Folle, fuori dagli schemi e sempre con il piede sull’acceleratore. Solo in questo modo si può descrivere o sintetizzare la vita di un genio o, ancora meglio, il modo di essere di un uomo in cui lo stesso ‘genio’ e la classica sregolatezza hanno camminato a braccetto per tutto il resto del suo percorso esistenziale. Ci sarebbe anche un’altra parola per definirlo: imprevedibilità. Un po’ come nella scena con la quale abbiamo aperto questo secondo articolo dedicato a lui di questo lungo speciale.
Ovvero quello del mitico momento in cui Bluto, il personaggio che interpretava John Belushi nel film ‘Animal House’ di John Landis del 1978, fracassava contro il muro una chitarra in modo buffo, bambinesco e, appunto, imprevedibile. Tutta la sua esistenza si è svolta in questo modo, ma non era uno sprovveduto. John Belushi sapeva molto bene chi e cosa volesse essere. L’unica cosa che non poteva prevedere è di aver lasciato una traccia così indelebile nella memoria di tutti. E che questa traccia era già ben visibile qualche anno prima della sua improvvisa scomparsa.
Capita spesso di usare tale tipo di espressioni quando si tratta di questi personaggi, di queste icone, di questi miti. Il suo mito, la sua leggenda, seppur dal punto di vista privato, ebbe inizio il 24 gennaio del 1949 a Wheaton, un sobborgo di Chicago. Nei suoi primi anni di vita affermava di avere origini italiane, confidando proprio sul suo cognome.
Suo padre in realtà, Adam Belushi, un ristoratore, si era trasferito negli Stati Uniti quando aveva solamente sedici anni con la propria famiglia con lo scopo di trovare una vita migliore, lasciando la propria nazione natia, l’Albania. La piccola nazione europea, a quei tempi, era sotto l’egida del sistema politico comunista e affermare, durante i primi anni ’50, di provenire da quella parte di mondo non era semplice.
Adam gestiva diversi ristoranti che non gli permettevano di navigare nell’oro, difatti dopo qualche anno fallirono facendo svanire il sogno di vedere i propri figli continuare la tradizione di famiglia. Infatti, John non era figlio unico; aveva un fratello, James. Anch’egli attore divenuto affermato.
Si narra che lo stesso James, un giorno, affrontò suo fratello John cercando di convincerlo a non fare uso di droghe. Si presero a pugni, narrano alcune testimonianze e alla fine, dopo la zuffa, John sembrò essersi pentito ma poi, con uno stratagemma, convinse James a seguirlo per un giro a città: i due si trovavano a Las Vegas.
Quando nel 1971 il padre di John perse la propria attività per lavorare come barista, John fece un discorso a James: “Fai come me. Usa questo posto soltanto per dormire. Va a scuola tutto il giorno, gioca a football, torna qui a cena, esci tutta la notte torna solo per dormire. Va alle partite di football, agli incontri di lotta. Alle lezioni di arte drammatica. Fa tutto quello che vuoi, ma fallo davvero. E stai lontano da casa”.
Con queste parole John, in quell’occasione, pose l’accento sul possibile rapporto che avesse con il proprio genitore. Un rapporto, forse, oppressivo o per il semplice fatto che in realtà il padre a casa non ci fosse mai. Mancava tutta la settimana e quando tornava per il fine settimana era solamente per impartire ordini.
Uno di questi, come indicato in precedenza, era quello di voler indurre i figli di portare avanti i ristoranti. Più di una volta John venne quasi costretto a firmare alcuni documenti che lo avrebbero vincolato all’attività.
Le vere passioni di Belushi erano il football e la recitazione. Non a caso in quel discorso fatto al fratello venivano indicati entrambi. Ma l’inizio della sua storia personale con quella sarebbe stata la sua fonte di guadagno avvenne per caso.
John Belushi non aveva mai mostrato una grandissima voglia di studiare. Si diceva che fosse addirittura timido, ma quando era ironico e per qualche motivo gli mettevano davanti un microfono ecco che si trasformava in quello che il mondo avrebbe poi conosciuto. Fu proprio un professore del corso di arte drammatica a notare qualcosa in lui. E fu sempre lo stesso insegnante che lo ha finanziarsi per recarsi a Second City per un provino che gli avrebbe aperto le porte del palcoscenico.
Entrò a far parte di un gruppo di comici che per tutta l’estate sarebbero stati impegnati in una serie di spettacoli teatrali. Molto probabilmente si ipotizza che il suo ‘rapporto’ con la droga ebbe iniziò proprio in quel periodo. Il suo talento, il suo modo di recitare, il suo modo di porsi, le sue imitazioni non lasciavano indifferenti. Chiunque aveva avuto la possibilità di vederlo all’opera di persona rimaneva folgorato.
Un dono che lo portò lontano e che nel 1971 qualcuno, come spesso capita nelle favole si accorse di lui. Ma la vita di John Belushi non fu proprio una favola. Fu lui stesso ha trasformarla in un vero e proprio incubo. Prima che con ogni tipo di droga si togliesse la vita, Belushi venne adocchiato da un produttore televisivo per fargli fare un ennesimo provino che gli avrebbe cambiato la vita in modo radicale. Una svolta epocale nel suo percorso esistenziale.
Proprio a Second City, l’agente hollywoodiano Bernard Sahlins era alla ricerca di gente nuova per la sua serie di spettacoli. Quando si ritrovò davanti Belushi rimase, anche lui, folgorato. Lo convocò per un provino e lui si presentò con un paio di amici. Belushi venne preso senza alcuna ombra di dubbio gli altri vennero si accettati, ma solamente come riserve dei comici titolari della compagnia.
Persino in quell’occasione le sue capacità di stare sul palco furono talmente evidenti da oscurare tutti gli altri. Non si riuscì mai a scoprire quanta volontarietà c’era nel mettersi troppo in mostra da parte sua. Le su capacità attoriali e d’improvvisazione lo portavano ad essere considerato, all’interno della stessa compagnia, come un vero e proprio battitore libero. Troppo avanti per stare su quel tipo di palcoscenico. Troppo avanti per rimanere indietro rispetto agli altri.
L’anno successivo un’altra svolta nella sua vita. Un altro passaggio che lo inizierà a consacrare non solo come talento emergente, ma molto di più. A quei tempi esisteva una rivista umoristica chiamata: National Lampoon. Tony Hendra, redattore di quella rivista, prese un volo per Chicago dopo aver ascoltato quella che un tempo veniva definita audiocassetta.
In quel nastro udì di qualcuno che prendeva in giro Joe Cocker, quel qualcuno era John Belushi. In quel preciso momento si stava organizzando una serie di spettacoli televisivi che intrattenesse il pubblico a casa il sabato notte, ovviamente stiamo facendo riferimento al ‘Saturday Night Live’.