Un film diretto da James Mangold, in cui si racconta la vera storia di quando la Ford sfidò la Ferrari nel circuito di Le Mans nel 1966
Era la corsa agli Oscar del 2020 e l’Academy non escluse quello che era il nuovo film di James Mangold, “Le Mans ‘66”, o quanto meno non lo fece per alcune nominations ben specifiche. Comunque, era logico pensare che c’erano diverse opere cinematografiche che si contendevano il trono di miglior film, sicuramente, migliori di “Ford vs Ferrari”.
Nonostante ciò, questo gioiellino di James Mangold, uscito il 14 novembre del 2019, conquistò tutti già dal primo week end di programmazione, con un incasso che superò l’interessantissimo film di Jennifer Lopez: 468.111 euro contro i 465.918 euro di Jlo. Interessante non solo per le bellezze presenti nella pellicola, ma anche perché “Le ragazze di Wall Street” è una storia, nella sua struttura narrativa, incredibilmente vera. Anche “Le Mans ‘66” lo è.
Un fatto sportivo realmente accaduto che sembra quasi leggenda. Nel senso che staremmo qui a domandarci “ma è veramente successo”? La nostra risposta è un semplice: si. Ma non ci fermiamo qui con questa piccola affermazione. Sarebbe troppo riduttivo.
Il film narra la storia della Ford, con al comando Henry Ford II, nipote di Henry Ford, che per incrementare le vendite e la sua immagine nel mondo decide di sfidare, nel circuito di ‘Le Mans’, la Ferrari. La compagnia automobilistica, in primo momento, si affida all’ex-pilota costruttore di auto Carroll Shelby, interpretato da Matt Damon, ‘The Bourne Identity’, il quale a sua volta, si affida all’impulsivo Ken Miles, un pilota molto in gamba ma fuori da ogni regola, impersonato da quell’incredibile trasformista che è Christian Bale.
Nel cast figurano anche il nostro Remo Girone, nel ruolo di Enzo Ferrari, e John Bernthal, ‘The Walking Dead’ e ‘The Punisher’. D’altronde James Mangold non era la prima volta che gestisce un insieme di attori così ben assortito e vario. Ci sovviene ‘Cop land’, del 1997, in cui recitarono insieme: Sylvester Stallone, Harvey Keitel, Ray Liotta e Robert De Niro. Quindi si tratta di un regista navigato e, forse, troppo poco considerato.
In questo film la vicenda, raccontata per sommi capi sopra, venne ricostruita partendo dall’antefatto fino al tremendo e drammatico finale. In fondo: non si è sempre sostenuto che la vita è un’intera corsa in cui non sempre il successo personale è scontato? O comunque non viene riconosciuto nella sua totalità?
La duplice domanda ruota, si, intorno al protagonista, Ken Miles, ma la storia è comunque corale, con una sceneggiatura realizzata a sei mani da: Jez Butterworth, John Harry Butterworth e Jason Keller. Nel modo in cui è stato scritto il film non si deve attendere molto per un’accelerazione nello sviluppo della trama. Si parte subito a tutto gas, grazie anche da un agile montaggio della coppia Micheal McCusler ed Andrew Buckland, superando in scioltezza le temibili “curve” che potrebbero portare in alcuni momenti morti durante il film.
150 minuti, dunque, a “7.000 giri”, parafrasando una delle battute del personaggio principale, in cui le performances dei singoli interpreti si mescolano tra loro; non per migliorare la trasposizione cinematografica di una vicenda storico-sportiva non eccellente, anzi al contrario. Completavano un lavoro che, nel suo complesso e come sostenuto in precedenza, meritava se non direttamente un premio anche per la candidatura come miglior sceneggiatura.
Invece la statuetta d’oro giunse per il miglior montaggio e montaggio sonoro. Senza, però, dimenticare che anche la fotografia di Phedon Papamicheal avrebbe meritato. Per non dimenticare anche degli attori, in fatto di Oscar.
Il film è vincente per un semplice motivo: i fatti sono ricostruiti fedelmente, senza troppi espedienti per romanzare la storia. Con “Le Mans ‘66” ci troviamo di fronte ad un nuovo classico del genere “automobilistico -sportivo” del cinema. Un film che va visto e rivisto per la sua schiettezza ed epicità dei personaggi, per una storia da scoprire e da riscoprire. Un piccolo e grande capolavoro da consigliare e che avrebbe di sicuro meritato anche la statuetta come miglior film.