Il trionfo di Gneo Pompeo Magno contro i pirati
Nel 67 a.C. la Repubblica Romana, sotto la guida di Gneo Pompeo Magno, condusse una guerra contro il fenomeno della pirateria in tutto il bacino mediterraneo. All’esito del conflitto i Romani avevano spazzato via i pirati dal Mar Mediterraneo. La guerra piratica del 67 a.C. non deve essere letta come una semplice operazione di polizia marittima, bensì come l’evento che comportò la restaurazione della talassocrazia acquisita da Roma sul Mediterraneo alla fine delle guerre puniche.
Inoltre, tali eventi segnarono anche l’ascesa di uno dei protagonisti della storia di Roma antica: Gneo Pompeo Magno. Nel 67 a.C. i pirati infestavano le acque del Mar Mediterraneo, esponendo a grave pericolo la tenuta dei traffici marittimi di Roma. In particolare, ad essere minacciate erano le forniture di grano per l’Urbe.
Il fenomeno piratesco – così come descritto da Appiano e da Plutarco – era connotato oltre che una notevole estensione territoriale anche da una struttura ben organizzato. Inoltre, i pirati disponevano di base sicure (specie lungo le coste della Cilicia) nonché di navi veloci e di equipaggi efficienti e molto combattivi.
Partendo da luoghi sicuri ed impenetrabili, i pirati compivano veloci assalti ai mercantili, incursioni sulla costa. Altre volte, i pirati rapivano le personalità imbarcate sulle navi da loro attaccate, salvo poi rilasciarle dietro il pagamento di ingenti riscatti.
Il rapimento più celebre fu quello che ebbe come vittima Caio Giulio Cesare.
Una descrizione precisa dell’attività dei pirati ci proviene da Cassio Dione Cocceiano nella sua Storia Romana: << I pirati non navigavano più a piccoli gruppi, ma in grosse schiere, e avevano i loro comandanti, che accrebbero la loro fama [per le imprese]. Depredavano e saccheggiavano prima di tutto coloro che navigavano, non lasciandolo in pace neppure d’inverno […]; poi anche coloro che stavano nei porti. E se uno osava sfidarli in mare aperto, di solito era vinto e distrutto. Se poi riusciva a batterli, non era in grado di catturarli, a causa della velocità delle loro navi. Così i pirati tornavano subito indietro a saccheggiare e bruciare non solo villaggi e fattorie, ma intere città, mentre altre le rendevano alleate, tanto da svernarvi e creare basi per nuove operazioni, come si trattasse di un paese amico.»
La problematica dei pirati aveva origine antica, dal momento che i romani avevano cercato di contrastare il fenomeno già in periodi antecedenti. Le fonti danno atto del tentativo del console Lucio Fabio Labeone di espugnare la base dei pirati di Creta nel 189 a.C., terminato con una cocente sconfitta per i romani, Nel 102 a.C. Marco Antonio Oratore si recò in Cilicia al comando di una grande flotta; riuscì a sconfiggere i pirati ed a creare la provincia romana della Cilicia.
Tuttavia, ciò non fu sufficiente dal momento che i pirati si riorganizzarono e ripresero la loro attività, come testimoniato dalla guerra intrapresa nei loro confronti da parte di Lucio Licinio Lucullo nell’86 a.C., nel bel mezzo delle guerre mitridatiche.
Si giunse così al 67 a.C. quando si decise di risolvere radicalmente il problema, approntando una grande campagna militare contro i pirati. Grazie alla Lex Gabiania – voluta dal tribuno della plebe Aulo Gabinio – il senato romano individuò il comandante delle operazioni in un giovane ed abile generale: Gneo Pompeo.
La legge attribuiva a Pompeo un potere straordinario della durata massima di tre anni, dal momento che allo stesso fu attribuito l’imperium su tutto il mediterraneo, con la possibilità di nominare ben quindici legati.
A Pompeo furono assegnate centinaia di navi da guerra e migliaia di soldati, un accesso illimitato al tesoro di Roma per poter fronteggiare senza problemi i costi della guerra. Il suo potere, inoltre, non era confinato al mare ma si estendeva anche ad una fascia di territorio interno di quattrocento stadi (quaranta chilometri) dalla costa.
In altre parole, a Pompeo era stato conferito un imperium maius et infinitum che non aveva eguali nella storia di Roma.
