Fu la più grande battaglia navale del Mediterraneo: 7 ottobre 1571
La sera del 7 ottobre 1571 le tenebre scesero sul golfo di Lepanto, il buio ed il silenzio calavano sulle acque che fino a poco prima erano state il teatro di una delle più grandi navali del Mediterraneo.
Lo storico Alessandro Barbero ha definito la battaglia di Lepanto come la battaglia dei tre imperi: l’impero Spagnolo di Filippo II, l’Impero Ottomano e i marittimo della Repubblica di Venezia. Alla fine della battaglia la Lega Santa festeggiava la vittoria sull’Impero Ottomano.
Le protagoniste della battaglia furono le galee o galere mediterranee, navi di legno dotate di vele ma la cui principale forza propulsiva erano i remi. Queste unità erano l’evoluzione di secoli e secoli di tecnologia navale e rappresentavano le eredi dirette delle trireme greche che avevano combattuto a Salamina.
Si trattava di unità su cui erano montati uno o due alberi con velatura, oltre ad almeno venti banchi di voga su ogni fiancata della nave, a cui erano incatenati schiavi, criminali, furfanti ed altri poveri disgraziati.
Il resto dell’equipaggio era composto da marinai e da soldati.
La battaglia di Lepanto ha la sua genesi nella salita al trono del sultano Selim II (in italiano Solimano II), la cui politica espansionista nei confronti della Repubblica di Venezia sfocerà nella guerra di Cipro del 1570-1571. Gli storici concordano nel definire Selim II come un sovrano debole ed inadeguato ad assumere la guida della Sublime Porta.
Figlio di Selim I detto il “magnifico”, Selim II giunge al trono per una serie di fortuite quanto imprevedibili circostanze: suo fratello Mehmed morì di vaiolo, suo fratellastro Mustafa fu strangolato a morte per ordine di suo padre, suo fratello Cihangir morì di malattia poco dopo quest’ultima esecuzione e suo fratello Bayezid fu ucciso per ordine di suo padre dopo una ribellione contro il padre.
Questi eventi determinarono la salita al trono dell’individuo più improbabile, il debole Selim II, soprannominato Sarı Selim (il biondo) e dai suoi detrattori Sarhoş (l’Ubriacone). Selim II, oltre ai suoi problemi di alcolismo, patisce un complesso di inferiorità nei confronti del padre, autore di grandi conquiste ed è un uomo dal carattere bonario, pacifico e poco incline alla guerra.
La debolezza del sultano coincise con una sempre più crescente influenza di militari, ammiragli ed ltre personalità influenti della corte di Costantinopoli che inducono il Selim II ad un politica espansionistica. L’attenzione di Selim II cade sull’isola di Cipro, possedimento veneziano. Spinta dall’ala più oltranzista, il governo di Venezia rifiutò le richieste di cessione di Cipro all’Impero Ottomano, portando così alla guerra le due potenze.
Il 1° luglio 1570 i turchi sbarcano a Cipro e dopo aver conquistato la capitale Nicosia cinsero d’assedio la fortezza di Famagosta, in cui si è asserragliata la guarnigione veneziana al comando del nobile Marcantonio Bragadin. Nel frattempo, la flotta veneziana non riuscì a portare aiuti a Cipro perché bloccati da un’epidemia di tifo che stermina i rematori delle galee.
Gli aiuti arriveranno più tardi ma saranno insufficienti. Mentre Bragadain era chiuso a Famagosta nella speranza di riuscire a resistere, la Repubblica Veneta si ritrovò da sola a combattere contro un nemico più forte di lei. Della gravità di situazione se ne rende conto anche Papa V, definito da Arrigo Petacco nella sua opera sulla battaglia di Lepanto come <<un papa giusto al momento giusto>>.
Prosegue ancora Petacco <<Forse non sarà stato lo Spirito Santo a suggerire al conclave del 1566 di eleggere papa Antonio Michele Ghislieri, ma fu comunque una scelta provvidenziale. Mai come in quel momento la Chiesa romana aveva avuto bisogno della guida di un uomo come lui, risoluto, intransigente, animato da una fede profonda e deciso a farla trionfare contro tutto e contro tutti purificandola da ogni circostanza>>.
Il vecchio frate domenicano, giunto al soglio di Pietro nel 1566, comprese subito il pericolo dato dalla caduta di Cipro, dal momento che ciò avrebbe consentito ai Turchi di acquisire nuove basi da cui intensificare le incursioni contro le coste cristiane del Mediterraneo Occidentale. Inoltre, un nuovo successo turco avrebbe soffiato come un vento sulle ceneri mai sopite della ribellione che covavano sotto l’apparente sottomissione delle popolazioni moresche che ancora vivevano in Spagna.
