UNA CHIACCHIERATA TRA MONDO DEL GIORNALISMO, IL CAMPIONATO DI CALCIO E UNA PICCOLA CURIOSITA’
Al Salone del Libro di Torino abbiamo incrociato diverse personalità del mondo della letteratura, del cinema, delle serie tv, della politica, del calcio e del giornalismo in generale. Proprio in merito a quest’ultimo settore, seguendo l’incontro di Eraldo Pecci, siamo rimasti colpiti da alcune dichiarazioni relative al lavoro del giornalista; dichiarazioni che hanno messo in luce un quasi decadimento di questa affascinante professione a causa dell’utilizzo di espressioni, in alcuni casi, troppo pleonastiche, per non dire semplicemente inutili.
A risponderci cordialmente, dimostrando tutta la sua disponibilità nel sottoporsi alle nostre umili domande al telefono, è il noto giornalista sportivo Xavier Jacobelli, nonché Direttore della testata sportiva di Torino ‘Tuttosport’:
“Ma credo innanzitutto sia fondamentale una buona conoscenza dell’italiano. Io ricorderò sempre ciò che mi disse Montanelli incrociandolo: ‘scrivi come mangi’. Purtroppo, in questi anni, troppo spesso, una categoria, non tutta mai generalizzare, ha questo malvezzo di ricorrere a parole straniere senza spiegarne il significato, come se tutti lo conoscessero. In particolare, ritengo che sia fondamentale una cultura di base per chi fa il giornalismo, sia sportivo e sia in altri ambiti dell’informazione. Noto, e dispiace molto, molta superficialità; soprattutto se da un lato internet è un formidabile strumento di democrazia, ampliando le fonti della conoscenza di tutti, dall’altro per chi fa informazione c’è questa tendenza a non controllare le fonti, ad effettuare riscontri e tutto questo fa deprimere la qualità dell’informazione. L’informazione per essere tale, per essere corretta, deve essere autorevole, attendibile e credibile. Quindi il discorso riguarda sicuramente l’ambito sportivo, occupandomi io del settore sportivo, ma ne abbiamo avuto d’informazione di pandemia e in materia di salute che sono circolate”.
Bergamasco di nascita, Xavier Jacobelli muove i primi passi nel mondo del giornalismo a soli diciotto anni e il suo primo articolo lo aveva firmato due anni prima, lo aveva sviluppato su una riunione di donatori di sangue in un paese del bergamasco. Pubblicato, poi, all’Eco di Bergamo, lo storico giornale della città. La sua primissima esperienza è quella di collaboratore di un’emittente privata che adesso non c’è più, ‘VideoBergamo’. Il Direttore Responsabile dell’emittente privata, dell’epoca, era Vittorio Feltri, nonché giornalista del corriere della sera.
Qualche anno più tardi, il Direttore Jacobelli, conquista un record personale. Venendo nominato, per la prima volta, Direttore di ‘Tuttosport’, il 23 marzo del 1998, in quel preciso momento scoprì di essere il più giovane che venne indicato per quella carica all’interno di un giornale, a soli 38 anni. Gli dissero che, in quel preciso momento, non c’erano altri direttori al di sotto della sua età.
Qualcuno potrebbe dire: colpo di fortuna. Forse, ma la sua carriera parla chiaro, i suoi meriti conquistati sul campo parlano da soli. Soprattutto se si lancia una rapida occhiata a quante testate, online e di carta stampata, ha diretto e soprattutto quanti premi ha conquistato nell’arco del suo percorso professionale.
Proprio in merito a ciò afferma anche che: “Il direttore deve dimostrare sul campo, indipendentemente dall’età che ha, le capacità per fare questo mestiere” ci dice e noi, tenendo presente la sua prima risposta gli chiediamo anche se, questa poca preparazione, è relativa anche dal fatto che c’è poca possibilità di intraprendere un tirocinio presso una redazione.
