“In quest’epoca di modernità le varie acquisizioni, di fusioni, fanno bene ai prodotti. Di certo, però, non fanno bene alle storie”. A parlare è lo sceneggiatore del docufilm Francesco Pinto. Queste sono solamente alcune parole esternate durante la conferenza stampa di presentazione di ‘Una vetrina che guarda sul mare’. Storia, appunto, della famiglia Marinella e della sua straordinaria epopea nel mondo del commercio della moda a partire da quel lontano 26 giugno del 1914.

Il termine storia, ripetuto quasi alla noia in questi due articoli, non deve apparire pleonastico. È una parola che deve essere in alcuni casi non alimentata, ma conservata. Oltretutto, rappresenta una perfetta liaison con il quale abbiamo chiuso l’articolo precedente. I Marinella resistono a vari tipi di offerte, alcune anche molto allettanti, che farebbero vacillare chiunque.

Ma secondo il regista, Massimiliano Gallo, questa storia, appunto, doveva essere fatta conoscere e proporla non seguendo il classico canone dello sviluppo dell’azienda; il punto da cui partire sono le persone che ci lavorano al loro interno. Ovvero: “I corpi”, riprendendo anche le parole di Pinto, “che stanno dentro alle storie” e che danno vita a quei marchi che, in alcune occasioni, si staccano dalla loro vera essenza. Non nel caso in questione.

La conferenza stampa che si è svolta ieri, bisogna ammetterlo, non rappresenta il solito disco rotto dell’ovvietà, della retorica standardizzata. C’è altro, emerge altro. Ovvero quello di porre l’accento sul legame che sussiste tra il negozio di Marinella ed il mare attuando un parallelismo con le origini, mitizzate, della stessa città di Napoli: da una sirena, che nel docufilm ha il volto della moglie del regista.

Massimiliano Gallo, invece, pone l’accento su un’altra interessante prospettiva: “L’idea che questa azienda esprime questi valori in questo mondo globalizzato è qualcosa invece di straordinario, cioè una volta Maurizio disse: è vero non vendiamo cravatte ma non vendiamo solamente le cravatte. È in realtà un’esperienza che comprende un insieme di cose e noi abbiamo cercato di spiegarlo nel film. Cercando di far capire da dove nasce questo miracolo”.

Un miracolo figlio di un lavoro straordinario in un paese, quello nostro, in cui non esiste la cultura del sogno all’americana; quindi, della realizzazione personale in ciò che uno vuole o sente di fare, semmai e purtroppo, sussiste la cultura dell’invidia perché, magari, si pensa che Marinella viene dal nulla, cosa non vera. Un lavoro, sempre secondo il regista, fatto di grande umanità, sacrifici e valori.

Nel corso di questo incontro si pone l’accento su una questione veramente mai affrontata nel giusto modo dalle istituzioni, per non dire dal mondo del lavoro in generale: ovvero quello dell’artigianato. Un’attività lavorativa particolare, tradizionale che non è che sta scomparendo, ma è già quasi nel dimenticatoio per molti giovani che, a quanto pare, sarebbero disposti ad andare a rispondere al telefono nei vari call center.

Forse la colpa è anche da addossare alle istituzioni che non si sono mai impegnate veramente nel salvaguardare questo rilevante settore lavorativo e produttivo. Lo stesso Maurizio Marinella ha anche affermato di essersi recato presso il Ministero delle attività produttive con lo scopo di voler far nascere una Università degli antichi mestieri.

A quanto pare sarebbe stato individuato anche uno spazio all’interno della facoltà di Architettura, in cui verrebbero raccolte le vari botteghe artigiane per non far scivolare nel dimenticatoio queste attività tradizionali.

Una volontà forte che è emersa in questa conferenza stampa, una volontà dalla quale potrebbe ripartire l’artigianato nella città di Napoli, per poi replicare in tutta Italia. Un progetto che lo stesso Maurizio Marinella sta portando avanti da diversi anni dribblando, se così si può dire, la concorrenza di altre regioni.

Oltre a toccare questi temi importanti, rilevanti per la nostra sopravvivenza, durante la conferenza stampa non si dimentica del film. Non si dimenticare di elogiare il lavoro delle due attrici: le già citate Shalana Santana e Nunzia Schiano. La prima ha interpretato il ruolo della Sirena, la quale rappresenta la figura mitologica dalla quale sarebbe stata fondata la città di Napoli.

Nunzia Schiano, invece, interpreta una lavoratrice dell’azienda. Un’interpretazione, la sua, che mette in risalto l’orgoglio nello svolgere quel tipo di lavoro di sartoria e, oltretutto, di far parte di questa meravigliosa storia che continuerà ancora per moltissimo tempo.

FOTO DI VINCENZO PEPE

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