Terra di grandi potenzialità culturali, la Colombia ha saputo dare un contributo molto notevole alla pratica astrattista, che si rivela terreno di sperimentazioni significative sia sul piano della sensibilità materica che di quella ‘concettuale’
L’artista che viene considerato come la personalità che ha provveduto ad ‘introdurre’ il verbo astrattista in Colombia è, per unanime riconoscimento storiografico e critico, Hugo Martinez Gonzalez, artista di Medellin, nato nel 1923.
Questo artista si forma nell’ambito della prospettiva figurativa che potremmo definire di ordine tradizionalista, sostanzialmente imperniata intorno alla raffigurazione della realtà oggettuale.
In tale prospettiva egli ebbe come maestro José Domingo Rodriguez che, pur essendo legato ad una concezione della modellazione scultorea di forte riferimento realistico, lasciava tuttavia trasparire nella sua concezione delle forme un intendimento proiettivo che scavalcava l’ottocentismo di maniera. In tal modo, egli, superando, altresì, le sensibilità d’ordine più sfibratamente simbolistico, si proiettava verso una concezione plastica volumetricamente importante e capace di ‘riempire’ lo spazio.
Grazie agli insegnamenti del maestro, quindi, Hugo Martinez Gonzalez provvede a cercare una misura compositiva sua propria, divenendo presto capace di lasciarsi alle spalle la formazione figurativa, delle cui forme generosamente spaziali egli, però, nella pratica creativa tridimensionale, non manca di saper conservare, anche nella sua nuova concezione astrattiva, la carica contenutistica alla quale gli ammaestramenti ricevuti lo avevano saputo educare.
Nasce anch’egli nel 1923, ma a Pamplona, Eduardo Ramirez Villamizar, che, dapprincipio, orienta la sua pratica creativa nell’ordine della misura ‘espressionistica’, per poi convogliare la sua ricerca, già intorno agli anni ’50, in una svolta di ordine astrattista, che diventerà la sua cifra identitaria e significativa.
Grazie alla attività di questi due artisti, la Colombia, in pratica, all’esordio del secondo cinquantennio del ‘900, si trova a poter maturare un’esperienza astrattista di assoluto rilievo, come è in grado di testimoniare, peraltro, la mostra di ‘Esculturas y pinturas de Colombia’, che si inaugura a New York nel 1949, mostra che si svolge nel contesto della ‘ricerca sociale’ ed al cui interno è presente anche l’opera di Eduard Negret, terza personalità di assoluto rilievo nelle vicende artistiche colombiane di questo torno di tempo, che ha certamente esercitato una sua azione di influenza su Ramirez Villamizar.
Un proprio rilievo lo assume, peraltro, l’esemplarismo di Joaquin Torres Garcia, di cui vanno sempre sottolineati i meriti straordinari, andando tutto ciò a dimostrare come si possa affermare, anche nel contesto della pratica astrattiva colombiana, quella referenza accomunatrice, di spiccata rilevanza ‘contenutistica’, che permea tutta la delibazione sudamericana di stampo astrattista, indipendentemente dalle appartenenze ‘nazionali’ dei singoli artisti, seguendo una processualità di intervento che ‘libera’ all’interno delle declinazioni del ‘geometrismo’ latino-americano quelle istanze di comunità che ancorano le proprie radici nella cultura nativa, e che hanno saputo produrre efficacia di sintesi con il pensiero europeo che, nella specie astrattista, aveva saputo attingere, nell’arco di tempo tra le due guerre mondiali, l’apice della postulazione ‘concretista’.
Il Concretismo, di fatto, d’altronde, già trasmigrando in Sudamerica, nel corso degli anni ’30, proprio con Torres Garcia, guadagna una sua ancor più intensa vibratilità contenutistica. Si riempie esso, infatti, di vitalità umanistica e va a pervadere le più giovani coscienze allora in via di formazione.
Abbiamo già introdotto precedentemente la figura di Edgar Negret, sulla quale è opportuno ritornare non soltanto perché certamente essa è quella di uno dei più importanti protagonisti dell’Astrattismo colombiano, ma anche perché la sua personalità vale a dimostrare quanto abbia potuto giovare alla pratica astrattiva colombiana muovere – come avviene nel caso dello stesso Negret – da una esperienza ‘figurativa’, per poi rinunciarvi, in premio di un’immersione progressiva nelle ragioni eidetiche delle cose. Egli fu agevolato, peraltro, in questa sua impresa di ‘riconversione’, dalla conoscenza dell’opera di un importante artista spagnolo, quale è la personalità di Jorge Oteiza (1908-2003) di nascita basca, che troviamo impegnato, già dagli anni ’30, proprio in Sudamerica dove conduce vari soggiorni (in Bolivia, Colombia, Argentina e Cile).