La sua risposta non lascia spazio a troppi giri di parole. Specialmente in un’epoca, questa, in cui tutto è diventato più complicato rispetto a prima e dove nelle redazioni “imparavano a fare il mestiere, grazie anche alla disponibilità e alla bravura di colleghi che non erano certi volti noti e né tantomeno sapevano cosa sarebbero stati i social piuttosto le trasmissioni televisive o altro. Ma insegnavano i rudimenti del mestiere, insegnavano un titolo, come si scrive un pezzo, come si fa la tipografia o la fotografia in tipografia, come si scrive una didascalia. Possono sembrare affermazioni scontate, in realtà così non sono. Secondo me l’unico antidoto è quella dell’estrema professionalità”.
Le sue risposte, sicure e con voce ferma e determinata, lasciano intendere una scelta di vita e professionale mai messa in discussione e, soprattutto, rappresentano, seppur in via indiretta, anche un’interessante lezione sul modo in cui deve affrontato l’ingresso nel mondo del giornalismo.
Ciò che appare estremamente fondamentale per Jacobelli, nel fare questo lavoro, è l’importanza della passione. Per lui “è quella che muove tutto”. E’ un mestiere totalmente diverso rispetto agli altri; vuoi per gli orari, il tipo d’impegno che richiede se ti occupi di sport o sei inviato e quindi segui eventi a livello nazionale ed internazionale visto che la morsa della pandemia, almeno nel nostro paese, si sta allentando. E’ importante, a mio avviso, cercare di fare bene ogni servizio che ci viene affidato; quindi ricchezza di particolari, la curiosità che è l’anima di questo mestiere, la precisione piuttosto che la superficialità persino nelle didascalie. Mi rendo perfettamente conto che il refuso è sempre in agguato tra le tante insidie di questo mestiere. Però è chiaro che ci vuole molta determinazione e applicazione”.
E’ naturale, dialogando con Xavier Jacobelli, che le nostre domande non possono solamente essere improntate sul lavoro del giornalismo ed il suo approccio. Ne approfittiamo per chiedergli, nella corsa scudetto, chi la spunterà, considerando che proprio ieri il Milan ha vinto contro il Torino ed ha scavalcato momentaneamente il Napoli in classifica.
“Non posseggo assolutamente né la chiaroveggenza e né la sfera di cristallo, ma sono felice di prendere atto del grande equilibrio che c’è in questo torneo, rispetto ai nove vinti dalla Juventus e dall’ultimo dominato in lungo in largo dall’Inter. Questo è un motivo che sicuramente contribuisce ad accrescere l’interesse”. In effetti non ha tutti torti. Fino adesso il campionato di calcio ha mostrato un notevole equilibrio con le due squadre che sembrano rinnovare quei duelli che non si vedevano dagli anni ’80:
“Bellissimi ed irripetibili. Quelli con il Napoli di Maradona e il Milan di Gullit, Rjikard, Van Basten, Baresi, Evani, Donadoni, Tassotti, Maldini. Io ho avuto la fortuna che in quel periodo ho potuto vedere l’epopea del primo Milan di Berlusconi, perché ero inviato del Corriere dello Sport Stadio e non so se sarà questo il duello che continuerà fino alla fine. So che il Milan sta facendo molto bene perché ha una dirigenza illuminata; sia dal punto di vista tecnico perché Paolo Maldini e Massara hanno lavorato benissimo sul mercato in queste ultimi due stagioni. Lo dimostra i giovani che hanno preso e che sono alla base dei risultati ottenuti da Pioli, sia perché Pioli ha festeggiato la centesima panchina in rossonero ha superato anche con grande forza d’animo il momento in cui Rangnick dove prendere il suo posto e sia perché c’è un dirigente del calibro di Gazidis che lo sta dimostrando anche in questo periodo che sta lottando contro il cancro e ha una forza d’animo straordinaria ha stabilito un’intesa con Maldini e Massara si riflette sul rendimento della squadra. Grazie anche al Fondo Elliot che ha dato fiducia a Gazidis a Maldini e Massara e a Pioli”.