Per tutti questi motivi Pio V si adoperò per la formazione di una Lega fra Stati, denominata Lega Santa. Il Trattato di costituzione della Lega Santa fu firmato il 25 maggio 1571 e vedeva inizialmente uniti l’Impero Spagnolo, la Repubblica di Venezia e lo Stato Pontificio; successivamente si uniranno i Cavalieri di Malta, la Repubblica di Genova, il Granducato di Toscana, il Ducato d’Urbino, il Ducato di Parma, la Repubblica di Lucca, il Ducato di Ferrara, il Ducato di Mantova ed il Ducato di Savoia.
Gli Stati coinvolti armarono una grande flotta che fu posta sotto il comando spagnolo di Don Giovanni d’Austria, figlio naturale del defunto imperatore di Spagna Carlo V e fratellastro dell’attuale Filippo II, il quale, forse anche per liberarsi dell’ingombrante parente, gradì molto la sua nomina. La Lega avrebbe avuto carattere perpetuo ed avrebbe potuto contare su 200 galee, 100 navi, cinquantamila fanti e novemila cavalli.
I costi sarebbero stati sostenuti per metà dalla Spagna, per un terzo da Venezia e per un sesto dal Papa. Quest’ultima porzione, non potendo il Papa farvi fronte, venne ulteriormente suddivisa in cinque parti, tre a carico degli spagnoli e due dei veneziani. La costituzione effettiva della flotta fu però lunga e laboriosa.
Allarmato per il ritardo, Pio V dovette imporre tutta la sua autorità ai principi europei e minacciarli di scomunica se non fossero salpati. Infine, la flotta prese forma e il vessillo, benedetto dal papa, fu consegnato solennemente dal cardinale di Granvelle a don Giovanni d’Austria, nella basilica di Santa Chiara a Napoli il 14 agosto 1571.
La flotta si mise in navigazione per andare in soccorso di Famagosta che però si era già arresa il 1° agosto, dal momento che gli uomini di Bragadin erano ormai stremati dall’assenza di viveri e munizioni.
Il condottiero veneziano andrà incontro ad una fine orribile a seguito delle torture inflitte dai Turchi.
La notizia raggiunge Don Giovanni d’Austria il 5 ottobre 1571, quando la flotta giunge nelle acque del porto di Viscando.
A quel punto i cristiani decidono di muovere verso il golfo di Patrasso, dove bel frattempo si era riunita la flotta turca al comando di Müezzinzade Alì Pascià, divenuto ammiraglio della flotta ( Kapudan deryà) nel corso dell’attacco a Cipro. Superati i contrasti tra i suoi comandanti, Don Giovanni D’Austria decide di dare battaglia. La scelta è dettata anche dalle condizioni climatiche dal momento che l’addentrarsi nella stagione autunnale sta determinando un peggioramento progressivo delle condizioni del mare.
Non bisogna infatti dimenticare che fin dall’antichità il periodo tra il mese di ottobre e quello di marzo era quello in cui si sospendevano le operazioni militari e ciò comportava il rientro in porto delle flotte militari, le quali rimanevano a svernare in attesa della bella stagione.
Domenica 7 ottobre 1571, dopo la celebrazione della solenne messa, le navi cristiane così si divise: in posizione di avanguardia le navi di Francesco Duodo, sotto il cui domando vi erano anche sei galeazze veneziane e cioè dei vascelli grandi e pesantemente armati; al centro le navi comandate da Don Giovanni D’Austria (che innalzava il vessillo sulla propria ammiraglia, la galera Real); a sinistra le navi al comando del veneziano Agostino Barbarigo mentre a destra vi erano le navi del genovese Gianandrea Doria.
Di riserva vi erano le navi Alvaro de Bazan. I turchi avevano altresì diviso le navi in tre gruppi: al centro Müezzinzade Alì Pascià, a destra Mehmet Shoraq (Scirocco) a sinistra Uluc Alì (Occhialì). In riserva Murad Dragut. Le due flotte si posero una innanzi all’altra e come due cavalieri avanzarono l’uno verso l’altra lentamente.
A dare inizio allo scontro fu un colpo di cannone esploso dall’ammiraglio di Alì Pascià, la Sultana. Subito dopo un colpo partì dalla Reale, a dimostrazione che Don Giovanni d’Austria non si sottraeva allo scontro. La battaglia iniziò a mezzogiorno. Le prime a dare battaglia furono le galezza di Francesco Duodo, le quali aprirono il fuoco contro le navi turche, rompendo l’unità dello schieramento avversario. Dopo questa prima fase, le due flotte vennero a contatto e la battaglia si dissolse in una miriade di singoli scontri tra le varie navi.
Molte navi erano avvinghiate fra di loro da catene e rampini lanciate dai marinai per tentare l’arrembaggio. Contemporaneamente gli equipaggi si scambiavano fra di loro colpi di archibugi e tiri di frecce con archi e balestre. Prima di venire al confronto all’arma bianca. Al centro la nave ammiraglia Sultana diresse verso la Real, conficcando il suo rostro nella prua avversaria.
