Gli artisti hanno saputo rappresentare il dramma umano ed esistenziale della guerra non limitandosi a celebrare solo battaglie e successi militari, ma anche le tragedie umane della prigionia e degli ospedali militari
Gli artisti non sono mai stati insensibili alla guerra e ne hanno rappresentato anche gli aspetti, per così dire, collaterali dei fatti d’arme, come, ad esempio, i momenti di pausa nelle operazioni militari trascorsi a trattenersi al gioco, come già mostra una celebre opera del VI secolo a. C., un lavoro di Exekias, che propone le figure di Achille ed Aiace intenti al gioco dei dadi.
Né mancano ulteriori esemplificazioni del tema della pausa nei combattimenti, come quella, tra le altre, dei Soldati a riposo, delineata dal tratto efficace e robusto di Salvator Rosa. Provvederemo a citare, inoltre, di tempi più recenti, la trattazione del ‘tempo morto’ dedicato dal soldato ad incombenze ordinarie, tra cui quella, ad esempio, del Raddobbo della giubba, come ha splendidamente provveduto a descrivere Tano Zancanaro.
S. Rosa, Soldati in riposo, sec. XVII
T. Zancanaro, Soldato che raddobba la giubba, 1939
Non sono però solo le occasioni di pausa nelle operazioni belliche della vita militare ciò di cui l’arte ci lascia testimonianza, giacché viene ad occupare l’impegno creativo dell’artista anche la descrizione di altri momenti della vita del soldato, momenti comunque legati strettamente al contesto delle azioni di guerra, come quelli della prolungata permanenza in prigionia, o come quelli delle degenze in ospedali, talvolta addirittura improvvisati, a seguito di ferite più o meno gravi riportate in combattimento.
Può essere utile osservare che, molto spesso, la tecnica della grafica è certamente quella più efficace, dal momento che la semplicità di strumenti che essa richiede consente all’artista di operare direttamente a contatto con la realtà di cui il proprio lavoro creativo provvede a fornire testimonianza visiva.
Abbiamo precedentemente citato la figura di Tano Zancanaro e la personalità di tale artista indirizza immediatamente la nostra attenzione storica su tutto il contesto del Realismo italiano, a partire dalla temperie tra le due guerre mondiali, caratterizzata da una forte sensibilità alla descrizione del dato oggettuale, fino agli anni della seconda metà del decennio dei Quaranta e, poi dei Cinquanta, quando la sensibilità eminentemente lirica di un Rosai o risentitamente ‘novecentista’ di un Sironi cedono il posto alla montante ‘neorealista’ che trae origine dalle compitazioni di ‘Corrente’ e del ‘Fronte Nuovo delle Arti’, e si propone negli accenti di personalità come Guttuso, Migneco, Pizzinato e di alcuni protagonisti della stagione del ‘Gruppo Sud’, come, ad esempio, Raffaele Lippi.
A. Paoletti, Disegni dal campo di prigionia – seconda Guerra mondiale
Proprio di quest’ultimo, ricorderemo le varie redazioni del tema delle Macerie, così come di Guttuso potrà essere utile additare il ciclo di Gott mit uns, che fa riferimento al motto di ‘Dio con noi’ esibito con orgoglio dalle SS naziste.
Vorremmo, infine, lasciar planare la nostra attenzione su due autori, una artista donna, Pierina Levi, emiliano-campana, ed un artista-aviatore, Attilio Paoletti, napoletano, alla cui azione creativa dobbiamo la testimonianza di momenti drammatici e toccanti della vita militare relativamente riferiti, nel caso della Levi, alla prima guerra mondiale e, nel caso di Paoletti, alla seconda.
P. Levi, Illustrazioni dall’Album di una infermiera samaritana, 1916-18
Pierina dedica il proprio impegno creativo alla testimonianza visiva delle sofferenze dei feriti di guerra. Le sue immagini, Dall’album di un’infermiera samaritana, corredano un libro pubblicato nel 1918 con prefazione di Ada Negri, contenente le lettere scritte dai soldati alle infermiere da cui sono stati curati.
Nel caso delle opere della Levi, ciò che emerge è la contestualizzazione di un complesso rapporto umano, quello in cui il dolore fisico non trova certo una ragione o un risarcimento della sofferenza, ma la consistenza d’un afflato che si rivela come una opportunità alla quale aggrapparsi per cercare la luce in fondo al tunnel della follia della guerra ed all’abisso dell’insensatezza della violenza.
L’altro artista, Attilio Paoletti, ha lasciato, invece, una testimonianza personale del periodo da lui trascorso nel campo tedesco di prigionia ove era stato internato. Con la sua grafica lucida, essenziale e segnicamente puntuale, l’artista provvede a descrivere la vita dietro il filo spinato, nelle baracche che ospitano i prigionieri.
Egli va a tratteggiare con vivida partecipazione i momenti della vita nel campo, non cedendo alla tentazione del sensazionalismo eroico e provvedendo, piuttosto, ad immedesimarsi nelle vicende apparentemente insignificanti e minute che pur distinguono e caratterizzano la vita quotidiana di questi internati, che conducono con fatica e dolore il peso di un tempo che non ha per loro una ragionevole aspettativa di srotolamento.
Giova osservare che le opere di questi due artisti vengono da noi qui presentate con l’intento di gettare un cono di luce non soltanto sulle loro personalità, ma anche su questi particolari aspetti della loro attività creativa – se non completamente inedita, certo non molto conosciuta – che si segnala per la preziosità della testimonianza e per il valore di contributo alla ricerca della pace.