Nel ricordo non servono le parole. Quelle lasciamole ai ‘professionisti della retorica’, tanto per parafrasare Leonardo Sciascia. 19 luglio 1992, 19 luglio 2022. Trenta lunghi anni che ci separano da quella tragica domenica, in via D’Amelio, dove tutto cambiò definitivamente. Dove ‘è finito tutto’, come dirà qualche giorno più tardi il Capo del Pool antimafia e giudice Antonino Caponnetto, che prese il posto del suo predecessore, Rocco Chinnici, in quella sembrava una battaglia o meglio guerra folle ed impossibile.

Invece l’impossibile, in quegli anni di sangue della Palermo e della Sicilia anni ’80, divenne possibile: sfidare la mafia e rendergli filo da torcere fino all’ultimo. Paolo Borsellino, il Giudice Paolo Borsellino, forse non pensava di rimanere l’ultimo di quella lunga lista di morte che vedrà sfilare davanti ai suoi occhi. Colleghi di lavoro, superiori, collaboratori di polizia preziosi e amici d’infanzia che hanno intrapreso la sua stessa passione e strada nella vita: facoltà di giurisprudenza e magistratura.

Eppure, Paolo Borsellino entrò in magistratura perché nutriva interesse per il diritto civile, mai e poi mai si sarebbe sognato di essere quello che poi è stato in vita. Un simbolo, un eroe. La cui immagine è stata sfruttata insieme ad altri suoi amici e colleghi per i classici discorsi di rito, celebrativi sicuramente, ma vuoti nella sostanza perché, diciamolo, nulla è stato fatto realmente.

Chiunque di noi si ricorda dove si trovava quando seppe della Strage di Capaci, come chiunque di noi si ricorda molto bene dov’era in quella di Borsellino, la strage di Via D’Amelio appunto. Eventi epocali che hanno segnato per sempre la storia del nostro paese, segnando uno spartiacque significativo. Due uccisioni, due attentati di rara violenza che rappresentavano molto di più di un monito.

A distanza di trenta anni i rimpianti aumentano. La consapevolezza, forse, di esser stati ad un passo della ‘svolta epocale’ è forse ancor più forte oggi che ieri. Il Giudice Paolo Borsellino lo sapeva dal primo minuto antecedente alla morte del suo migliore amico che sarebbe toccato a lui. I processi, libri, fiction, serie tv e film hanno raccontato in tutti i modi quei drammatici cinquantasette giorni in cui il magistrato cercò in tutti i modi di arrivare ai mandati della strage di capaci. Ci arrivò, senza mai aver avuto la possibilità di provare le sue scoperte relative alle indagini svolte.

In quei lunghissimi cinquantasette giorni, Paolo Borsellino, lasciò alcune interviste di cui entrate nell’immaginario collettivo, grazie ad una frase che gli fu riferita quando venne assassinato, dalla mafia, l’allora capo della squadra Catturandi Beppe Montana. Una frase che gli venne riferita dall’altro capo della squadra mobile Antonino Cassarà, detto ‘Ninni’, il quale verrà ucciso qualche giorno più tardi sempre da Cosa Nostra: ‘convinciamoci che siamo morti che camminano’. Mi frase fu tanto poetica.

La seconda è quella che fece con due giornalisti di Canal Plus, in cui rilasciò interessanti dichiarazioni, interessanti particolari sui rapporti tra imprenditoria e politica e mafia, senza mai sbottonarsi troppo proprio per le indagini in corso. Trenta anni, dunque, dove negli ultimi venti si sono celebrate le due ricorrenze con manifestazioni in cui partecipavano tutta la cittadinanza palermitana, la stessa cittadinanza che dopo l’ennesima uccisione atroce scese per le strade contro chi gettava sempre di più nello sconforto più totale la Sicilia.

In una delle più significative, quella relativa al venticinquesimo anniversario, la figlia di Borsellino, Fiammetta, dirà senza mezzi termini che in realtà non c’era nulla su cui festeggiare. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino erano stati massacrati e la verità era ancora ben lontana dall’essere appurata. Cinque anni più tardi da quello sfogo, naturale e logico, tra processi sbagliati o semmai piste sbagliate si rimane, ancora, con il dubbio atroce se sia stato veramente parte di pezzi di istituzioni deviati a porre in atto quello scempio a Via D’Amelio.

La sensazione è che forse semmai la verità dovesse mai trovare la via della conoscenza da parte del popolo italiano non sarà mai totale. Qualche elemento, qualche dettaglio sarà sempre omesso per qualche oscura ragione. L’unica cosa che resta da fare, oggi, è quella di fare silenzio, senza scadere nella trappola della retorica. Perché dopo trenta lunghi anni se ne può fare di sicuro a meno.

FONTE FOTO: WIKIPEDIA – DOMINIO PUBBLICO

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