Questa ‘Scuola’ d’arte di Boston è la manifestazione più convincente dello sforzo che gli Americani cercano di compiere per affrancarsi della ‘dipendenza’ europea
All’aprirsi del secolo del ‘900 gli Stati Uniti vedono inaugurarsi la mostra dell’’Armory Show’ che costituisce un appuntamento decisivo dell’ingresso nel continente americano del clima di ricerca d’avanguardia già affermatosi ampiamente in Europa. Qui, a dettar legge, in America, in punto esemplaristico, è ancora il vecchio continente europeo. Ed è dirimente e decisiva la rilevanza del portato della ricerca di Duchamp e di tutto quanto di effettivamente originale il suo messaggio veniva suggerendo in questo contesto, valendo a convincere gli artisti americani di dover procedere ad un rinnovamento radicale dei loro stilemi.
W. mG. Paxton, Autoritratto; F. W. Benson, Estate, 1909
Gli Americani non se lo fanno dire due volte e procedono, però, non sulla strada di una immediata ed acritica adesione al dettato dell’avanguardia europea, ma a produrre, piuttosto, un rafforzamento della propria profilatura identitaria che è quella della considerazione dell’arte come manifestazione non della ‘storia’ (questo è vero per gli europei, loro ne hanno poca di storia) ma dell’ ‘ambiente’, un ambiente che può essere colto nelle sue peculiarità sia territoriali (‘Hudson River School’), che sociali (‘Ashcan School’), lasciando aperta la porta ad una ulteriore opportunità di ampliamento di questa prospettiva che si sarebbe rivolta a descrivere il processo di modernizzazione industriale ed urbano (‘Precisionism’) o ad osservare gli effetti della ‘solitudine’ derivante dai nuovi equilibri umani (Hopper, poi Segal).
Occorreva, però, chiudere i conti con l’Europa: occorreva, insomma, non solo indicare come il clima delle Avanguardie potesse essere fatto proprio e reinterpretato in chiave nordamericana – ed a questo avrebbe provveduto Man Ray, non a caso legato a Duchamp – ma occorreva anche procedere a superare il rapporto di ‘dipendenza’ parigina che era quello stabilito. tutto sommato, da J. Singer Sargent, che costituisce la longa manus impressionista negli spazi al di là dell’Atlantico.
F. W. Benson, Ritratto, 1917; Ritratto 1909
A chiudere la partita con la Francia provvederanno alcuni artisti tutti legati, in fondo, proprio all’ambiente parigino – ed in particolare a quello della Académie Julian, come Edmund C. Tarbell, Frank Weston Benson e William McGregor Paxton che danno vita, non a caso, nella città americana, che è quella più di ogni altra ‘europea’, ad una ‘scuola’ che assume l’eponimo della città stessa: la ‘Boston School’.
G. W. Rogers, Donna con cappello di pelliccia
L. Cabott Perry, Donna in barca
Che tipo si pittura praticano questi artisti? Una pittura che viene definita ancora ‘impressionista’, che sembra rivolgere il suo sguardo ancora a Sargent ed ai suoi modi eleganti, rarefatti e raffinati. Ed, invece, a guardar bene, questa pittura bostoniana è quella che va a descrivere la realtà di questo importante polo urbano metropolitano statunitense, analizzandone – coi Ritratti che rende dei suoi protagonisti della vita sociale – l’immagine ed il volto, quasi come in un tentativo di contrapporre ad una realtà sociale più cruda, che era quella che emergeva dai tratti della ‘Ashcan’, un diverso intendimento della stratificazione sociale.
Quella che emerge, infatti, dalle opere dei pittori della ‘Boston School’ è una America affluente, colta e molto ricca: è la America della costa atlantica che guarda con una sorta di strano ghigno di superiorità tutto il resto del paese: è la voce del New England che lascia affiorare tutta la propria presunzione.
Saprà dare spazio anche al protagonismo femminile, questa ‘scuola’ e vediamo emergere alcune intensissime personalità di artiste, Gretchen Woodman Rogers, ad esempio e Lilian Westcott Hale, Elizabeth Okie Paxton, Adelaide Cole Chase, Lilla Cabot Perry ecc.
C’era ancora un’altra America, però, che si contrapponeva, in questi stessi anni che sono quelli dei primi decenni del ‘900, a questa della costa atlantica: quella delle regioni del Midwest, ciò che viene anche indicato come il ventre molle del paese, l’area più conservatrice e provinciale. Ma in arte, come vedremo, aveva non poco da dire: era la ‘American Scene’, detta anche ‘Scuola del Regionalismo’.
E. O. Paxton, Natura morta, 1920
Ciò che conta, comunque, nel rendere una prospettiva d’insieme sulla ‘Boston School’ è proprio la possibilità di osservare come questo contesto ambientale sappia additare con forza la necessità di un affrancamento culturale, che non viene perseguito in termini di netta contrapposizione all’Europa – in particolar modo l’Impressionismo – ma in termini di ricerca di quelle ragioni identitarie che sono proprie della società americana e la identificano sul piano ambientale. Qui giova ricordare ancora la azione precedentemente svolta dalla ‘Hudson School’ che tempestivamente aveva saputo dare – proprio come fattore identitario – ampia visibilità al paesaggio americano nelle sue peculiarità di immensità di slargo. Ma giova ricordare, per la propria coraggiosa proposta di dar corpo ad una pittura complessivamente ‘americana’, anche personalità apparentemente più isolate, come quella di Homer.
E così, alla luce di questi confronti che costituiscono motivi di pregressa ricerca di autenticità, osserveremo ancora la messa in evidenza delle sensibilità morali e culturali di una comunità che faticosamente andava costruendo una propria profilatura di ‘nazione’. In fondo, i Ritratti, che caratterizzano tanta parte dell’attività creativa dei protagonisti della ‘Boston School’ sono proprio la testimonianza di tutto ciò e, anche se sembrano ammiccare alla temperie impressionista francese, sono cose, ormai, spiccatamente ‘americane’.
(Le immagini che corredano questo testo sono tutte di esclusiva provenienza da fonti di possibilità di pubblico prelievo)