Nel risponderci esterna anche una frase che sembra una regola non scritta: dietro una grande squadra c’è anche una grande società, un binomio che aiuta ad ottenere un risultato positivo. Il riferimento è rivolto anche alla sorprendente Atalanta di questi anni, la quale sembra ricalcare quasi le orme della Sampdoria di Vialli e Mancini:
“La Sampdoria di Mancini e Vialli vinse lo scudetto, la Coppa delle Coppe e arrivò in finale a Wembley contro il Barcellona. L’atalanta è un modello, a mio avviso, unico. Perché questo, perché intanto il Presidente e l’Amministratore Delegato, padre e figlio hanno giocato nell’Atalanta. Il padre ai massimi livelli in Serie A, con Scirea quando Scirea erano ancora neroazzurro e poi è alla seconda esperienza presidenziale. Ha ricomprato l’Atalanta nel 2010 la trovata in serie B. In undici anni l’ha portata dalla B al numero 23 del ranking europeo. Due anni fa soltanto, a gennaio 2019, occupava la posizione 97, e poi ha acquistato lo stadio, investendo 60 milioni di euro nel centro sportivo di Zinconia, che gli ha assunto livello europeo. E’ stata creata l’Accademia intitolata a Mino Favini. Da poco ha fatto debuttare in Serie A Rescaldini che è un ragazzo che ha diciassette anni e ne compirà diciotto l’11 dicembre. Senza dimenticare la scelta di Gasperini che è stata una scelta consecutiva di tutta una serie di fattori. In particolare, la lezione che arriva dall’Atalanta è di mettere gli uomini giusti al posto giusto. Bisogna avere le professionalità giuste e soprattutto un rigoroso rispetto dei ruoli, non ho mai sentito una volta Percassi fare un’affermazione di carattere tecnico che riguardasse la formazione mandata in campo da parte dell’allenatore. Il rispetto dei ruoli”, dunque.
Nel risponderci parla anche del Napoli di Spalletti, in modo particolare anche di un giocatore ben preciso che fino adesso lo ha davvero impressionato.
“Il Napoli ha pareggiato la prima partita dopo otto vittorie consecutive, ma si è dimostrato ancora una volta una gran bella squadra. A me piace moltissimo Oshimen ed è un giocatore fantastico, che ha soltanto 22 anni e che, mio avviso, è destinato a diventare di essere protagonista nel calcio internazionale, non soltanto nazionale, nei prossimi anni. È il più grande colpo che il Presidente De Laurentiis ha fatto davvero, ma il gioco vale la candela. Perché è veramente un grande giocatore. E penso che da tempo noi non ammirassimo un attaccante così forte in apporto all’età. È chiaro che Lukaku e Dzeko siano al top della carriera. Dzeko sta dimostrando, non dico di aver fatto dimenticare, ma comunque di non aver fatto rimpiangere Lukaku, che è tornato al Chelsea ma Dzeko ha anche 35 anni. Io invece sto parlando di un ragazzo di 22 anni che l’anno scorso ha visto il suo rendimento frenato dall’infortunio alla spalla patito con la Nigeria e poi dall’impossibilità che lo ha costretto il covid ad una sosta forzata. Mi piace molto il modo di giocare, il sorriso che ha, il suo atteggiamento che non è mai vittimistico, è un ragazzo molto semplice, è un ragazzo innamorato del suo mestiere ed ha trovato, secondo me, a Napoli la piazza ideale perché si è innamorato dei tifosi. Ma quando un giocatore si comporta così in campo è normale, logico, naturale che i tifosi lo ricambino con grande affetto. Al di là dei gol a ripetizione che segna, è il modo di giocare a calcio, il piacere di giocare a calcio. Oshimen incarna la passione per il calcio e dichiara la fortuna di chi fa questo mestiere, di chi ama il calcio a quei livelli”.
L’ultima domanda permette di soddisfare una piccola curiosità, riguardante il suo particolare nome di battesimo:
“Era il nome del protagonista di un giallo Mondadori. Lei ricorderà la collana segretissimo che era nota anche per avere la copertina gialla con un bersaglio al centro e nell’imminenza della mia nascita mio padre, che era un accanito di libri gialli, rimase colpita da questo nome di origine catalana. Perché in catalano è Xavi e in Francese Javier. Però l’origine di questo nome nasce proprio dalla scelta fatta da mio padre”.