L’interpretazione di Marlon Brando nel film il Padrino ha rappresentato il culmine della sua “seconda carriera” da attore. Fin dall’inizio della sua carriera egli è stato considerato un eroe moderno, ha personificato le vaghe speranze di almeno due generazioni, al fine di rinnovare lo stile di recitazione americano e, di conseguenza, il teatro e il cinema.
Brando che non aveva terminato gli studi si trova a recitare per caso, ottenendo un discreto successo ancora prima di scoprire la sua vocazione per il mestiere da interprete. Fu così costretto a confrontarsi con le aspettative del pubblico e con le proprie, un mestiere di cui gli erano ancora ignote le tradizioni culturali ed estetiche. Questo vuoto fu riempito con il Metodo, nella variazione americana delle teorie di Konstantin Stanislavskij. Il provincialismo americano della recitazione stava finalmente per essere superato. Marlon oltre allo studio introdusse altri elementi: istinto, memoria, identificazione e autenticità nel personaggio.
“Devi rovesciare il tuo io! Se non lo fai non puoi recitare” Marlon Brando.
Nel film del giovane regista Francis Ford Coppola, Brando interpreta in modo magistrale il ruolo di Don Vito Corleone: voce rauca, ottimo trucco scenico e una maschera intensa, consumata e invecchiata dagli anni. I suoi atteggiamenti in scena sono un’allusione al declino fisico di un uomo che si avvia verso l’ultima stagione della sua vita. Un anziano e potente signore seduto dietro la scrivania, impartisce ordini ai “suoi” uomini come se fossero regali impossibili da rifiutare.
In termini commerciali Il Padrino è una pietra miliare, si distingue da altri film di gangster per la superproduzione della Paramount, la narrazione infatti può permettersi un ampio respiro, di scenografia, cast, costumi ecc.
La scelta degli interpreti è eccellente: all’autorità ponderata di Marlon Brando (unica star affermata), al fuoco represso di Al Pacino, alla gelida saggezza di Robert Duvall, alla spontaneità e alla vulnerabilità di Diane Keaton. Le ragioni del successo popolare del film non sono di facile decifrazione: il film è abbastanza pessimistico, e non è facile identificarsi in personaggi spietati, dediti alla violenza e che reprimono le proprie emozioni. Un universo narrativo privo di basi morali è caratterizzato da lotte sanguinose. Tuttavia, si può provare a dare una risposta, come un romanzo realista del XIX secolo, esso offre allo spettatore o al lettore il piacere di immergersi in un mondo sociale diverso dal suo. La riuscita della pellicola è soprattutto legata allo spessore drammaturgico.
Il film è tratto dal romanzo di Mario Puzo, uno scrittore nato e cresciuto nel quartiere malfamato di New York Hells Kitchen, decise di raccogliere e strutturare le tante storie sulla mafia che conosceva
da quando era piccolo. Così all’età di quarant’anni compose il Padrino. Fino ad allora di mafia aveva scritto soltanto Leonardo Sciascia, e in toni certo meno elegiaci. Il libro uscì nel 1969 e divenne un bestseller da ventun milioni di copie vendute. Tre anni dopo il film sbancò in tutti i botteghini del mondo.
Il film de il Padrino è considerato uno spartiacque nella storia del cinema, il primo blockbuster contemporaneo. Piacque anche ai mafiosi perché si diceva, li faceva entrare nella storia e dava loro una dignità. Ai loro matrimoni dell’epoca si ascoltava sempre il tema del film scritto da Nino Rota. Puzo collaborò alla sceneggiatura del film insieme a Francis Ford Coppola,e si recò per la prima volta in Sicilia durante la lavorazione della pellicola.
Il mondo ordinario de Il Padrino (1972) è il regno di don Vito Corleone, nel quale siamo introdotti nel corso della lunga sequenza del matrimonio della figlia Connie, nell’anno di grazia 1945. In questo mondo ordinario, Michael occupa una posizione privilegiata, che gli permette di non doversi sporcare le mani con gli affari di famiglia. L’innocenza di Michael è di carattere morale: egli non è più un bambino e si è già dovuto misurare con la durezza della vita (è un reduce decorato della Seconda Guerra Mondiale), ma non si è ancora dovuto misurare con la necessità di stare dalla parte del Male. Lo vediamo alla festa di famiglia in posizione defilata, con la sua fidanzata, Kay, una Diane Keaton che sembra già un personaggio di Woody Allen ancora prima di iniziare a far film con lui.
Michael e Kay godono dei privilegi economici della Famiglia senza doverne condividere il fondo oscuro di illegalità e violenza. Chiacchierano, passeggiano, vanno al cinema, nella New York vagamente romantica dei giorni di Natale: Michael e Kay sono filmati come due eroi dei film della Nouvelle Vague. In contrasto con la loro felicità, nel disegno del montaggio, vediamo ugualmente in che cosa consiste il “mondo ordinario” della Famiglia, sia per quanto riguarda i discorsi e i rituali, nella sequenza della festa di matrimonio, sia per quanto riguarda il passaggio all’azione, nell’episodio ambientato a Hollywood in cui la violenza si manifesta in tutta la sua crudezza.
Quel che apprendiamo sulla Famiglia in questa fase di presentazione è soprattutto che essa si regge sull’equilibrio fra due componenti: da una parte la razionalità di don Vito e della sua mente, il figliastro Tom Hagen; dall’altra la forza bruta del figlio Sonny e del suo braccio, il killer Luca Brasi. Il “richiamo all’avventura”, cioè l’evento che incrina gli equilibri del mondo ordinario mettendo in moto la narrazione, è l’attentato subito da don Vito Corleone per mano di una cosca rivale, che nel frattempo ha anche fatto rapire Tom Hagen e fatto assassinare Luca Brasi.
Necessariamente il sistema di potere della Famiglia necessità di un riassetto, ma in una prima fase è Sonny ad assumere la leadership mentre Michael rimane ancora in disparte. Il film è stato distribuito il 15 marzo 1972 in anteprima mondiale, alla sua uscita negli Stati Uniti la pellicola incassò 135 milioni di dollari e aiutando molto le casse della Paramount Pictures, che si tirò fuori da una difficile situazione economica.
Il film fu premiato con tre premi Oscar, su 10 nomination totali: miglior film a Albert S. Ruddy, come produttore; miglior attore protagonista a Marlon Brando, che rifiutò di ritirare durante la cerimonia in segno di protesta contro le ingiustizie verso le minoranze, soprattutto i nativi americani e miglior sceneggiatura non originale a Francis Ford Coppola e Mario Puzo.
Nel 1998 l’American Film Institute l’ha inserito al terzo posto della classifica dei migliori cento film statunitensi di tutti i tempi, mentre dieci anni dopo, nella lista aggiornata, è salito al secondo posto. Marlon Brando grazie a questo film è tornato alla ribalta e ha riconfermato la sua mirabile professionalità e impeccabile bravura.