Sull’attentato di Dallas, in questi quasi 60 lunghi anni, si sono susseguite diverse teorie. Da quelle più logiche a quelle più strampalate, la morte di John Kennedy ha sempre attirato i cospirazionisti di tutto il mondo e di tutte le età, quasi. Vuoi perché da un lato non si può credere che sia stato uno solo a sparare, vuoi perché alcuni dettagli nella versione ufficiale, diciamo la verità, non hanno mai convinto del tutto.
Una ricostruzione che non convinse nemmeno l’allora Procuratore Distrettuale di New Orleans Jim Garrison il quale, lo scorso 20 novembre avrebbe compiuto 100 anni. Lo stesso Procuratore riuscì non solo a seguire una pista, ma anche a trascinare in aula i presunti i presunti cospiratori.
Sulla sua indagine, sulla pista seguita, su quel processo si è ispirato il coraggiosissimo film scritto e diretto da Oliver Stone: JFK – Un caso ancora aperto; ispirato a sua volta dal libro scritto dallo stesso Procuratore, anni più tardi, dal titolo: JFK – Sulle tracce degli assassini.
Uscito il 20 dicembre di trenta anni fa, il film è costituito, anche, dalla visione dello stesso regista, che sembra appoggiare in toto, con qualche licenza poetica, le conclusioni di Garrison: secondo cui ad uccidere John Kennedy fu una congiura ordita dalla Cia, pezzi deviati dei militari e alcuni componenti del Governo.
Un film composto da un cast spettacolare e, ancora oggi, ritenuto quasi irripetibile. Kevin Costner, all’epoca identificato come il mito degli anni ’90, Joe Pesci, Walter Matthau, Jack Lemmon, Donald Sutherland, John Candy, Micheal Rooker, Kevin Bacon, Gary Oldman e tanti altri ancora.
Sviluppato essenzialmente su scene veloci, con lo stile dei thriller processuali ‘JFK’ presenta un’unica direzione riguardo i fatti. La trama racconta le indagini dell’allora Procuratore Distrettuale di New Orleans Jim Garrison, interpretato proprio da Costner, che si occupò del caso, trascinando in aula coloro che avrebbero avuto a che fare con la morte del Presidente. Precisamente è ispirato, soprattutto, dal libro che lo stesso Procuratore, morto il 21 ottobre del 1992, scrisse e pubblicò anni più tardi all’indagine svolta.
Un’indagine, svolta tra il 1966 ed il 1973, che tendeva a smascherare un torbido intreccio tra uffici governativi quasi confinanti sulla stessa strada, in cui circolavano personaggi abbastanza ambigui. Quelle persone erano: Lee Harvey Oswald, interpretato da Gary Oldman e il proprietario del Trade Mart, Clay Shaw, interpretato da Tommy Lee Jones e un investigatore privato Guy Bannister.
Per Oliver Stone furono, in verità, due le congiure ordite per assassinare John Kennedy: una piccola, composta da una decina di persona, contro le quali si sarebbero scontrate contro Jim Garrison; l’altra più ampia, ovvero quella posta in essere dai vertici degli Stati Uniti d’America per coprire il tutto.
Il punto però dove tutti, ma proprio tutti, si sono impantanati, bloccati sono stati il numero degli spari che nel film sarebbero stati ricostruiti mostrando un Jim Garrison un po’ troppo enfatizzato. Siamo d’accordo, il film doveva essere patriottico e su questo non ci piove e nemmeno abbiamo qualcosa su cui obiettare.
Ma il vero Jim Garrison, in quella fase del processo, non fece trasparire alcuna emozione e nemmeno si ritrovò a piangere durante l’arringa finale. Soprattutto quel discorso finale non fu mai portato a termine durante il processo, il resto erano parti di altri discorsi che lo stesso Jim Garrison aveva pronunciato successivamente.
Ma torniamo sugli spari. La versione ufficiale ne ha sempre indicati tre, altri dissero quattro, altri ancora cinque, per non addirittura sei. Le conclusioni della Commissione Warren si concentrarono maggiormente su una pallottola in particolare: quella che sarebbe entrata e uscita dalla gola del Presidente per andarsi a conficcare nel costato del Governatore Connelly, la cosiddetta pallottola magica.
Talmente magica da andare in barba alla legge della fisica. Il conto dei colpi è stato effettuato per più di una volta in questi quasi sessanta anni e fu solo un caso che un anonimo sarto, conosciuto con il nome di Abrahm Zapruder, riprese il tutto inaugurando la sua prima videocamera.
Come fu un caso che, in quegli stessi tragici istanti, un poliziotto a bordo della sua moto aveva lasciato la radio accesa facendo registrare la sequenza esatta degli spari che, a quanto sembra, furono effettivamente cinque. Nonostante ciò, si continua ancora a brancolare nel buio.
Il film di Oliver Stone conquistò due oscar su diverse nominations e diversi Golden Globe, un successo di pubblico che non fu immediato ma aumentò pian piano. Come accennato in precedenza abbiamo detto che al regista la lavorazione di questo grosso progetto cinematografico gli creò non pochi problemi. Per cercare di comprendere cosa in verità successe dobbiamo riportare una dichiarazione che rilasciò all’allora Telepiù per la presentazione del film:
“Con questo film non intendo dire: guardate qui, le cose sono andate esattamente così come descritte. Mi sono, invece, soltanto limitato ad ipotizzare una ricostruzione dei fatti come avrebbe fatto un buon detective, tutto qui”.
Ecco, forse fu proprio quello il problema. Diverse testate nazionali lo diedero addosso fin dall’inizio; addirittura, ancor prima che le riprese iniziassero ufficialmente. Lo considerarono ‘sensazionalistico ai fini della sceneggiatura’ e soprattutto, forse il commento più pesante: ‘un insulto all’intelligenza’.
Partendo dal presupposto che l’idea di Oliver Stone è comunque da premiare, quindi lodevole per il lavoro svolto, c’è comunque da chiarire che è la trama è stata indirizzata verso un’unica direzione. Verso un’unica pista tralasciando le altre. È pur vero che tutto potrebbe ruotare intorno al Viet-Nam, è pur vero che tutto sarebbe anche riconducibile alla Baia dei porci, dimenticando la questione razziale.
Ma Oliver Stone ha fatto suo, seppur indirettamente, una sorta di prassi del sistema processuale americano: demolire il teste. Precisamente è modo per delegittimare l’avversario, facendo passare la vittima innocente in tutto è per tutto. Con questo non vogliamo dire che John Kennedy fosse un personaggio negativo, al contrario. Solo che anche il Presidente più amato della storia degli Stati Uniti, ovvero colui che alimentò il fuoco del mito americano ha, di sicuro, avuto, purtroppo, qualche scheletro nell’armadio indipendente non solo da lui.
Nonostante ciò, ‘JFK’ è un film da vedere e da rivedere. Un’opera cinematografica che serve all’introduzione di un’epoca, quella americana e non solo, che ha segnato per sempre la storia di un Paese e del mondo intero.