Sono vicende, queste di cui provvediamo a rendere una descrizione, che, pur proposte in termini evidentemente sintetici, tendono a dimostrare quanto importante sia stata la condizione di trasnazionalità culturale che l’Astrattismo sudamericano riesce a maturare. Né di minore rilievo deve essere considerato il processo di refluenza all’interno di tale pratica astrattiva della portata ancestrale delle culture locali, che andranno valutate, in una visione complessiva e d’insieme, al di là delle partimentazioni specifiche e distintive.
Lo stesso Oteiza, d’altronde, forse proprio perché proveniente dall’Europa, era animato da un intendimento profondamente analitico del contesto ambientale sudamericano e non poteva ritenersi certamente condizionato da alcun tipo di coinvolgimento emotivo.
Come ben si comprende ciò consente all’artista basco di cogliere con grande lucidità il valore di questa sorta di unità trascorrente e sotterranea, nutrita di antiche sapienze locali, che pervade lo spirito sudamericano; ed egli ne rende una importante testimonianza non soltanto nella sua produzione creativa, ma anche in un approfondimento di studio che matura con la pubblicazione, nel 1952, di un volume dal titolo di Interpretación estética de la estatuaria megalítica americana.
Provvediamo, inoltre, ad introdurre anche la personalità di Omar Rayo, nato nel 1928, e, sostanzialmente, quindi, coetaneo degli artisti su cui abbiamo già lasciato planare la nostra attenzione.
La sua figura è di notevolissimo interesse ed è quella di un artista che rivela una decisa propensione alle dinamiche astrattive interpretate secondo una concezione di asciutta osservanza del paradigma della simmetria, fino a lasciar affermare il convincimento che la composizione delle sue opere, di possibile espansione modulare, contenga una sorta di allusione ad una strutturazione tissulare che costituisce l’ordito segnico dello sviluppo della sua concezione creativa.
Con tali modalità, che non sforano mai, tuttavia, il muro del cinetismo o dell’illusionismo ottico, l’artista sembra ancor più accostarsi alle concezioni proprie del geometrismo andino di più antica data, senza che questo appaia mai specificamente evocato, pur potendo avere il fruitore della sua opera la percezione di una sorta di inconfessata latenza di tali antefatti ancestrali.
D’altronde che l’illusionismo ottico non potesse trovare buona accoglienza all’interno di queste dinamiche astrattive sudamericane provvedeva a ben dimostrarlo l’opera dello stesso Ramirez Villamizar, che pure era entrato in contatto, durante il suo soggiorno in Europa tra il ’50 e il ’52, con le ricerche astrattiste di vocazione ‘optical’ che ispiravano, tra l’altro, la misura creativa dell’intervento sperimentativo di Victor Vasarely.
Discostandoci un po’ dalla pratica meramente ‘geometrica’ della concezione astrattista, provvediamo ad osservare qualche altra figura di artista, anche se, a buon diritto, nel caso specifico che prendiamo in esame, siamo consapevoli che tale personalità non dovrebbe appartenere alla temperie propriamente astrattista e, piuttosto, a quella concettuale.
Diciamo dell’opera di una artista colombiana, Doris Salcedo, molto più giovane di tutti gli altri artisti su cui ci siamo fin qui soffermati, nascendo ella a Bogotà nel 1958.
Ella costruisce, infatti, le sue opere attraverso un recupero di oggetti, principalmente mobilia, che assembla in composizioni variamente strutturate.
A rendere praticabile – a nostro giudizio – la possibilità di accoglimento del suo lavoro all’interno di una disamina delle consistenze allargate delle dinamiche astrattiste non è, evidentemente, la natura degli oggetti da lei creati (sembrerebbero, a rigore, doversi, piuttosto valutare le sue opere di appartenenza alla temperie nouveau-réaliste) ma la modalità di intervento con la quale ella agisce nel suo operare, che la conduce a produrre assemblaggi strutturati secondo un orientamento predittivo di ordine prettamente geometrico, lasciando, quindi emergere un impegno astrattivo di straordinario interesse eidetico e di consistente referenza ‘concettuale’.
Altre figure, diciamo ancora, qui, in chiusura, arricchiscono il panorama artistico più recente: pensiamo, tra le altre, alle personalità di Danilo Rojas o di Fernando Jaramillo.