le pugoarraje pe farle squiglih, e farle veni vacante da dinto ; l’accuonce dinto a lo piatto co znccaro, e mele. Pe farle veni chiù tennero farraje la pasta na jurnata primma.”
Oggi invece, forse grazie al Pintauro, il pasticciere per antonomasia, a Napoli, la zeppola è un piccolo dolce di pasta bignè impreziosito da una crema pasticciera e da due o tre grani di amarena in confettura. Non c’è festività di San Giuseppe né festività del papà se a tavola non ci sono le zeppole fritte o al forno con ciliegina o con amarena. Con crema bianca o, la più classica , con crema gialla. Come sempre poeti e scrittori hanno osannato questo dolce e ci piace ricordarlo, in attesa di gustarlo materialmente il giorno 19, con una poesia di Ferdinando Russo:
Don Ciccì! Qua, la vita, overamente,
è piena di amarezze! Io l’ho capito!…
Mangiateve sta zeppula vullente,
che, v’assicuro, vi alleccate il dito!
La bignè! La bignè non teme niente!
Ne vado pazzo!… Che gusto squisito!
E la capisco differentemente,
contro il parere vostro riverito…
La mangio calda! Mia moglie lo sa,
e a tutti gli anni, quann’è « San Giuseppe »,
essa a friggere sempre, io… a mangià!
Provatele!… Qua ci hanno tolto tutto!
Fanno a chi megli po’ tirarce ‘e streppe!
Che vi dicevo? Non si sente, ‘o strutto…
Buon San Giuseppe e Auguri a tutti i papà