Spunti di riflessione su due recenti interventi decorativi in edifici antichi settecenteschi: l’uno nel Bosco di Capodimonte a Napoli, l’altro a Nocera Superiore. Non pagelle di merito, ma questioni di metodo
Vorremmo lasciar planare la nostra attenzione su due recenti episodi di interventi creativi artistici in edifici di culto antichi – entrambi di età settecentesca – che possono leggersi come azioni di rimodellazione estetica.
Ci riferiamo, in particolare, alla chiesa di San Gennaro nel Bosco di Capodimonte a Napoli ed alla cappella della Addolorata di via Taverne a Nocera Superiore.
Entrambe queste costruzioni sono di piccole dimensioni: un po’ più grande quella napoletana, del 1745, dovuta alla progettazione di Ferdinando Sanfelice; un piccolissimo invaso, quella nocerina, del 1754, di cui non conosciamo l’autore, e che nasce come cappella di culto nel contesto del complesso di un fabbricato gentilizio.
In entrambi gli edifici sacri si è intervenuto, di recente, come già dicevamo, con l’inserimento di opere assolutamente nuove che valgono come opportunità ricreativa di una profilatura decorativa.
Non discuteremo della qualità artistica dei rispettivi interventi, giacché il giudizio valutativo delle singole produzioni esula dalla nostra riflessione in questa sede, intendendo noi, qui, piuttosto, fornire un suggerimento di considerazioni ‘metodologiche’ sul senso e sull’indirizzo che possono o debbono avere gli interventi di rimodellazione estetica di edifici o di contesti che hanno una propria identità storica consolidata e visibilmente assettata.
Giova osservare che entrambi gli interventi di cui discutiamo possono essere considerati di stampo sostanzialmente ‘postmoderno’ e, tuttavia, ciò che li distingue e li differenzia è la logica che li ha ispirati.
Osserviamo, in particolare, che nella chiesetta nocerina gli interventi consistono nella creazione di due dipinti – uno di capoaltare e l’altro sull’architrave esterno del portale d’accesso – che ripropongono i temi figurativi (rispettivamente, una Pietà ed una Addolorata) propri del corredo decorativo originario sottratto alla fruizione dei fedeli dall’azione del tempo.
Sono due dipinti questi che stiamo prendendo in esame, da poco collocati in situ, realizzati l’ uno da Antonio Salzano e l’altro da Michela Salvati.
A. Salzano, Pietà, Nocera Superiore, Cappella dell’Addolorata alle Taverne
Le due opere sono stilisticamente coerenti tra loro e si rivelano di netta disposizione figurativa, intrigantemente postmoderne, nutrite, però, non di ‘slittamenti ‘di deriva’, ma di una godibile consistenza ‘anacronistico-citazionistica’, che le rende associabili alle pratiche più significative di tale scansione stilistica nostra contemporanea fino a giustificare che si affacci in esse anche qualche sottile ansito di esiti ‘tardoconcettuali’.
Ed infatti, tali opere suggeriscono l’apparentamento a quella sensibilità creativa che trova variamente i suoi archetipi in personalità come Omar Galliani, Carlo Maria Mariani, Stefano Di Stasio, Antonella Cappuccio ecc.
Michela Salvati, Addolorata, Nocera Superiore, Cappella dell’Addolorata alle Taverne
Giova aggiungere che gli interventi di Salzano e della Salvati sono assolutamente rispettosi delle consistenze locali ed ambientali e si vanno a collocare entro le spaziature delle cornici litiche e a stucco di ascendenza settecentesca ove erano collocate le opere antiche ora non più, evidentemente, esistenti in loco.
