Le dinamiche del realismo nella prima metà del ‘900 inaugurano una stagione in cui il rapporto dell’arte con il reale si fa molto intenso e partecipato e la consistenza delle cose viene resa come manifestazione di una sorta di collocazione degli oggetti in una dimensione atemporale
Nel corso del ‘900 e, soprattutto, nella prima metà del secolo scorso, si è affermata una modalità di intervento creativo che ha saputo dimostrare che potesse essere possibile affrontare il rapporto con la realtà fenomenica senza dover rimanere prigionieri gli artisti delle logiche obiettivamente superate del Verismo come del Naturalismo, dell’Impressionismo e del Realismo.
Ciò vuol dire che gli artisti hanno saputo dar corpo ad una immagine del reale fenomenico che doveva saper misurarsi non soltanto con la realtà – così come oggettivamente si presenta ai nostri occhi – ma, di più, anche con la stessa macchina fotografica che, proprio di quella stessa realtà fenomenica, aveva fatto osservare come potesse essere possibile fornire una rappresentazione del tutto innovativa.
L’artista comprende bene che deve osservare il dato oggettuale con una prospettiva asciutta e disincantata, una prospettiva che sappia rendere non l’immaterialità delle cose, ma l’idea atemporale di esse. Il dato della ‘oggettualità’, in altre parole, deve essere compreso nella sua misura di ‘oggettività’, essendo ben poco significativa la restituzione pedissequa del dato fenomenico, e più importante, invece, la capacità dell’arte di saper leggere la consistenza effettuale della datità cosale.
Per far ciò, sembra che, più o meno a valle della fine della prima guerra mondiale, si aprano due vie ed entrambe hanno una sorta di radice comune, quella che fu la svolta che si avvia entro la fine del decennio degli anni ‘Dieci’ del cosiddetto ‘Ritorno all’Ordine’.
Cosa voleva dire questa locuzione di ‘Ritorno all’Ordine”?; voleva semplicemente dire che occorreva scavalcare a piè pari la stagione delle avanguardie per riconciliarsi con la misura delle cose. E, per fare questo, occorreva stabilire un nuovo approccio alla rappresentazione dell’oggetto, con la consapevolezza matura di dover instaurare un conflitto con l’apparecchio fotografico andando a dimostrane i limiti sul suo stesso terreno: quello della fedeltà riproduttiva.
Le Avanguardie avevano spiegato molto bene un concetto: che la verità è plurale e che nessuna immagine è ‘la’ immagine di qualcosa, lasciando aperta, in tal modo, la strada a qualsiasi opportunità giustificativa di un taglio prospettico o di particolare angolazione visiva.
A partire di qui, l’artista comprende che gli si disvelano infinite opportunità di realizzare un nuovo rapporto col dato della consistenza epifenomenica delle cose. Nasce di qui il ‘Ritorno all’Ordine’ che riscopre la classicità essenziale di una linea pulita e rigorosamente profilata. E, giova aggiungere, di qua alla cosiddetta ‘Nuova Oggettività’ o al ‘Realismo Magico’ il passo sarebbe stato assai breve.
Sullo sfondo di tutto ciò, che noi qui andiamo esaminando come processi storici ormai consegnati al tempo passato, va considerato il rilievo che queste cose hanno avuto nel prodursi delle modificazioni sociali che hanno caratterizzato i profondi mutamenti del secolo ventesimo.
Ed assumono sempre più intrigante spessore tante personalità di rilievo che contribuiscono a creare tale clima: da Hopper a Schad, da Grossberg a Cagnaccio di San Pietro, da Casorati a Fabbricatore, da Ugo da Celada a Deineka, da Sheeler a Donghi; e potremmo ancora continuare.