Un film che parla di fede verso il genere umano
Difficile guardare the Whale e riuscire a rialzarsi senza concedersi alcuni momenti per potersi riprendere. La sensazione che lo spettatore ha è quasi una sorta di dolore soave, per usare un’antitesi, un dolore che ci fa sentire leggeri e ci dona una certa speranza. Il film di Aronofsky cella nella sua semplice trama una struttura, uno sviluppo complesso dell’agire dei suoi personaggi.
Affetto da una grave forma di obesità, che lo obbliga a rimanere chiuso in casa, Charlie passa il suo tempo alternandosi tra l’offrire lezioni di scrittura online, a webcam rigorosamente spenta e parlare con la sua amica infermiera Liz. L’aggravarsi della sua patologia, porta il professore a voler riallacciare i rapporti con sua figlia, Ellie, abbandonata dopo aver dichiarato la sua omosessualità.
The Whale è un fortissimo dramma famigliare claustrofobico con il quale Aronofosky cerca di portare a compimento quella che fu un’analisi della disperazione umana già osservata in The Wrestler.
Il film è sicuramente in un inno a salvare sé stessi e gli altri intorno a noi. L’infermiera Liz assiste Charlie ogni giorno, gli misura i parametri, gli compra da mangiare, gli fa avere anche una sedia a rotelle adatta a lui. Il loro rapporto, che sembra sincero e amicale, nasce soprattutto da una reciproca necessità di affrontare il proprio dolore e i propri traumi. Charlie è consapevole che la sua condizione è frutta di un profondo dolore causato da una perdita che egli non riesce a gestire.
Consapevole, ormai, di non avere più tempo, fine sancita anche dai giorni della settimana che appaiono sullo schermo, l’uomo decide allora che se non potrà aiutare se stesso, aiuterà gli altri. Ecco, dunque, la ricerca di un dialogo con Ellie, bisognosa di amore e di essere salvata dalla propria rabbia e frustrazione.
Forte, la contrapposizione tra Charlie e suo padre. Due anime sofferenti. Per tutta la pellicola, assistiamo al tentativo di Charlie di entrare in punta di piedi nella vita di sua figlia, animato dal forte senso di colpa e al continuo rigetto di Ellie che, odiando il padre, ma volendo amore, ritorna. Un rapporto animato da una forte parabola del perdono e del dolore.
Come in Madre! O Requiem for a Dream, Aronofsky continua a prediligere gli spazi chiusi e claustrofobici, simbolo di caos, dolore e dell’autodistruzione. Più la casa, nella quale tutta la storia è ambientata, è ordinata, solita e uguale, più Charlie si distrugge, chiudendosi in un regime di quotidianità, scandito da abbuffate, immobilità e rischi di soffocamento. Per quanto egli sia in grado di comunicare agli altri ciò che prova, impossibilitato ad abbattere il muro e i suoi limiti. L’uomo non si preoccupa di se stesso e induce tutti a provare disprezzo per lui.
Sicuramente il film si regge interamente sulla potenza espressiva di Brendan Fraser, il quale, dopo un periodo di buio, ritorna alla ribalta ancora più forte di quanto non lo fosse negli anni ’90. Difatti, possiamo chiaramente osservare la personalità di Fraser, sotto i dolori di Charlie. Aronofsky ha lasciato l’attore libero di utilizzare il suo personaggio come una tela bianca sulla quale dipingere e sfogare i suoi propri sentimenti.
La sensibilità di Charlie è la sensibilità di Brendan Fraser. E’ parere di molti che questo sembri non essere un tipico film di Aronofsky, in quanto latente della forza simbolica tipica dei suoi altri film. Probabilmente, ciò accade grazie ad una storia che parla sola e cresce senza aiuto di immagini metaforiche e grazie ad un’interpretazione da Oscar. Lo vincerà domenica notte?
The Whale sembra regalare un dolore salvifico allo spettatore in quanto, nonostante ogni nostro tentativo di autodistruzione, l’essere umano trova sembra, anche nei suoi ultimi istanti, il modo di rialzarsi, diventando luce. Grazie alla fede, non una fede religiosa promulgata dai fanatici, ma una fede verso il genere umano.