INTRODUZIONE
Il mese di dicembre, per la settima arte in generale, deve avere qualcosa di speciale. Sarà che con il dodicesimo mese dell’anno giunge il Natale e il destino o qualcuno, in cielo, ci abbia voluto fare un regalo. Si pensi al giorno 28 dicembre del 1895, la nascita della settima arte, come ben sapete. Ma, al momento in questa rubrica, non è nelle nostre intenzioni partire da così lontano per parlarvi di una delle storie più incredibili del grande schermo, come vi avevamo ben spiegato la scorsa settimana.
Due carriere s’incontrarono per fondersi in un unico ed irripetibile percorso professionale che solamente l’evento naturale, a cui tutti siamo soggetti, poteva mettere fine. Dicevamo, dunque, del mese di dicembre. Mese magico in tutti i sensi, mese che porta i regali.
Semmai stessimo scrivendo un racconto potremmo tranquillamente usare questa espressione: tutto ebbe inizio il 1° dicembre di cento anni fa. Si, proprio così: il 1° dicembre del 1921. In uno dei cinema americani, quel giorno, venne proiettato un film. Più giusto dire: un cortometraggio di una ventina di minuti. A quei tempi quella durata era il massimo, non come oggi che si possono produrre ore e ore di girato e montarlo come si vuole.
Il piccolo film che venne proiettato narrava la storia di un omino secco quasi come uno stuzzicadenti e che, per sua sfortuna, venne cacciato di casa perché non riusciva a pagare più l’affitto. Iniziando a girovagare trova un piccolo cane, semmai sarebbe giusto affermare il contrario. È l’animale che trova l’uomo e non viceversa. Da quell’incontro l’uomo si ritrova in mezzo ai guai in più di un’occasione. Compreso il mettere i bastoni fra le ruote, senza volerlo, ad un bandito e qui ci fermiamo.
Proprio in questo punto accade l’incontro, accade che la storia stessa del cinema inizierà a prendere un’altra direzione. L’attore protagonista, colui che recita nella parte di chi ha perso la casa e trova il cane, e il cosiddetto figurante che interpreta il ruolo del bandito diventeranno delle leggende della comicità. Geni assoluti e irripetibili.
Il primo ve lo abbiamo già descritto: secco, mingherlino e con il viso disperato ma simpatico. L’altro, invece, robusto, corpulento e con un volto che, senza i baffi, parrebbe un bambinone. I loro nomi, in quel momento, non dicevano nulla a chi vedeva il film. Sapevano, forse anche distrattamente, che l’attore principale si chiamava Stan Laurel e l’altro aveva il nome confinato in piccolo come gli altri: Oliver Hardy.
Nemmeno il regista di quel piccolo film, dal semplice titolo ‘Il cane fortunato’, Jess Robbins, era consapevole di essere testimone di qualcosa che sarebbe rimasto per sempre e di cui ancora oggi se ne parla. A distanza di cento anni esatti. Ormai, avete capito che quei due attori sono i leggendari Stanlio & Ollio e questa che vi stiamo per raccontare è la loro storia, professionale e personale. Una storia raccontata anche nell’omonimo biopic del 2018, presentato in anteprima alla Festa del cinema di Roma. Di questa opera cinematografica, però, ne parleremo più avanti.
PRIMA CHE INIZIASSE LA LORO LEGGENDA
Ma da quel 1921 bisogna fare un passo indietro nel tempo, quando le loro strade erano ben lontane dal congiungersi per l’eternità, professionalmente parlando. Stan Laurel nacque nel lontano 16 giugno del 1890 nella cittadina di Ulverston, nella contea di Cumbria, in Inghilterra. Oliver Hardy, invece, nacque due anni più tardi ad Harlem. No, non nel bel più famoso quartiere di New York, ma in una contea dello Stato della Georgia, il 18 gennaio del 1892.
Entrambi non ebbero lo stesso approccio per quel mondo tanto fatato e magico del cinema. Stan era nato in una famiglia dove il mondo dello spettacolo rappresentava il pane quotidiano. Suo padre, Arthur Joseph Jefferson, era un impresario, autore, attore e regista teatrale. Sua madre, invece, Madge Metcalfe un’apprezzata attrice teatrale di genere drammatico.
I genitori di Oliver Hardy, invece, si guadagnavano da vivere in tutt’altro settore. Il padre, Oliver sr, era un avvocato che aveva svolto la professione di capocantiere. Prima di questo, però, prese parte alla Guerra Civile americana tra il 1861 ed il 1865. Sua madre, Mary Emily Norvell Jackson, era di famiglia nobile.
Tutti e due si sono visti attribuire due nomi: Arthur Stan Jefferson e Oliver Norvell Hardy; altro elemento in comune che avevano era quello della scarsa propensione all’impegno scolastico. Stan amava ridere e far ridere e, dal canto suo, si potrebbe anche dire che la sua strada era già stata tracciata dal destino nel momento in cui nacque in una famiglia di attori e registi, iniziando proprio dal teatro.
Invece Oliver aveva grosse potenzialità addirittura come cantante, tant’è vero che sua madre lo iscrisse persino in un conservatorio. Nonostante ciò, questa scelta non migliorò la situazione del giovane e futuro leggendario attore che avremmo tutti quanti ammirato nel corso dei decenni; ma amava molto andare a teatro.
Stan esordì due volte. Il secondo fu quello ufficiale, a all’età di sedici anni, in una compagnia teatrale, rispetto alla prima volta, a soli dieci anni nel 1900, durante una parata militare. Nel 1906, appunto, Stan fece il suo esordio sul palcoscenico, dopo aver incontrato l’impresario Fred Karno, il quale gestiva gli interessi di una compagnia teatrale.
In quello stesso gruppo di attori, Stan, fece anche un altro incontro: quello con il leggendario Charlie Chaplin, scoperto proprio dallo stesso Karno. Si narra che Stan e Chaplin furono molto amici, condivisero molto insieme e che Stan lo sostituì in una sola occasione: quando il futuro Charlot rifiutò un ruolo teatrale. Fu in quel momento che il pubblico incominciò, veramente, a notare le doti recitative di Stan.
E Oliver? Oliver lo avevamo lasciato al fallimento del conservatorio, integrato anche dalla scuola militare. Fu quando si trasferì in un’altra città che la sua vita prese una piega diversa, ma finalmente positiva: lavorò in un cinema. A Milledgeville, altra cittadina dello Stato della Georgia, in quella struttura cinematografica, Oliver, non fu solo il proiezionista ma anche il manager. Infatuato da quel mondo, si autoconvinse che sarebbe stato capace di diventare un attore; in modo particolare nelle comiche, la sua vera passione.