S. Calatrava, Intervento di rimodellazione decorativa nella chiesa di San Gennaro, Napoli, Bosco di Capodimonte
Tutt’altro discorso, invece, per la chiesa di San Gennaro a Capodimonte, ove l’intervento dell’archistar Santiago Calatrava ha totalmente stravolto il significato architettonico ed ambientale dell’edificio antico sanfeliciano settecentesco. Non è intervenuto – fortunatamente – l’architetto sulle sue strutture, ma ne ha trasformato radicalmente il significato ambientale, procedendo con una ridipintura totale in bleu dell’invaso e con l’inserimento di vari elementi decorativi spuri che hanno rimodellato la chiesetta del Bosco di Capodimonte in una sorta di wunderkammer postmoderna degna di comparazione – negli effetti che suggerisce di stupore e di suggestione – con il grande ‘pozzo’ luminoso della stazione Toledo della linea 1 della metropolitana partenopea progettata dallo spagnolo Oscar Tusquets.
Si capisce bene che non discutiamo affatto la ‘qualità’ dell’intervento artistico di Calatrava, di cui riconosciamo le peculiarità e la caratura degli ottenimenti prodotti, cose che valgono a dare ulteriore contribuzione a quella consistenza postmoderna che ormai caratterizza molti interventi prodotti a Napoli negli ultimi quarant’anni (pensiamo ad esempio, alla Montagna di sale di Paladino o all’arredo urbano antistante le stazioni di Materdei e di Salvator Rosa della Linea 1 della Metropolitana partenopea), ma ne vorremmo giudicare, piuttosto, l’’opportunità’.
A.Kapoor, Stazione Monte Sant’Angelo della Linea 7 della Rete metropolitana di Napoli
Se Calatrava fosse intervenuto in un edificio creato ex novo – pensiamo qui, ad esempio, a quanto realizzato alla stazione di Monte Sant’Angelo della linea 7 della rete metropolitana con il suggerimento creativo di Kapoor, significativo intervento postmoderno anch’esso e di intenso spessore espressivo – non avremmo esitato a gridare al capolavoro al cospetto di un’azione del tipo di quella realizzata nel Bosco di Capodimonte. Ma, ed è questo l’interrogativo, aveva senso stravolgere l’invaso settecentesco sanfeliciano della chiesa di San Gennaro, alterandone totalmente la lettura architettonica, decorativa e stilistica?
Non si tratta di mancanza di rispetto e di inutile azione di arroganza creativa, dello stesso tipo di ciò che viene rimproverato, ad esempio, agli interventi compiuti soprattutto tra Sei e Settecento quando molti edifici, soprattutto di vocazione sacra, sono stati radicalmente trasformati, perdendo le originarie connotazioni di ascendenza paleocristiana, romanica o gotica?
Alessio Simmaco Mazzocchi, già nel ‘700, ammoniva contro la distruzione dei manufatti artistici antichi per far spazio ad interventi decorativi di nuovo gusto.
E quanta disapprovazione viene riservata, oggi, dalla nostra coscienza critica contemporanea, nei confronti di tali operazioni di ricostruzione, attuate nei secoli scorsi su manufatti architettonici antichi sui quali, però, occorre ricordare anche questo, era comunque indispensabile intervenire, a suo tempo, magari, per consolidare lesioni strutturali dovute a vicende sismiche o di altra natura distruttiva!
Ed ora? nel secolo delle consapevolezze critiche e storiografiche, in età di massima tutela del monumento antico, ora che sono disponibili tecniche e materiali che consentono un restauro non invasivo e non distorsivo dell’identità del manufatto, cosa si fa? si dà mandato a Calatrava di stravolgere un monumento settecentesco, alterandone la natura e la possibilità di una percezione dei suoi ‘valori’ originari, non per ragioni di conservazione statica, ma per mera ed inopportuna rimodellazione decorativa?
M. Paladino, Montagna di sale Insatallazione poi prodotta a Napoli nel 1995 a Piazza Plebiscito (già Largo di Palazzo)
Ecco, la censura critica non si fissa, quindi, sulla qualità dell’intervento di Calatrava (che in altro contesto avremmo, anche certamente apprezzato) ma sulla sua opportunità, sulla eccessività di un’entrata a gamba tesa, in uno spazio ove sarebbe occorso, invece, agire come hanno fatto Salzano e la Salvati alla cappellina alle Taverne, operando secondo sensibilità postmoderna senz’altro, ma nel pieno rispetto dei luoghi e della storia che vi si addensa.