L’Astrattismo scopre di poter rompere lo schema della simmetria e di poter dare un’interpretazione più avanzata dell’intuizione concretista
Dopo la fine della seconda guerra mondiale, la ricerca astrattista si sposta dall’Europa al Sudamerica. Non ripercorriamo in questa sede le vicende di molti paesi del ‘Subcontinente’ americano, per i cui sviluppi richiamiamo qui i nostri contributi già apparsi in queste pagine di ‘FreeTopix Magazine’, e preferiamo, piuttosto, additare che l’esperienza addensatasi intorno al concepimento della rivista ‘Arturo’ (siamo a metà anni ’40) basta a qualificare il cambio di rotta degli intendimenti che erano già stati propri del movimento di ‘Abstraction-Création’ nella nuova prospettiva di ‘Abstraction-Invencion’.
In particolare, si afferma la innovazione di Carmelo Arden Quin, che introduce il concetto della ‘obliquità’, che si propone come più avanzato sviluppo della idea della ‘diagonalità’, che aveva saputo far affermare, dandogliene spessore teoretico e creativo, ancora negli anni ’20, un autore come Theo van Doesgurg, protagonista della grande svolta ‘concretista’ delle logiche astrattive.
Giova senz’altro ricordare che van Doesburg aveva provveduto a ribaltare la prospettiva ‘tradizionale’ astrattista (che era di marca ‘costruttivista’) reindirizzando il processo di intervento creativo dall’abbrivio analitico applicato alla consistenza dell’oggetto (come avviene nel contesto, appunto, ‘costruttivista’ e poi di ‘de Stijl’) verso un diverso orizzonte di riferimento che sarà quello del puramente pensabile che può essere reso effettualmente pregnante attraverso la realizzazione oggettuale che ne saprà produrre l’artista (‘Concretismo’).
Ma soffermiamoci su ciò che si presenta, nei modi di una novità, nella seconda metà degli anni ’40, ove fa capolino, grazie appunto a Carmelo Arden Quin, il concetto inedito di ‘obliquità’, un concetto che sembrerebbe richiamarsi, in termini di creatività artistica, a quella intuizione epicureo-lucreziana di ‘parenclisis-clinamen’, che aveva segnato un punto di deciso avanzamento sul piano della cultura democritea del Materialismo antico.
L’obliquità giova, nel progetto ardenquiniano, a spezzare ancor più decisamente l’ordine della simmetria, introducendo, di fatto, una innovazione radicale nel campo della astrazione geometrica, ove potranno affacciarsi nuove linee di ricerca per una prospettiva astrattistica che sappia far propria l’istanza di apertura verso nuove opportunità di avanzamento che vadano al di là degli stereotipi ormai già divenuti ‘tradizionali’ di una ricerca astrattiva che avverte, piuttosto, ormai, il bisogno di un confronto attivo con la realtà storica emergente.
Più che dai suoi seguaci, cui facciamo grazia di qualche cedimento manieristico addebitabile allo sviluppo nel tempo del movimento di ‘madi’, creato nel ’46, è dal suo fondatore, Carmelo Atden Quin, che deriva una istanza di presa di contatto con la pregnanza evenienziale della vita.
Madi si propone, in particolare nella prospettiva del suo fondatore Arden Quin, come additamento di ordine materialistico-dialettico (da qui, con molta probabilità, la sigla di ‘ma-di’) utilizzando, a nostro gjudizio, l’ingovernabilità pregiudiziale dell’obliquo, come metafora della ingovernabilità della storia, non racchiudibile e comprimibile mai nel prescritto restrittivo di un ordinamento imbrigliato dalle ineludibilità formali delle simmetrie, con buona pace, evidentemente, della concezione hegeliana della corrispondenza biunivoca tra razionale e reale.
C. Arden Quin, Un’opera del 1945
L’innovazione ardenquiniana era, evidentemente, di notevolissima prospettiva ed avrebbe avuto bisogno di seguito ulteriore, che, occorre dire, s’è manifestato nelle realizzazioni operative dei decenni avvenire.
Qui, forse, ragionando sulla offerta produttiva della delibazione creativa successiva ad Arden Quin, può rilevarsi che gli artisti hanno finito – a nostro sommesso giudizio di valutazione critica – col fornire la creazione di opere, spesso, addirittura, di catturante ‘bellezza’ ‘estetica’, disponibili, proprio per tale motivo, ad immaginare di poter incrementare fino allo spasimo le opportunità ‘formali’, cui aveva dischiuso l’orizzonte la concezione ardenquiniana, che s’era profilata, essa, però, con un abbrivio di netto privilegio ‘contenutistico’,
In parte, il movimento cui Arden Quin diede corpo, provvide ad approfondire il concetto di obliquità, andandone a delibare, quindi, principalmente gli aspetti di carattere formale e di sperimentazione di nuovi materiali; in parte, si fece anche largo in qualche artista un’istanza di privilegiamento di ragioni che potessero lasciar compiere una scelta a considerare una sorta di concezione ‘umanistica’ della pratica astratto-geometrica.
Abbiamo di ciò pregevole testimonianza, ad esempio, nell’opera di Renato Milo, artista, in cui, in particolare, il dettato specifico ardenquiniano al privilegiamento ‘contenutistico’ appare decisamente osservato e, di più, incrementato, sul piano della ricerca da una intrigante prospettiva di affaccio, appunto, sulle ragioni della storia e di una apertura ‘umanistica’ dell’astratto.
Ci si può porre una domanda: se non si sia presentato, nella visione astrattiva di Arden Quin, il pensiero di una prospettiva di possibilità di mobilizzazione dell’oggetto artistico. Sappiamo che la concezione ‘ludica’, ad esempio, di Torres Garcia aveva manifestato delle sensibilità significative su questo punto; e ci si aspetterebbe che la concezione obliquitaria di Arden Quin avanzi significativamente in proposito. Ma non è propriamente così. La concezione del dinamismo nell’opera d’arte si presenta, infatti, per Arden Quin, come un’istanza ed un proposito progettuale piuttosto che un intervento di azione oggettualmente apprezzabile.
Rimane, infatti, al palo tale decisione d’impegno sul piano attuativo e la concezione di ciò che potremmo definire le dinamiche del movimento in arte rimangono, piuttosto, affidate alle sensibilità sperimentative di Calder, il quale, peraltro, avvertirà l’esigenza di alleggerire fortemente il ‘peso’ delle sue ‘sculture’ per potersi giovare efficacemente del soccorso adiuvante del vento.
Si poteva fare anche dell’altro: introiettare il movimento nell’opera, congelandone le dinamiche effettuali nel prescritto di meri stratagemmi illusionistici.
Così dicendo, stiamo già entrando, però, in un nuovo capitolo, quello di una concezione ‘cinetica’ dell’Astrattismo, un capitolo estremamente delicato della temperie ‘astrattista’ e di una concezione ancor più ampiamente ‘astrattiva’. E questo, evidentemente, è tutt’altro discorso, su cui, poi, sarà utile andare successivamente a riflettere.
(Alcune immagini sono state prelevate dal web, se ne ringraziano gli Autori e se ne dichiara l’impiego meramente culturale in questo contesto di pubblicazioni di studio sull’Astrattismo prodotto con finalità assolutamente non di ordine commerciale o pubblicitario, ma meramente stroriografico).