La prima mossa di Pompeo fu quella di suddividere il Mediterraneo ed il Mar Nero in tredici distretti marittimi(qualcuno preferisce utilizzare il termine quadranti): Gellio (console nel 72 a.C.), a capo del mare toscano; Gneo Cornelio Lentulo Clodiano nell’alto Adriatico, alle cui dipendenze potrebbero essere stati posti i giovani figli di Pompeo (Gneo il Giovane e Sesto) e non come vorrebbe Floro, questi ultimi posti a guardia del mare egizio; Plozio Varo sul Mar di Sicilia; Attilio nel golfo ligure (secondo Floro) o il mare di Sardegna-Corsica (secondo Appiano]); Pomponio nel golfo gallico; Torquato nelle acque delle Baleari; Tiberio Nerone nello Stretto di Gades; Lentulo Marcellino sul mar libico-africano; Terenzio Varrone sul basso Adriatico fino all’Acarnania; Lucio Sissena sul Peloponneso, Attica, Eubea , Tessaglia, Macedonia e Beozia ;Lucio Lollio sull’alto Egeo e le sue isole fino all’Ellesponto; Publio Pisone sul Ponto Eusino nei mari di Tracia e Bitinia, a nord della Propontide; Metello sopra l’Egeo orientale, la Ionia meridionale, la Licia, il Panfilio, Cipro e la Fenicia; Cepione sul Mar asiatico; Porcio Catone doveva chiudere i passaggi della Propontide.
I comandanti dei vari settori godevano di una vasta autonomia operativa, dal momento che gli stessi avevano ordine di attaccare e di distruggere tutte le attività dei pirati nel loro settore di competenza.
Viceversa Pompeo era libero di intervenire nel quadrante del Mediterraneo che, a seconda del momento rivestiva la maggiore importanza.
Il condottiero di Roma adotta poi una tattica innovativa, dal momento che lo stesso rifiuta l’idea dello scontro in mare aperto, preferendo una serrata attività di raccolta di informazioni utili ad individuare le basi dei pirati, le quali sono via via attaccate ed eliminate con rapide quanto efficaci azioni della flotta romana.
Dopo appena quaranta giorni Pompeo ha ripulito il Mediterraneo Occidentale e può volgere la sua attenzione a Oriente ed in particolare alla Cilicia
Anche in quest’occasione Pompeo si dimostra innovativo dal momento che, contrariamente ai suoi predecessori, egli decide di non far trucidare i pirati suoi prigionieri, risparmiando la vita.
Scrive infatti Plutarco nella Vita di Pompeo: <<Alcune delle bande dei pirati che erano ancora libere, ma che chiesero perdono, furono trattate umanamente [da Pompeo], tanto che, dopo il sequestro delle loro navi e la consegna delle persone, non gli fu fatto alcun male ulteriore; gli altri ebbero allora la speranza di essere perdonati, cercarono di scappare dagli altri comandanti e si recarono da Pompeo con le loro mogli e figli, arrendendosi a lui. Tutti questi furono risparmiati e, grazie al loro aiuto, furono rintracciati, sequestrati e puniti tutti coloro che erano ancora liberi nei loro nascondigli, poiché consapevoli di aver commesso crimini imperdonabili>>.
Questo comportamento di clemenza spinge molti capi ad arrendersi a Pompeo, chiedendo di aver salva la vita per loro e per gli uomini al proprio comando. La clemenza è accordata da Pompeo purché chi s’arrende fornisca informazioni sugli ultimi irriducibili che ancora si battono in Cilicia.
Sulla base di quanto appreso, Pompeo organizza una spedizione di sessanta navi da guerra, attacca i pirati ed infligge loro il colpo finale. I centomila prigionieri sono inviati nelle colonie romane perché lavorino i campi e riscattino così con il lavoro il loro passato di banditi sul mare.
Su questo passaggio è ancora illuminate Plutarco: «Riflettendo, dunque, che per natura l’uomo non è e non diventa un selvaggio o una creatura asociale, ma viene trasformato dalla pratica innaturale del vizio; laddove può essere ammorbidito da nuovi costumi grazie al cambiamento di luogo e di vita, allora, se perfino le bestie feroci possono spegnere il loro modo di essere feroce e selvaggio quando queste vivono in modo più dolce la vita, [Pompeo] decise di trasferire gli uomini dal mare alla terra, permettendo agli stessi di vivere in modo più dolce la vita, in città e coltivando la terra. Alcuni di loro, quindi, furono accolti ed integrati nelle piccole città semi-deserte della Cilicia, a cui aggiunse ulteriori territori; dopo aver ricostruito la città di Soli, che era stata recentemente devastata da Tigrane, re d’Armenia, Pompeo ne insediò molti lì. Per la maggior parte di loro, tuttavia, diede come residenza la città di Dyme in Acaia, che allora era priva di uomini e aveva molta terra buona.»
Dopo poco più tre mesi Roma è tornata ad essere padrona indiscussa del Mediterraneo mentre la scena politica saluta un nuovo protagonista: Gneo Pompeo Magno.
Cassio Dione – Storia Romana. Vol V – Traduzione a cura di Alessandro Stroppa, Edizione Rizzoli 2009 Plutarco – Agesilao e Plutarco, Vite Parallele, a cura di E. Luppino Manse e A. Marcone Edizione Rizzoli 1996