28 maggio 1982. Giusto quaranta anni fa, negli Stati Uniti d’America, usciva nelle sale l’attesissimo terzo capitolo della saga dedicata al pugile di Philadelphia: Rocky Balboa. Personaggio e serie di film ideati dal genio, concedeteci tale espressione, di Sylvester Stallone. Un terzo capitolo, dopo il primo del 1976 e il secondo del 1979, che rappresentò un cambio di registro per lo sviluppo della trama.
Più commerciale ma non per questo meno riflessivo dei precedenti episodi. Atmosfere meno malinconiche ma ugualmente speranzose di Rocky I e Rocky 2, le quali lasciarono spazio alla vigorosa ed elettrizzante carica degli anni ’80. Più sfarzoso, più spettacolare e più adrenalinico.
Con inquadrature che permettevano allo spettatore di essere vicino ai due protagonisti mentre lottano sul ring. Altro elemento chiave era rappresentato dall’iconico singolo dei Survivor, ‘Eye the tiger’, che verrà analizzato direttamente lunedì per il consueto appuntamento musicale.
Scritto, diretto ed interpretato dallo stesso Stallone, in questo terzo capitolo l’iconico pugile viene mostrato, almeno per pochi minuti di film e per la prima volta, come un codardo. Umanizzando ancora quasi all’estremo la figura ideata dallo stesso Sly. Un passaggio obbligato, come poi ammise lo stesso attore qualche anno più tardi, per confermare l’essenza stessa delle storie del pugile italo-americano.
Come ormai è risaputo, la saga di Rocky è di fatto una metafora sportiva sulla vita di tutti i giorni, sul percorso esistenziale di ognuno di noi, sull’affrontare gli ostacoli della vita e come avere il coraggio di superarli.
Appunto, in questa espressione c’è tutta l’essenza del franchise inaugurato nel 1976. In questo terzo capitolo, dunque, troviamo un Rocky Balboa soddisfatto di sé stesso, ricco, famoso, che ormai ha tutto. Si sente, dunque, realizzato ed è diventato, rispetto agli altri pugili, ‘civilizzato’.
Quando si ritrova a dover affrontare il suo ultimo avversario, il forzuto Clubber Lang interpretato dall’altrettanto iconico Mr. T, il B.A. Baracus della serie cult sempre degli anni ’80 ’A-Team’, non si rende conto di aver perso quel mordente, quella giusta cattiveria che lo aveva contraddistinto contro il suo primo storico avversario: Apollo Creed.
Prima di incontrare il suo avversario Rocky scopre la verità sul mantenimento del titolo. I suoi successivi dieci incontri erano su misura. Una verità sbattuta in faccia dal suo manager ormai malato e che non gli rivela le sue reali condizioni di salute al pugile, almeno in un primo momento.
Rocky scopre il reale stato di salute del manager durante l’incontro con Clubber Lang, un incontro preparato dallo stesso pugile italo-americano in maniera fin troppo superficiale. La sconfitta diventa, a questo punto, inevitabile. Sempre nello stesso momento il suo manager muore lasciandolo nello sconforto più totale.
Inizia a vivere negli incubi, attraverso i suoi demoni. Le sue paure diventano realtà e neanche l’avversario di un tempo, lo stesso Apollo Creed, deciso ad aiutarlo lo scuote dalle fondamenta. Ci riuscirà sua moglie Adriana in un delle scene altrettanto iconiche della saga.
Durante la seconda parte degli allenamenti, accompagnati dal singolo già indicato e insieme alle musiche composte da Bill Conti, Rocky Balboa recupera i suoi occhi da tigre vincendo, si, contro Clubber Lang. Vincendo, però e soprattutto, contro sé stesso, contro le sue paure più oscure e recondite della sua mente e animo.
‘Rocky 3’, rispetto ai precedenti capitoli, è stato il maggior successo commerciale, appunto, con una trama che ha giocato maggiormente su colpi ad effetto senza perdere, in alcun modo, le caratteristiche proprie della storia, semmai valorizzandola e, perché no, anche aggiornandola alle atmosfere degli anni ’80.
Per molti questo terzo capitolo non è in grado di reggere il paragone dei primi due. Troppo ‘spettacolare’ rispetto alla riflessione dei precedenti ma altrettanto convincente nel proseguire una saga non ancora terminata grazie al suo spin-off ‘Creed’, di cui quest’anno si attenderà, guarda caso, il terzo capitolo.