Nel contesto delle Avanguardie storiche si presentano i due movimenti dell’Astrattismo e del Cubismo. Ci interroghiamo sul loro rapporto, cercando di spiegarne affinità e distanze.
Potremmo suggerire, come dato di partenza per avviare una disamina sul rapporto tra Astrattismo e Cubismo, di considerare che entrambi questi movimenti muovono da una indagine sulla realtà empirica, sul dato materiale delle cose osservate nella loro condizione oggettuale.
Già, si potrebbe obiettare, ma la disamina della realtà empirica non è stato, in fondo, il tema prevalente di tutta l’arte figurativa dai tempi delle caverne in poi?
E la risposta a tale domanda sarebbe certamente asseverativa, ma il nostro intendimento è altro; e consiste nel tentare di osservare con quali modalità avviene che Astrattismo e Cubismo procedono ad osservare la realtà, potendo noi quindi scoprire, così, che, di fatto, con questi due movimenti di avanguardia dei primi del ‘900, cambia tutto e cambia radicalmente rispetto ad una prospettiva tradizionale che aveva retto per secoli.
Cambia, innanzitutto, la disponibilità alla raffigurazione delle cose, di cui non appare più, ormai, importante riprodurre l’aspetto ‘veridico’ delle forme, risultando importante, piuttosto, qualificarne la consistenza spazio-temporale, cosicché, l’immagine deprivata della necessità della riconoscibilità possa indirizzarsi, piuttosto, a suggerire delle cose stesse ciò che, non essendo più la loro ‘raffigurazione’, si presenta, invece, come la loro ‘rappresentazione’.
Andando a stabilire una differenziazione tra ‘raffigurazione’ e ‘rappresentazione’ dell’oggetto, si introduce un elemento di novità nel mondo della produzione delle immagini, giacché non è più l’affioramento della consistenza empirica dell’oggetto ciò che definisce la dirimente distintiva dell’opera, ma la capacità, piuttosto, del suo dato iconico (anche trasfigurato o, addirittura, eluso e denegato) di proporsi con autonomia significazionale, senza dover ricondursi il prodotto artistico ad una referenza riconosciuta e riconoscibile.
Tutto ciò non può essere vissuto e praticato, evidentemente, secondo scelte semplificate e prive di una propria disciplina interna e si affacciano all’artista, a ben vedere, due opportunità di indirizzo, che sono, rispettivamente, l’una di ordine ‘scompositivo’ e l’altra di ordine ‘analitico’.
In entrambi i casi, evidentemente, ad essere sottoposto ad un provvedimento di carattere scompositivo o, diversamente, di carattere analitico, non è altro che l’oggetto, il dato emergente dall’esperienza e dalla storia, su cui si eserciterà un intervento di pura natura scompositiva all’interno della prassi creativa cubista, o un intervento di natura analitica all’interno della pratica astrattista.
Ci si può chiedere se esistano dei precedenti storici per tali profilature di interventi e la risposta è certamente positiva, vantando la pratica scompositiva dell’oggetto propria del Cubismo, dei precedenti illustri in età post-rinascimentale, ad esempio, con l’attività di Luca Cambiaso, di Erhard Schoen o di Giovanbattista Bracelli, e quella, invece, analitica dell’Astrattismo degli ascendenti storici già nella produzione geometrica praticata in età neolitica e, poi, di lì, senza mai quasi soluzione di continuità, fino ai tempi più recenti; una produzione, spesso, occorre aggiungere, sviluppata con intento propriamente decorativo e secondo scansioni modulari e ripetitive del motivo qualificante e saliente.
La differenza tra orientamento scompositivo (Cubismo) ed orientamento analitico (Astrattismo) è evidentemente radicale: mentre, infatti, il Cubismo, limitandosi a scomporre la facies dell’oggetto nei suoi componenti volumetrici fondamentali, non mette in crisi l’unità significazionale dell’oggetto (di cui si limita a rivelare l’articolazione delle sue parti ridotte a semplici solidi geometrici), l’Astrattismo, invece, provvede ad analizzare il dato oggettuale andando a rivelarne, piuttosto, la datità ‘razionale’ che lo presiede, l’idea, cioè, che dell’oggetto si produce nella nostra mente, allorché dell’oggetto si rivela alla nostra coscienza interpretativa delle cose la consistenza eidetica della forma, che sarà un modulo essenziale e primario che vale a definire l’immagine del concetto della cosa e non della cosa stessa, la cui consistenza di immagine, a parte che nella temperie propriamente realistico-naturalistica, appare ancora, comunque, sostanzialmente conservata – al di là delle sue frammentazioni ‘scompositive’ – tuttora ed ancora, all’interno, come abbiamo già appena potuto osservare, della pratica cubista.
Cubismo ed Astrattismo, insomma, come è possibile comprendere, fanno leva sul dato emergente della storia e ne interpretano le ragioni.
