Il ‘600 è considerato il secolo del ‘barocco’: ed effettivamente lo fu, ma le declinazioni seicentesche hanno assunto varie esplicitazioni di ‘scuola’, distinguendosi secondo indirizzi variamente distribuiti in Italia ed in Europa.
Le dinamiche del pensiero seicentesco vengono generalmente additate come quelle in cui la fantasia trova ragione di sbrigliati voli pindarici, perdendo l’ancoraggio alle cose, alle esperienze della vita e della storia. Di fatto, non fu così; ed anche un autore come Giambattista Marino, letto con maggiore attenzione e con minore pregiudizio critico, si rivela personalità tutt’altro che disavvertita ed irresponsabilmente proiettata verso l’esuberanza di un formalismo inconsulto. Nelle scienze, come nella Filosofia si afferma una linea di ricerca che inaugura scansioni metodologiche di assoluta efficacia e, sulla base di ciò, l’istanza ‘naturalistica’ già avviata dal pensiero di Giordano Bruno, trova spazio di larga accoglienza, come avviene, ad esempio, nel mondo delle arti figurative con l’impegno creativo di Caravaggio.
Agli antipodi di tale pittura ‘naturalistica’ caravaggesca sembrerebbe dover collocarsi la temperie ‘barocca’, che, invece, a ben vedere, trova ragioni di collegamento con le sensibilità non soltanto del Naturalismo vero e proprio, ma anche con quelle del Classicismo che intanto era venuto affermandosi, durante tutto il corso del ‘600, come tertium genus di cui occorreva assolutamente aver conto.
Quali sono i protagonisti, a Napoli, di questo diversificato modo di intendere l’impegno creativo artistico della pittura nel secolo del ‘600?
Operando una sintesi decisamente impietosa, osserveremo che l’orientamento ‘naturalistico’ di ispirazione caravaggesca trova i suoi più significativi esponenti nel Sellitto, nel Vitale ed in Battistello Caracciolo, mentre l’istanza ‘barocca’ si afferma con il Giordano ed il Preti e quella ‘classicistica’ con un autore come Massimo Stanzione.
Detto questo, però, dobbiamo subito correggere il tiro, andando ad osservare, ad esempio, che ciò che di fatto si osserva nella cultura pittorica del secolo non è una modellazione che si stratifica su nette ed asciuttamente profilate dirimenti di indirizzo, quanto, piuttosto, una disposizione creativa che si profila fortemente ibridativa delle parti in gioco, cosicché nella pittura del Preti, ad esempio, troviamo sensibilità naturalistiche, come in quella del Giordano echi di ascendenze classicistiche, cosicché la dilatata presenza di numerosissimi maestri vede variamente esprimersi le singole personalità con accenti creativi che sono espressione di incontri e di incroci di diversificate e complesse sensibilità creative.
G.B. Spinelli, Agar e l’Angelo
B. Cavallino, La Cantatrice
Soffermandoci, in particolare, su ciò che viene definito come ‘pittura napoletana del ‘600’ osserveremo che essa si presenta, inoltre, fortemente differenziata rispetto ad altre ‘scuole’ regionali italiane ed europee.
In particolare, la carica propulsiva del Seicento napoletano sembrerebbe poter trovare aggancio nelle logiche della stessa temperie manieristica, che aveva avuto in autori tardocinquecenteschi, come l’Imparato, il Curia o il Santafede, degli straordinari interpreti; e che aveva avuto in un autore – invece ormai seicentesco – come Massimo Stanzione un vivificatore appassionato delle ragioni del moderatismo e dell’equilibrio formale.
Ma anche il Barocco napoletano si nutre di queste ragioni di equilibrio, differenziandosi, in tal modo, ad esempio, dalla esuberanza fiorente del Barocco romano, di cui non riescono a penetrare in ambiente napoletano quelle prospettive di ‘sfondato’ che distinguono larga parte della decorazione chiesastica della città dei papi.
Contano, peraltro, nella sensibilità creativa napoletana anche le opportunità di confronto che si producono in città con le esemplificazioni che provengono da altre ‘scuole’, in primis, quella emiliana, da cui refluisce la sensibilità creativa di artisti come il Lanfranco o Guido Reni, che nutrono il proprio contributo creativo di stesure pittoriche che si profilano sobrie e controllate negli aspetti di ordine volumetrico e spaziale.
Tanto basta per creare una sorta di ulteriore liaison con la ricerca classicistica napoletana di marca stanzionesca – allargata, peraltro, al Vaccaro o al De Rosa – mentre l’ulteriore ansito ‘naturalistico’, che segue la prima stagione ‘caravaggesca’, si immedesima nell’opera di artisti come il Ribera o, in provincia, il Guarino a Solofra.
Altri ancora modellano una propria cifra individuale, apparentemente fatta di esuberanza e malintesa, quindi come barocca, come avviene nel caso della prestanza creativa di Aniello Falcone, della consistenza ‘filosofica’ di Salvator Rosa, dell’equilibrio ‘storicistico’ di Micco Spadaro o della sensibilità lirica di Bernardo Cavallino, per non dire della sensibilità quasi onirica dello Spinelli.
Intanto, vorremmo dire così, studia da pittore anche Francesco Solimena, che esordisce in termini di raffinata vena barocca; ma a lui non toccherà di essere l’interprete eponimo di questa stagione seicentesca, essendogli affidato il compito dalla storia di guidare le sorti del Settecento napoletano.