Sono trascorsi trenta lunghi anni e sono volati. Ci sembra solamente ieri quando l’universo musicale e il mondo intero apprese della morte di Freddie Mercury. Era la notte del 24 e 25 novembre, quando il leader dei Queen si arrese per le complicazioni di una polmonite sopraggiunta a causa dell’aids. La malattia del secolo scorso. Aveva 46 anni. Il giorno prima della sua scomparsa annunciò al mondo il suo dramma, svelando il motivo per cui le sue uscite in pubblico erano nettamente diminuite negli ultimi cinque, senza nemmeno fare concerti.
Se n’era andato quasi a modo suo. Con quello stile trasgressivo e senza freni inibitori. Chissà se qualche volta si fosse fermato, avrebbe capito che oltre un certo limite non si poteva andare, quanti altri capolavori musicali ci avrebbe regalato? E soprattutto: sarebbe stato altrettanto geniale con qualche limite auto imposto?
Sappiamo tutti che genio e ‘regolatezza’ molto spesso non sono mai andati d’accordo e nemmeno nel suo caso era facile farli combaciare. Se n’era andato lasciando un enorme vuoto nel mondo musicale che, ancora oggi, non è mai stato colmato e che sarà difficile colmare in futuro. È vero: quelle che stiamo riportando sono frasi fatte, frasi occasionali che si ripetono in questi tristi anniversari e, mai come in quest’epoca di mero piattume musicale, sembra assomigliare all’altrettanta piatta retorica dalla quale tanto vogliamo fuggire, per non dire esiliarci volontariamente.
Freddie Mercury non era solo un cantante: era uno showman, aveva una grinta ed una personalità che mostrava sul palco non indifferente. Ed una voce, si proprio quella sua voce, che alle volte riusciva a toccare le tonalità di tenore, come fece in quell’occasione del Live Aid del 1985.
In quel momento il pubblico ebbe la fortuna di assistere ad uno degli ultimi Freddie Mercury visti dal vivo, l’anno successivo con i Queen avrebbe firmato una delle più belle colonne sonore del cinema: Highlander – L’ultimo Immortale. Oltre a ricordare la celeberrima ‘Prince of Universe’ e la versione rock di ‘New York New York’, il singolo che lascia molto l’amaro in bocca ‘Who want to live forever?’. Canzoni immortali, appunto, canzoni indimenticabili, canzoni che hanno fatto epoca.
Senza dimenticare i primi album, le prime hits di successo, come ‘Bohemian Rapsody’ il cui titolo, anni più tardi, venne anche usato per il biopic in suo onore, interpretato da un incredibile Rami Malek. Dopo il 1975 inanellò un successo dietro l’altro per poi terminare con ‘Innuendo’ l’ultimo suo vero testamento. L’ultima sua raccolta d’inediti che rappresentava l’addio ai suoi fans.
Della sua malattia non fece trapelare nulla, tranne prima di lasciare questo mondo. Uno come lui non nasce tanto facilmente. Rappresenta non tanto una generazione di semplici artisti o cantanti, semmai rappresenta una generazione di geni che hanno dato tanto alla musica non limitandosi a suonarla o ad intonarla, semmai ad essere la musica, ad essere allo stesso tempo la storia stessa della musica. Lui come Micheal Jackson e tanti, tantissimi altri che hanno superato la barriera del tempo in quegli anni particolari.
In questo lungo 2021, lo ammettiamo, abbiamo avuto tante occasioni per celebrarlo. Tanti modi per ricordarlo e ricordare la sua musica. A partire, proprio, dal febbraio di questo anno quando uscì, giusto trenta anni fa, il suo ultimo album. Anche il 5 settembre di questo anno era un’altra occasione ghiotta per parlare di lui: avrebbe raggiunto quota settantacinque anni e poi quest’ultima, la più mesta e la più dolorosa; ma forse quella più giusta.
In questo piccolo speciale non ci siamo solamente limitati a scrivere quattro parole, intrise dalla retorica. Abbiamo cercato di dire di fare qualcosa di più. Perché un mito come Freddie Mercury se lo merita. Nel prossimo articolo racconteremo la sua vita attraverso i suoi drammi e i suoi successi e nel terzo vi parleremo di ‘Innuendo’, il quale dà anche il via alla nuova rubrica ‘Album Leggendari’.