Che occorresse intervenire sulla oggettualità empirica, al di fuori di ogni debito di profilatura restitutiva del dato in termini di fedeltà di riproduzione empirica della sua facies, l’aveva già annunciato l’Impressionismo, con la sua prospettiva ben affermata da autori come Monet e Degas, di procedere ad una sorta di frammentazione della luce, osservandone, ad esempio, la sua capacità moltiplicatrice di effetti umorali, nell’arco evolutivo delle ore della giornata.
Si considerino, in particolare, le prove fornite da Monet nella sua raffigurazione della Cattedrale di Rouen presa in considerazione sempre dallo stesso angolo visivo, con sperimentazioni di studio che ancorano le proprie radici nel corso del secondo ’800.
Né minore interesse dovremo riservare alla pratica cosiddetta ‘divisionista’ ed anche a quella ‘puntillista’, che, con diversa calibratura prospettica e di intervento, andavano suggerendo la possibilità di fornire una visione differenziata dell’oggetto e della sua consistenza visuale secondo una logica di frammentazione del fascio luminoso nelle sue componenti di base.
Quello di carattere divisionista (ma anche quello puntillista) è un intervento di natura sostanzialmente ‘scompositiva’, evidentemente; ed è tale da garantire comunque, come avviene anche per il Cubismo, di non dover mettere in discussione la datità dell’oggetto in quanto tale: le sue ragioni e la sua finalità.
L’Astrattismo, invece, proprio per l’additamento che suggerisce di una prospettiva analitica, necessariamente non può darsi cura della datità empirica dell’oggetto, ma questa piega alle proprie condizioni di intervento, andando a costruire ciò che noi definiamo come immagine eidetica dell’oggetto, ovvero non una sua ‘raffigurazione’ più o meno deformata, ma una ‘rappresentazione’ in cui l’ordine delle cose non sia falsato da una prospettiva decisamente fuorviante, illusoria e falsificatrice del dato.
È possibile, tuttavia, assistere anche a qualche tentativo di ibridazione dei generi alla cui luce possono leggersi alcuni processi di meticciato creativo astratto-cubista, e, quindi, a delle pratiche di grandissimo spessore in cui la disposizione compositiva si integra in un linguaggio espressivo che si rivela tutt’altro che estraneo ai principi di base di queste linee di intervento e disponibile, piuttosto, ad accettarne la condivisione di una ratio (di volta in volta, cubista o astrattiva) capace di fornire gli strumenti utili per una riconduzione dell’impegno creativo entro i limiti di una ragionevole e convincente opportunità di risposta alla consistenza della storia ed alla istanza di razionalizzazione dei suoi percorsi.
Ci si può chiedere se Cubismo ed Astrattismo entrino in contatto, talvolta, e se non rischino di entrare addirittura in conflitto le rispettive posizioni di impegno produttivo.
Osserveremo allora che, ad esempio, il processo creativo cubista non manca di intersecare le prammatiche astrattive, così come appare abbastanza evidente – e ad altissimo livello – nell’opera di Frantisek Kupka, in cui non manca qualche presagio di ispessimento ‘materico’, poi più ampiamente sviluppato nella pratica creativa dei cosiddetti ‘Jeunes Peintres de la Tradition française’, portatori di una proposta ibridativa materico-astrattiva sotterraneamente trascorsa da sottili impermanenze di un Cubismo in tralice e spesso vissuto come componente completamente ‘sotto traccia’. In aggiunta, ci piace ricordare, in questo contesto, il contributo tutt’altro che trascurabile di un artista come Amadeo De Souza Cardoso.
Non ci sfugge, peraltro, che non sarà difficile scorgere all’interno della evoluzione creativa – sia di astrattisti che di cubisti – una sensibilità partecipativa che lascia emergere una sorta di reciproca ibridazione linguistica ove non è difficile distinguere come si possano compenetrare varie istanze d’indirizzo, soprattutto se interviene anche qualche opportunità facilitatrice del dialogo, come quella già di profilatura sottilmente ‘concettuale’, di cui già si dà prova, ad esempio, nel ‘Nu descendant un escalier’ di Duchamp, del 1912.
In Duchamp le matrici ancestrali ‘divisioniste’ – che hanno agito anche in autori come Balla e Boccioni – sono state assorbite e superate nel quadro di una sensibilità cubista ed utilmente, poi, rilanciate secondo un ordine proiettivo di carattere ‘concettuale’ che suggerisce come possa avvenire che, nel quadro di una sintesi ‘analitica’, possa compiersi il ‘miracolo’ della sintesi cubo-astrattista.
L’azione esercitata dalla sensibilità ‘concettuale’ duchampiana apre, però, evidentemente. nuovi orizzonti che vanno oltre l’intendimento di discussione che abbiamo fin qui perseguito.