Dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale ai primi film fino alla consacrazione
Lo scoppiò della guerra, purtroppo, stravolse i piani di molti, compresi i suoi. Non poté sottrarsi alla chiamata dell’esercito italiano. Fortuna volle, però, che aveva ugualmente spazio per coltivare quello che ormai era molto di più di un hobby, ma una professione vera e propria. Con l’uniforme del regio esercito, prestò servizio nella banda musicale dell’81° reggimento fanteria di Torino. In quel periodo si divise tra rivista, ancora qualche comparsata nel cinema e qualche spettacolo teatrale. L’ultimo lo interpretò con Wanda Osiris.
Come specificato sul grande schermo, fino a quel momento, aveva preso parte alle varie pellicole o come comparsa o in un ruolo prettamente secondario. Ciò accadde fino all’inizio degli anni ’50. La svolta giunse, finalmente, quando incontrò uno dei registi più visionari e geniali che ancora adesso ci invidiano: Federico Fellini.
Tra il 1952 ed il 1953, Alberto Sordi prese parte a quattro pellicole, tutte entrate nella storia del cinema italiano. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare la prima, diventata nel tempo un cult ed un film storico, non ebbe altrettanto successo al momento nell’uscita nelle sale cinematografiche. Si tratta de ‘Sceicco bianco’ diretto sempre da Fellini. Era l’anno 1952.
L’anno successivo entrambi si presero una grossa rivincita con ‘I vitelloni’, in cui Sordi divenne celebre per la famosissima scena del gesto dell’ombrello rivolto ad alcuni lavoratori nei campi. Il film gli diede grossa visibilità al punto che, sempre nello stesso anno, prese parte a ‘Un giorno in pretura’, per la regia di Steno’.
Mentre nel 1954 entra ancor di più nell’immaginario collettivo grazie ad un’altra scena di un’altra pellicola entrata anch’essa nella storia del cinema in cui, intento a mangiare del cibo americano, sposta il piatto per ben più succulento e gustoso piatto di spaghetti. Stiamo parlando di ‘Un americano a Roma’.
In questo film, Alberto Sordi, interpreta Ferdinando Mericoni appassionatissimo degli Stati Uniti d’America, tanto che gli valse, addirittura, la cittadinanza americana qualche anno più tardi. Sempre con Steno, girerà nel 1955, il film ‘Piccola posta’ in cui apparirà per la prima volta il tipico personaggio che lo accompagnerà per tutti gli anni ’50 per non dire quasi oltre: vigliacco, scansafatiche, qualunquista, approfittatore, indolente ed infantile.
Da quel momento in poi la sua carriera è solamente in discesa. Entra sempre di più nel cuore degli italiani. Prende parte a film, partecipa alle trasmissioni televisive, diventa quello che per tutti sarà sempre considerato come il divo per eccellenza insieme altri quattro interpreti menzionati all’inizio di questo speciale che, proprio a questo punto, potrebbe anche terminare qui. Si, perché da qui in poi sarà solamente un elenco infinito di titoli che lo stesso attore romano ha girato nella sua lunghissima carriera.
Film quasi tutti di successo che hanno conquistato le sale cinematografiche di tutta Italia a partire, proprio, da quel decennio venuto subito dopo la fine del secondo conflitto mondiale, gli anni ’50. Un successo proseguito con gli anni ’60 e ’70, i quali hanno rappresentato, per lo stesso attore, la conferma di quanto aveva fatto fino a quel momento.
Un consolidamento che è avvenuto passando da un genere all’altro come per esempio: Guardia, guardia scelta, brigadiere e maresciallo del 1956, commedia, alla ben più seria e drammatica trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo di Ernest Hemingway Addio alle armi. Un personaggio, il suo, come detto versatile in cui veniva proposto con una sfaccettatura diversa in base alle esigenze che richiedeva il copione stesso.
E ancora: La grande guerra, con Gassman, a Tutti a casa, fino alla commedia entrata nel mito de ‘Il Vigile’ con l’amico Vittorio De Sica. Questi ultimi due sono entrambi del 1960. Sempre in quel decennio sarebbe vietato dimenticare titoli come: I due nemici, Il giudizio Universale, Risate all’italiana, I complessi, Il medico nella mutua e la pellicola dal titolo che divenne molto presto un modo ironico di dire: Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico scomparso misteriosamente in Africa? A chiudere il decennio 1960 ci pensò: Il Prof. Dott. Guido Tersilli primario della clinica Villa Celeste convenzionata con le mutue.
Non furono da meno neanche gli anni ’70 con titoli molto ma molto interessanti: Detenuto in attesa di giudizio; Bello, onesto, emigrato, Australia sposerebbe compaesana illibata; Polvere di stelle; Finché c’è guerra c’è speranza; Di che segno sei?; Un borghese piccolo piccolo; I nuovi mostri; Dove vai in vacanza?; Il malato immaginario.
Mentre gli anni ’80 si aprirono con due film che oggi sono considerati dei veri e propri cult: Il marchese del grillo, del 1981 e In viaggio con papà, con Carlo Verdone, il quale lo ritroverà nel film Troppo forte. E ancora: il tassinaro, del 1983, Tutti dentro, Sono un fenomeno paranormale e Un tassinaro a New York.
La sua storia cinematografica termina negli anni nel decennio successivo, negli anni ’90, con le pellicole come ‘L’avaro’, ‘Il nome del popolo sovrano’, ‘Vacanze di Natale ‘91’, ‘Assolto per aver commesso il fatto’, ‘Nestore, l’ultima corsa’, Romanzo di un giovane povero e Incontri proibiti. Tra questi, molto probabilmente, quello che dovrebbe essere considerato è proprio ‘Nestore, ultima corsa’, incentrato sulla storia di un cavallo che dopo aver portato a spasso per diversi anni i turisti di Roma, con il suo padrone interpretato dallo stesso Sordi, giunge la fine del suo tempo per essere portato al mattatoio.
Fra tutti i titoli a cui ha preso parte, balza all’occhio uno dei pochissimi ruoli che non ha mai ricoperto: quello di un politico. Tra le testimonianze che sono emerse nel corso di questi lunghi venti anni senza di lui, emergono delle dichiarazioni in cui era lo stesso Sordi a manifestare la propria contrarietà nel ricoprire tale ruolo sul grande schermo.
Qualcuno, molto probabilmente lo poteva intravedere come un’opportunità di non scontentare nessuno, ma in realtà Alberto Sordi affermò che non c’era bisogno di interpretare un politico, perché in fondo erano loro stessi che recitavano, evitando, così, una sovrapposizione inutile. Sempre secondo il suo pensiero, rincarò la dose affermando che addirittura qualche parlamentare avrebbe meritato l’oscar proprio per la credibilità delle loro interpretazioni.