I turchi cercarono di abbordare la nave avversaria ma furono respinte dalle scariche di archibugio degli spagnoli Sulla sinistra dello schieramento cristiano Agostino Barbarigo fu ferito mortalmente e suo nipote Andrea, che aveva preso il comando fu ucciso ed il comando passò definitivamente a Federico Nani. Le navi cristiane sembravano sul punto di soccombere fino a che non entrarono in azione le galee veneziane che erano rimaste inattive sulla destra dello schieramento del Barbarigo.
La situazione fu ribaltata e furono i cristiani a passare all’arrembaggio delle navi turche, ingaggiando furiosi combattimento nel corso del quale l’ammiraglio Mehmet Shoraq fu ucciso, mentre la sua testa fu issata su una picca e mostrata agli altri combattenti perché la vedessero. Scossi dalla morte del loro ammiraglio i turchi si diedero alla fuga, gettandosi in acqua dalle loro navi, mentre i veneziani presero a tirare contro di loro, uccidendone molti. La battaglia a sinistra si era conclusa.
Al centro dello schieramento, l’equipaggio della Real riuscì ad abbordare la Sultana. Alì Pashà cadde nel corso dell’assalto e fu subito decapitato. La sua testa fu issata su una picca perché tutti potessero vederla, mentre Don Giovanni d’Austria con la spada sguainata urlava <<victoria>>. Contemporaneamente sulla Sultana fu innalzato il vessillo di Sant’Andrea, mentre i vari equipaggi cristiani mano a mano riportavano vittorie sui turchi conquistando o affondando le navi avversarie, conquistando la vittoria.
Restano ancora avvolti dal mistero invece gli scontri sul lato destro dello schieramento cristiano, tra le navi al comando del genovese Gianandrea Doria e quelle del corsaro Uluch Alì. Molti storici hanno investigato e speculato su ciò che accade in quella parte del campo di battaglia.
Il Doria si rese protagoniste di quelle che un autore francse, Jurien de Gravière definì come manoeuvres ènigmatiques. L’ammiraglio genovese infatti, legato alla Spagna, fu molto riluttante allo scontro ed altrettanto lo fu il suo omologo ottomano. Il Doria dopo le manovre iniziali portò le sue navi ad allargarsi a destra, lasciando così un clamoroso varco nel fianco dello schieramento cristiano, in cui Alì avrebbe potuto infilarsi ed aggirare le navi cristiane.
Mentre ciò accadeva una parte della squadra di navi del Doria – composta da legni veneziani, pontifici, piemontesi e maltesi – si staccò dalle navi genovesi e diresse contro quelle turche. Le navi “insubordinate” furono ben presto ridotte a mal partito da quelle ottomane, tant’è che in loro soccorso mossero le unità di Don Giovanni D’Austria e di Marcantonio Colonna.
Fu solo allora che il Doria fu costretto a volgere le unità genovesi contro quelle di Ulugh Alì, il quale, temendo l’accerchiamento ruppe il contatto con le navi avversarie e si allontanò dallo scontro, abbandonando al loro destino i vascelli catturati. Se si esclude il comportamento di Gianandrea Doria, la vittoria cristiana fu completa. All’esito dello scontro centodiciassette galee ottomane e venti galeotte furono catturate, atre cinquanta furono affondate ed altre cinquanta ancora finirono sugli scogli.
Oltre quarantamila ottomani furono uccisi o fatti prigionieri mentre oltre diecimila schiavi cristiani furono liberati. La vittoria fu pagata a caro prezzo anche dai cristiani, dal momento che settemila e cinquecento marinai e soldati della Lega Santa furono uccisi. Numerosi anche i feriti tra cui spicca anche Miguel de Cervantes, il futuro autore del Don Chisciotte, a cui è legato un curioso episodio.
Imbarcato come soldato semplice sulla nave spagnola Marquesa, il Cervantes, assieme ad altri, si rese protagonista assieme ad altri dell’abbordaggio di una nave ottomana, salvo poi essere ferito da un colpo di archibugio alla mano sinistra, che rimase inutilizzabile per il resto dei suoi giorni. All’esito della giornata – che l’autore commentò essere <> (la miglio giornata che videro i secoli) – Cervantes fu convocato da Don Giovanni d’Austria che si complimentò con lui per il coraggio dimostrato e chiese di potergli stringere la mano. A questa richiesta Cervantes rispose indicando la mano sinistra rimasta invalida e dicendo al proprio ammiraglio: << una ve l’ho già data Altezza>>.
Bibliografia – Alessandro Barbero, Lepanto. La battaglia dei tre imperi. Ed Laterza 2012. – Arrigo Petacco, La croce e la mezzaluna. Lepanto 7 ottobre 1571: quando la Cristianità respinse l’Islam. Ed Mondadori 2005. – Chiara Gini – Alberto Greco, Le grandi battaglie dall’antichità a oggi. Vol 1, Ed. Mondadori, 2006